Introduzione
Da tutto ciò che abbiamo detto nel precedente articolo, si profila un quadro piuttosto delineato tra la relazione intercorrente tra elezione divina e responsabilità umana. Nello stesso tempo però bisogna obiettivamente affermare che vi sono almeno tre testi biblici che a primo acchito non appaiono proprio semplici ed immediati nella comprensione. Ma procediamo con ordine.
2 Tessalonicesi 2:13
“Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità”.
Questo è l’unico passo nel quale esplicitamente si parla di elezione a salvezza.
Vorrei evidenziare il testo greco all’inizio del passo – hoti heilato humas ho theos aparchên eis sôtêrian. In greco abbiamo la preposizione“eis” che unito all’accusativo può avere diverse accezioni come “a, in, verso”, come preposizione temporale oppure di relazione “nei confronti di”. Tuttavia non si possono certamente ignorare le caratteristiche di tale elezione. Infatti essa avviene innanzitutto “mediante la santificazione dello Spirito”; ovvero l’atto mediante il quale lo Spirito rigenera e trasforma l’individuo. In secondo luogo viene citata l’inequivocabile risposta dell’uomo “e la fede nella verità”. Queste sono le due caratteristiche sostanziali che delineano l’elezione a salvezza, le quali vanno per forza di cose insieme.
Romani 9:14-18
1. “Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo!” (Ro 9:14).
La conclusione a cui si poteva arrivare, nell’ascoltare il ragionamento di Paolo, era che Dio commette delle ingiustizie. Ma non è assolutamente così.
• Nel Signore non vi è ingiustizia!
“Quelli che son piantati nella casa del SIGNORE fioriranno nei cortili del nostro Dio. Porteranno ancora frutto nella vecchiaia; saranno pieni di vigore e verdeggianti, per annunziare che il SIGNORE è giusto; egli è la mia ròcca, e non v’è ingiustizia in lui” (Sl 92:13-15). La Scrittura insiste molte volte sull’onestà e la correttezza del Signore sotto ogni aspetto. Il salmista dichiara chiaramente che l’Eterno è giusto e che non vi è assolutamente ingiustizia in Lui. Ogni sua scelta, decisione e decreto è perfetto. Questa è la testimonianza che il figlio di Dio porta nella sua vita. Anche se gli anni passeranno e si diventerà vecchi, in età avanzata, si potrà sempre dire che il Signore è giusto e perfetto, che dona forza allo stanco e vigore allo spossato.
• Dio non commette ingiustizie
“No, di certo Dio non commette ingiustizie! L’Onnipotente non perverte il diritto” (Gb 34:12).
Con queste parole, anche Eliu sottolinea la giustizia del Signore, tale per cui Dio non commette ingiustizie e non perverte il diritto. Perciò, stando certi che nel Signore non vi sono ingiustizie, in noi non deve mai sorgere il pensiero di saperne più del Signore. Se Dio decreta una sentenza o prende una particolare decisione è perché egli è Sovrano e giusto.
2. “Poiché egli dice a Mosè: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione»” (Ro 9:15).
Queste parole di Paolo hanno fatto molto discutere. Sicuramente esse mostrano la realtà della Sovranità di Dio, in quanto egli è assolutamente libero di dimostrare la sua misericordia a chi vuole. Ma la domanda che dobbiamo porci è: “Verso chi Dio mostra la sua misericordia e compassione?”.
• Salomone evidenzia il fatto che Dio è misericordioso verso chi cammina in Sua presenza.
“Poi Salomone si pose davanti all’altare del SIGNORE, in presenza di tutta l’assemblea d’Israele, stese le mani verso il cielo, e disse: «O SIGNORE, Dio d’Israele! Non c’è nessun dio che sia simile a te, né lassù in cielo, né quaggiù in terra! Tu mantieni il patto e la misericordia verso i tuoi servi che camminano in tua presenza con tutto il cuore»” (1Re 8:22-23).
