‘AHAB NEL RESTO
DELL’ANTICO TESTAMENTO
Dopo aver esaminato le referenze del verbo ‘ahàb nell’ambito del rapporto di amicizia fra Davide e Gionatan, in questo terzo articolo iniziamo a soffermarci su altri brani biblici dell’Antico Testamento in cui troviamo questo verbo. Desideriamo così evidenziare i vari significati e le diverse sfaccettature di ‘ahàb, ma anche verificare se sia possibile confermare quanto finora detto in merito alla natura del rapporto fra Davide e Gionatan. Esamineremo passi già citati nel precedente articolo, con lo scopo di acquisire un quadro completo dell’uso biblico di questo verbo.
In generale
Passando, quindi, al contesto più generale dell’intera rivelazione dell’Antico Testamento, riscontriamo innanzitutto che il verbo ‘ahàb viene adoperato complessivamente 251 volte e che è possibile enucleare almeno i seguenti suoi tre significati principali:
1. Desiderare, anelare.
Si tratta del significato originario del verbo ‘ahàb, che contiene l’accezione di “sospirare per qualcosa o per qualcuno”; da tale significato deriva anche il più diffuso “amare”.
Nei Salmi, soprattutto, troviamo questo significato, che ha una portata piuttosto intimistica: nella sintassi ebraica, ‘ahàb viene seguito dall’accusativo della persona o della cosa oggetto del desiderio e in genere prevale un anelito spirituale che può essere chiamato “amore” in senso lato, ma sempre con un’accezione positiva e, comunque, senza alcun riferimento alla sfera sessuale.
Sotto altro profilo, spesso nelle nostre versioni della Bibbia non viene chiaramente reso questo significato del verbo ‘ahàb, che invece troviamo tradotto con il generico “amare”. Accade, per esempio, nei Salmi:
“…quelli che amano la tua legge dicano sempre: «Sia glorificato Dio!»” (40:16).
“Io amo il Signore, perché ha udito la mia voce e le mie suppliche…” (116:1).
Oltre a ciò, bisogna riconoscere che nell’Antico Testamento il verbo ‘ahàb, anche quando vuole rendere il desiderio o l’anelito dell’anima, non viene mai utilizzato per esprimere la tendenza o l’attività omosessuale. Per queste ultime, infatti, l’ebraico biblico utilizza lo specifico verbo yada’, in genere tradotto con“conoscere”, da intendersi nel senso di “avere rapporti sessuali con” (vedi i Sodomiti in Genesi 19:5 ed i Ghibeiti in Giudici 19:22). Ma, come abbiamo già visto, nella descrizione dei rapporti fra Davide e Gionatan la Bibbia usa sempre e soltanto ‘ahàb e giammai yada’.
2. Amare.
Si tratta di un’accezione contraddistinta da legittimità e purezza, simile a ciò che nel Nuovo Testamento sarà il significato del verbo greco agapào (es. 1Co 13).
Nella casistica dei passi biblici in cui ‘ahàb significa propriamente “amare”, troviamo il particolare sentimento di un padre verso un figlio (Abramo per Isacco in Ge 22:2), soprattutto se questo figlio è il prediletto (es. Giacobbe per Giuseppe in Ge 37:3). Sotto tale profilo, usando ‘ahàb la Bibbia menziona anche l’amore smisurato che una mamma ha per i suoi figli (es. Rebecca per Giacobbe in Ge 25:28).
Nella rivelazione biblica, altri rapporti sociali erano e dovevano essere contraddistinti dall’amore ed anche in questi casi viene utilizzato il verbo ‘ahàb. Ci riferiamo, in particolare, all’affetto speciale che ancora esiste e deve esistere tra fidanzati (es. Giacobbe per Rachele in Genesi 29:20) ma ancor di più fra marito e moglie (es. Elcana per Anna in 1Samuele 1:5; cfr. Sansone per Dalila in Giudici 14:16) e che, solo in quest’ultimo caso, include anche la componente sessuale del rapporto (es. Isacco per Rebecca in Genesi 24:67).
La Scrittura menziona l’amore di ‘ahàb anche in relazione alla riverenza speciale che il servo poteva e doveva nutrire per il suo padrone (es. Es 21:5), nonché in relazione al sentimento positivo che dovrebbe sempre caratterizzare i rapporti fra suocera e nuora (es. Rut per Naomi in Rut 4:15), oppure a quell’atteggiamento di profondo rispetto e di disponibilità al sacrificio che viene richiesto da Dio agli uomini per i loro rapporti reciproci (es. Le 19:18), con particolare riferimento alle categorie più deboli, come quella dello straniero (es. Le 19:34).
Passando ad un piano di rapporti “verticali”, ‘ahàb rende anche lo speciale affetto che il Signore non nasconde di nutrire verso il popolo d’Israele (es. De 4:37; Is 43:4). A sua volta, Dio comanda all’uomo di vivere nei suoi confronti questo genere di amore (es. De 6:5), che nei Salmi viene più volte menzionato come realtà di vita vissuta (es. Sl 116:1; 145:20)38.
3. Amico.
Questa terza accezione del verbo ‘ahàb viene riscontrata nella Bibbia con riferimento al suo modo participio, mediante il quale viene individuata una persona cara e stimata, con cui sussiste anche una certa intimità.
Usando il participio ‘ohèb, Abramo viene chiamato “amico” di Dio (Is 41:8), mentre Salomone, quasi riecheggiando il paragone dell’amicizia fra Davide e Gionatan ed un rapporto tra fratelli (2Sa 1:26), scrive che “…c’è un amico che è più affezionato di un fratello…” (Pr 18:24).
In quest’accezione, allora, ‘ahàb rappresenta la vera amicizia, ovvero quel rapporto sano e forte che sperimentano due persone dello stesso sesso quando si vogliono bene, proprio come Davide e Gionatan, i quali nutrivano reciprocamente profonda stima e sincero affetto, con l’aggiunta di quella stabile intesa spirituale che rendeva ancor più prezioso il loro rapporto, assai lontano da una relazione omosessuale.
Più di rado, il participio ‘ohèb rende invece il concetto di lealtà politica, manifestata da un vassallo nei confronti del suo signore, ovvero rende il concetto di subordinazione sociale, unita ad un forte attaccamento emozionale. Nell’Antico Testamento, caso tipico in tal senso è quello del re di Tiro, Chiram, che viene descritto come “amico” di Davide (1Re 5:1) e che, alla morte di quest’ultimo, cerca di ottenere il favore del nuovo re Salomone. D’altro canto, quando la Bibbia vuole esprimere il concetto di “compagno” più che di “amico”, usa il sostantivo rea’, che ha un contenuto emozionale meno forte, anche se le nostre versioni della Bibbia lo traducono in genere “amico” (vedi Gb 2:11 e Pr 19:6).