Le parole di Salomone, rispondono alla domanda. Egli afferma solennemente che il Signore mantiene il patto e la sua misericordia verso coloro che camminano in modo integro e retto dinanzi alla sua presenza, con tutto il loro cuore. Salomone, nell’esprimersi in questo modo, sottolinea anche l’unicità di Dio e che nessun falso idolo può essere minimamente paragonato a Lui. Il Signore è perfetto in tutto ciò che è e fa.
• La misericordia divina è su chiunque amano ed osservano la Parola di Dio.
“E dissi: «O SIGNORE, Dio del cielo, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e fai misericordia a quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti»” (Ne 1:5).
Anche in questo brano possiamo notare come la misericordia di Dio sia associata a coloro che amano il Signore ed i suoi comandamenti. Perciò, non si parla di una misericordia “universale”, ma specifica per coloro che seguono il Signore e lo amano. È chiaro che il destinatario principale di queste parole è appunto il popolo d’Israele, ma un Israele ubbidiente e timorato di Dio. Ogni uomo ha la possibilità di sperimentare la misericordia di Dio, ma può vivere un’intima relazione con lui, solo se decide di seguirlo ed amarlo.
• Per un figlio di Dio, la misericordia di Dio è moltiplicata.
“Giuda, servo di Gesù Cristo e fratello di Giacomo, ai chiamati che sono amati in Dio Padre e custoditi da Gesù Cristo: misericordia, pace e amore vi siano moltiplicati” (Gd 1-2).
Non è a caso che Giuda, rivolgendosi ai destinatari della sua lettera che erano cristiani, li saluta in un modo meraviglioso: “misericordia, pace e amore vi siano moltiplicati”. Il cristiano può veramente godere della grazia e della misericordia di Dio in un modo abbondante. Infatti i figli di Dio sono “amati da Dio Padre e custoditi da Gesù Cristo”, ovvero protetti e soccorsi.
• La misericordia trionfa sul giudizio.
“Perché il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia. La misericordia invece trionfa sul giudizio” (Gm 2:13).
Sebbene il Signore sia assolutamente giusto e santo, molte volte ha evidenziato proprio questo concetto relativo ad una misericordia che trionfa sul giudizio. Possiamo infatti osservare la pazienza e la sopportazione del Signore, in merito a situazioni o circostanze di peccato che sicuramente lo indignavano. Ma nonostante la cattiveria e la malvagità dell’uomo, egli ha mostrato il suo amore. Il giudizio è stato manifestato quando l’uomo volutamente ha ignorato i richiami e gli avvertimenti divini.
• Dio mostra la sua misericordia a chi vuole.
“Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!». Il SIGNORE gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del SIGNORE davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà»” (Es 33:18-19).
In questo testo troviamo le parole citate da Paolo in Romani. È il Signore a rivelare in un modo chiaro a Mosè, che egli fa grazia a chi vuole lui. È significativo infatti il contesto secondo il quale Mosè voleva vedere il volto di Dio e di conseguenza la sua gloria, ma ciò non era possibile. Mosè godeva di una speciale relazione con il Signore. Egli aveva trovato grazia dinanzi al Signore, ma non dobbiamo dimenticarci anche di chi era Mosè: un uomo non sicuramente perfetto, ma retto ed integro.
Perciò, sicuramente il Signore mostra la sua misericordia a chi vuole, ma dalla Scrittura possiamo constatare che egli la mostra in particolare a coloro che appartengono a lui e lo seguono.
3. “Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia” (Ro 9:16).
Ancora Paolo evidenzia il fatto che le opere non c’entrano niente. Infatti sebbene la misericordia di Dio sia verso colui che segue la volontà di Dio, si è comunque immeritevoli della sua Grazia. Egli fa misericordia a prescindere dagli sforzi dell’uomo.
• L’orgoglio di Baldassar.
“E tu, Baldassar, suo figlio, non hai umiliato il tuo cuore, benché tu sapessi tutto questo, ma ti sei innalzato contro il Signore del cielo. Ti sono stati portati i vasi della casa di Dio e in essi avete bevuto tu, i tuoi grandi, le tue mogli e le tue concubine; tu hai lodato gli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato il Dio che ha nella sua mano il tuo soffio vitale, e dal quale dipendono tutte le tue vie” (Da 5:22-23).
Questo testo è davvero illuminante in quanto Daniele rivela all’orgoglioso re babilonese Baldassar che in realtà tutte le sue vie ed il suo destino dipendono esclusivamente da Dio. Egli pretendeva di continuare ad assumere un atteggiamento di ribellione e di orgoglio contro il Signore, ma in realtà tutte le sue vie erano sotto il controllo del Signore. Egli non conoscerà la misericordia del Signore, ma il suo giudizio.
• Ognuno dipende dal tempo e dalle circostanze.
“Io mi sono rimesso a considerare che sotto il sole, per correre non basta essere agili, né basta per combattere essere valorosi, né essere saggi per avere del pane, né essere intelligenti per avere delle ricchezze, né essere abili per ottenere favore; poiché tutti dipendono dal tempo e dalle circostanze. L’uomo infatti non conosce la sua ora; come i pesci che sono presi nella rete fatale e come gli uccelli che sono colti nel laccio, così i figli degli uomini sono presi nel laccio al tempo dell’avversità, quando essa piomba su di loro improvvisa” (Ec 9:11-12).
L’uomo si crede forte, quando in realtà, come dichiara il Predicatore, tutti “dipendono dal tempo e dalle circostanze”. Infatti, nessuno può predire o conoscere in anticipo ciò che accadrà. L’uomo “non conosce la sua ora”, non conosce le sofferenze che dovrà subire. Ogni tempo, momento o circostanza è sotto il controllo del Signore. Perciò ogni uomo dipende in realtà dal Signore. Ogni sforzo e fatica dell’uomo è inutile.
• Il pericolo di seguire le vanità.
“Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento” (Ec 1:14).
Come dichiara ripetutamente l’Ecclesiaste, l’uomo si affanna a correre dietro alla vanità, ad inseguire delle “chimere”. Questa era la constatazione dell’Ecclesiaste che, dobbiamo confessare, è assolutamente vera e reale. Il “correre” dell’uomo senza Dio è inutile, è solo uno spreco di energie.
• Finire la corsa, serbando la fede.
“Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede” (2Ti 4:7).
Per contro la “corsa” del cristiano non è assolutamente vana, anzi l’energia che viene spesa per il Signore avrà una sicura ricompensa. Come dichiara l’apostolo, egli aveva corso serbando la fede e ciò avrebbe procurato, per Paolo, una straordinaria “corona”, quella della giustizia (2Ti 4:8). Ma anche in questo caso bisogna affermare che tutto deriva dalla misericordia di Dio e dall’azione dello Spirito Santo in noi
4. “La Scrittura infatti dice al faraone: «Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra». Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole” (Ro 9:17-18)
Paolo scende ancora di più nei dettagli e prende l’esempio del faraone egiziano ai tempi della schiavitù d’Israele. Il Signore mandò Mosè dal faraone per un duplice scopo: liberare il popolo d’Israele ma anche far conoscere al faraone la potenza del Signore. Quest’atteggiamento evidenzia la Grazia di Dio. Egli vuole dare la possibilità al faraone di conoscere chi è realmente il vero Dio.
• Dio dichiara a Mosè che indurirà il cuore del faraone.
“Il SIGNORE disse a Mosè: «Quando sarai tornato in Egitto, avrai cura di fare davanti al faraone tutti i prodigi che ti ho dato potere di compiere; ma io gli indurerò il cuore ed egli non lascerà partire il popolo»” (Es 4:21).
In questo brano, però, il Signore sottolinea anche che indurerà il cuore del faraone, ovvero egli stesso interverrà per renderlo ostinato ed orgoglioso nella propria ribellione. È proprio tale decisione divina che può far pensare. Ma per avere un quadro preciso della situazione, bisogna andare con ordine. Sta di fatto che abbiamo nel brano due aspetti in contrapposizione: da una parte il Signore vuole testimoniare e manifestare la Sua potenza al faraone, ma nello stesso tempo gli indurirà il cuore.
• Il faraone indurisce da lui stesso il suo cuore.
“Ma i maghi d’Egitto fecero la stessa cosa con le loro arti occulte, e il cuore del faraone si indurì: egli non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come il SIGNORE aveva predetto…” (Es 7:22).
“Ma quando il faraone vide che c’era un po’ di respiro si ostinò in cuor suo e non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come il SIGNORE aveva detto” (Es 8:15).
“Allora i maghi dissero al faraone: «Questo è il dito di Dio». Ma il cuore del faraone si indurì e non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come il SIGNORE aveva detto…” (Es 8:19).
“Ma anche questa volta il faraone si ostinò in cuor suo e non lasciò andare il popolo” (Es 8:32).
“Il faraone mandò a vedere, ed ecco che neppure un capo del bestiame degli Israeliti era morto. Ma il cuore del faraone rimase ostinato ed egli non lasciò andare il popolo…” (Es 9:7).
“I maghi non poterono presentarsi davanti a Mosè, a causa delle ulceri, perché le ulceri erano sui maghi come su tutti gli Egiziani. Ma il SIGNORE indurì il cuore del faraone e questi non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come il SIGNORE aveva detto a Mosè…” (Es 9:11-12).
“Quando il faraone vide che la pioggia, la grandine e i tuoni erano cessati, continuò a peccare, si ostinò in cuor suo, lui e i suoi servitori. Il cuore del faraone si indurì ed egli non lasciò andare i figli d’Israele, come il SIGNORE aveva detto per bocca di Mosè” (Es 9:34-35).
Questo è un aspetto assolutamente importante che spiega il motivo per cui poi il Signore renderà ancora più ostinato il cuore del faraone. Infatti, nei sette brani che ripercorrono la storia delle piaghe che l’Egitto conobbe a dimostrazione della potenza del Signore, troviamo un comune denominatore: è il faraone che indurisce da sé stesso il suo cuore. Il triste ritornello che troviamo è “il faraone si indurì… si ostinò in cuor suo”.
Queste parole sottolineano chiaramente una ferma decisione e volontà a ribellarsi al Signore e a negare l’evidenza. Dio stava dimostrano inequivocabilmente la sua netta supremazia sugli idoli pagani egiziani, ma il faraone non si vuole umiliare.
Perciò all’inizio il faraone indurisce il suo cuore, in quanto i suoi maghi, con le loro arti occulte, riescono ad imitare la prima piaga, nel secondo brano il faraone si indurisce quando vede che il pericolo è passato, nel terzo brano addirittura i maghi gli dicono “questo è il dito di Dio”, ma il faraone non si arrende nemmeno di fronte ad una tale testimonianza. In altre parole, non esiste evidenza che tenga. Nonostante tutte le prove dessero ragione al Signore, il faraone è completamente cieco di fronte ad esse.
Perciò, molte volte il faraone volutamente e senza alcuna costrizione, ha indurito il suo cuore.
• Dio rende ancora più ostinato il cuore del faraone.
“Allora il SIGNORE disse a Mosè: «Va’ dal faraone; poiché io ho reso ostinato il suo cuore e il cuore dei suoi servitori, per fare in mezzo a loro i segni che vedrai” (Es 10:1).
Perciò, la conclusione non può che essere che, alla fine, il Signore stesso indurisce il cuore del re egiziano, ma soltanto dopo che per almeno sette volte lui stesso si è indurito ed ostinato contro al Signore. Il faraone era entrato in una spirale senza ritorno, dalla quale none poteva più uscire.
• Dio manderà potenza d’errore verso coloro che si saranno compiaciuti della loro iniquità.
“Perciò Dio manda loro una potenza d’errore perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati” (2Te 2:11-12).
Possiamo osservare questo stesso modo di operare, anche in questo brano di Paolo, nel quale si parla dell’avvento del “figlio della perdizione” e della venuta in gloria del Signore Gesù. Verso tutti coloro che volutamente non crederanno alla Parola di Dio ed al messaggio del Vangelo, compiacendosi della loro iniquità, Dio “manda su di loro potenza d’errore”.
In altre parole, il Signore indurirà ancora di più il loro cuore, ma dopo che essi avranno già in modo definitivo preso la loro decisione. Perciò, possiamo osservare come le parole che troviamo in Romani non devono assolutamente stupire. La logica divina è ineccepibile.
Romani 9:21-29
1. “Il vasaio non è forse padrone dell’argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?” (Ro 9:21).
Dobbiamo sempre ricordarci che noi siamo “vaso” e che il vaso non può assolutamente contendere con il vasaio. Il vasaio può infatti costruire un vaso per due diverse funzioni: o un uso “nobile” o un uso “ignobile”.
• Il vasaio non può essere paragonato al vaso.
“Che perversità è la vostra! Il vasaio sarà forse considerato al pari dell’argilla al punto che l’opera dica all’operaio: «Egli non mi ha fatto?» Al punto che il vaso dica del vasaio: «Non ci capisce nulla?»” (Is 29:16).
Come rileviamo da queste parole, il vasaio non può essere in alcun modo paragonato al vaso. Avere questo pensiero, significa avere una mente perversa e contorta. Il vaso non può insegnare niente al vasaio, che è libero e sovrano nelle sue scelte sul come lavorare l’argilla. Così è il Signore.
• I decreti di Dio e la responsabilità dell’uomo.
“ «Casa d’Israele, non posso io far di voi quello che fa questo vasaio?» dice il SIGNORE. «Ecco, quel che l’argilla è in mano al vasaio, voi lo siete in mano mia, casa d’Israele! A un dato momento io parlo riguardo a una nazione, riguardo a un regno, di sradicare, di abbattere, di distruggere; ma, se quella nazione contro la quale ho parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di farle. In un altro momento io parlo riguardo a una nazione, a un regno, di costruire e di piantare; ma, se quella nazione fa ciò che è male ai miei occhi senza dare ascolto alla mia voce, io mi pento del bene di cui avevo parlato di colmarla”.
È doveroso riflettere attentamente su questo brano che troviamo in Geremia. Abbiamo detto infatti che i “decreti” di Dio l’uomo non li può cambiare, quand’anche mettesse in campo tutti i suoi sforzi. Ma attenzione! Questo non significa che il Signore, nella sua sovranità, non possa cambiare o modificare un suo disegno. Vi sono tanti esempi che lo dimostrano. In questo brano, infatti, viene messa in luce la responsabilità umana. Il Signore, dopo aver preso una decisione di giudizio su una nazione, se essa si converte e si ravvede del suo peccato, nella sua Grazia, può modificare il suo disegno e, invece di giudicare, benedire e mostrare compassione. Ma vale anche il contrario! Il Signore può cambiare i suoi piani nel constatare ed analizzare il comportamento dell’uomo: l’uomo viene sempre messo davanti alla sua responsabilità.
• Il cristiano è come un “vaso” nobile se si conserva puro.
“In una grande casa non ci sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche vasi di legno e di terra; e gli uni sono destinati a un uso nobile e gli altri a un uso ignobile. Se dunque uno si conserva puro da quelle cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al servizio del padrone, preparato per ogni opera buona” (2Ti 2:20-21).
Come abbiamo visto, in Romani, si parla di vaso per uso nobile o ignobile. Ma questo cosa significa? Paolo, in questo brano, identifica chiaramente il vaso “nobile” in quel cristiano che si “conserva puro”, che è santificato e consacrato per il Signore. Parlando di un’ipotetica casa, parla di due tipi di vasi, come nella lettera ai Romani. L’uso nobile rappresenta il servizio qualificato e spirituale che un figlio di Dio, mostra nei suoi confronti. Perciò anche in questo caso, la sovranità di Dio da una parte e la responsabilità umana si intersecano perfettamente.
• L’esempio di Moab.
“«Io farò venir meno in Moab» dice il Signore «chi sale sull’alto luogo e chi offre profumi ai suoi dèi»” (Gr 48:38).
“«Su tutti i tetti di Moab e nelle sue piazze, dappertutto, è lamento; poiché io ho frantumato Moab, come un vaso considerato di nessun valore», dice il SIGNORE” (Gr 48:38).
Con queste parole, il Signore ci vuole fornire un altro prezioso esempio. Moab è descritto come un “vaso infranto…di nessun valore”, perciò ignobile. Ma perché Moab era come un vaso senza valore? A motivo del suo peccato, della sua idolatria e soprattutto per la sua mancanza di ravvedimento.
Perciò la nobiltà o la non nobiltà di un “vaso”, cioè di una persona, sono strettamente legate alla sua responsabilità.
2. “Che c’è da contestare…” (Ro 9:22a).
L’uomo è sempre portato a contestare e a litigare, come detto. Ma Paolo, vuole assolutamente dimostrare che con il Signore non si può contestare e ne spiega i motivi.
• La contestazione di Israele contro al Signore a Meriba.
“ Poi il SIGNORE disse a Mosè e ad Aaronne: «Siccome non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele, voi non condurrete questa assemblea nel paese che io le do». Queste sono le acque di Meriba dove i figli d’Israele contestarono il SIGNORE, che si fece riconoscere come il Santo in mezzo a loro” (Nu 20:12-13).
La Scrittura ci presenta tanti esempi, nei quali viene mostrata la stoltezza dell’uomo che vuole contendere con il Signore. Uno l’abbiamo in questo testo nel quale si parla della contestazione di Israele alle acque di Meriba, una contestazione che purtroppo vide Mosè ed Aaronne colpevoli dinanzi a Dio. Questa fu una trista vicenda nella storia di Mosè e del popolo d’Israele. Ecco cosa provoca la contestazione ed il Signore sottolinea questa responsabilità.
• L’infedeltà del popolo di Giuda.
“«Perché mi contestate? Voi tutti mi siete stati infedeli», dice il SIGNORE. «Invano ho colpito i vostri figli; non ne hanno ricevutocorrezione; la vostra spada ha divorato i vostri profeti come un leone distruttore” (Gr 2:29-30).
Anche in questo brano, il Signore rivolge una solenne domanda: “Perché mi contestate?”. Ovvero “Quali diritti avete di contestare con me?”. Soprattutto considerando che il popolo di Giuda non era certamente giusto ed irreprensibile.
Il Signore li definisce “infedeli”, individui che non hanno assolutamente mostrato nessun tipo di ravvedimento o pentimento, nonostante il castigo di Dio.
Questo ci insegna anche a noi, come figli di Dio, a guardarci da ogni comportamento iniquo e soprattutto a mantenere sempre un atteggiamento di riverenza e sottomissione nei confronti del Signore.
3. “… se Dio, volendo manifestare la sua ira…” (Ro 9:22b).
Paolo prosegue il discorso parlando ora dell’ira di Dio da una parte e della sua sopportazione dall’altra. Nella Scrittura possiamo osservare come l’ira di Dio (in greco orge=ira, indignazione), sia una realtà assolutamente spaventosa e che, quando necessario, il Signore l’ha“manifestata”.
• L’intercessione di Mosè.
“Or il popolo cominciò a mormorare in modo irriverente alle orecchie del Signore. Come il Signore li udì, la sua ira si accese, il fuoco del Signore divampò in mezzo a loro e divorò l’estremità dell’accampamento. Allora il popolo gridò a Mosè; Mosè pregò il Signore, e il fuoco si spense” (Nu 11:1-2).
Notiamo che spesso è stata necessaria un’intercessione per salvare Israele dalla distruzione. Un esempio l’abbiamo da Mosè che intercede per Israele: grazie a quest’intervento il “fuoco si spense”. Infatti, il Signore si era adirato contro il popolo a motivo del suo mormorio e del suo comportamento irriverente nei confronti del Signore. Il comportamento di Israele fu inqualificabile, perciò l’intervento di Dio era giusto e corretto. Vi è stato bisogno dell’intercessione di Mosè perché Dio ritirasse la sua ira.
• L’importanza di rientrare in sé stessi prima che sia troppo tardi.
“Raccoglietevi, rientrate in voi stessi, gente spudorata, Sofonia 2:2 prima che si esegua il decreto e quel giorno passi come la pula; prima che vi piombi addosso l’ardente ira del Signore, prima che vi sorprenda il giorno dell’ira del Signore!” (So 2:1-2).
Proprio per il fatto che la Scrittura rivela in modo chiaro la potenza e l’ardore dell’ira di Dio, essendo essa paragonata ad un “fuoco consumante”, è molto importante “rientrare in sé stessi”, ovvero tornare sui propri passi, ravvedersi del proprio peccato prima che sia troppo tardi. Non a caso si parla del “giorno del Signore”, cioè del periodo in cui il mondo empio conoscerà l’ira di Dio nella sua più alta espressione. È necessario quindi ravvedersi prima, umiliarsi dinanzi al Signore, riconoscere e confessare le proprie colpe.
4. “… e far conoscere la sua potenza…” (Ro 9:22c).
La seconda realtà che Paolo evidenzia è la “potenza” di Dio. Anch’essa è associata alla sua ira. L’uomo nel conoscere l’ira del Signore ha conosciuto anche la sua potenza a cui nessuno può resistere. È importante avere un’idea chiara di ciò che è la potenza di Dio, in quanto, attraverso questa conoscenza si può arrivare alla consapevolezza del Dio Onnipotente.
• Dio fece conoscere la sua potenza a Israele.
“I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi; non ricordarono le tue numerose benedizioni, e si ribellarono presso il mare, il mar Rosso. Ma egli li salvò per amore del suo nome, per far conoscere la sua potenza” (Sl 106:7-8).
Come dichiara il salmista, il Signore fece conoscere la sua potenza a Israele nel salvarlo dalla schiavitù egiziana. Era molto importante tale rivelazione, perché Israele doveva imparare a nutrire piena fiducia nel Signore. e doveva sapere che l’unico e vero Dio è Onnipotente e niente gli è impossibile. Purtroppo molte volte Israele ha mostrato incredulità nei confronti di Dio e come attesta il salmista “non compresero i tuoi prodigi, non ricordarono le tue numerosi benedizioni”. Invece di ubbidienza vi fu ribellione.
• Conoscere Cristo e tutto ciò che lo concerne.
“Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte” (Fl 3:8-10).
Quando si parla di conoscenza, la massima rivelazione che si può avere è della Persona gloriosa del Signore Gesù. Paolo, con queste parole, evidenzia non solo la Persona del Cristo, ma anche la “potenza della sua risurrezione”, la comunione delle sue sofferenze al fine di essere“conforme a lui nella sua morte”.
Paolo, da un punto di vista umano era una persona di tutto rispetto che vantava delle qualifiche molto importanti. Eppure egli può affermare di ritenere tutto ciò che è un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza del Signore Gesù. Egli aveva rinunciato a tutto per lui, in quanto la sua conoscenza esclude qualsiasi altra cosa. L’uomo è chiamato a conoscere il Dio della Bibbia, la sua potenza e la Persona gloriosa dell’eterno Figlio di Dio, il Signore Gesù.
• La testimonianza degli apostoli.
“Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà” (1P 1:16).
Un altro elemento molto importante relativo alla conoscenza di Gesù è la testimonianza degli apostoli. Pietro dichiara che nel far conoscere la“potenza e la venuta del Signore Gesù”, non è andato dietro a favole inventate, ma ha testimoniato ciò che egli, insieme agli altri discepoli, ha visto e contemplato. La stessa cosa la dirà anche Giovanni, nella sua prima lettera (1Gv 1).
Perciò il Signore, nel corso dei secoli si è rivelato, si è fatto conoscere in ogni suo attributo: giustizia, santità, potenza, amore, misericordia, compassione. Deve essere l’uomo, convinto dallo Spirito, ad andare verso di lui e a ravvedersi del proprio peccato, godendo di questa conoscenza.