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‘AHAB NEL RESTO

DELL’ANTICO TESTAMENTO

 

 

Nei libri di Samuele

 

All’interno del primo e del secondo libro di Samuele, oltre che nei brani concernenti l’amicizia fra Davide e Gionatan, il verbo ‘ahàb è riscontrabile in altri otto testi biblici, per complessive ulteriori undici referenze. In questa sezione del nostro studio desideriamo elencare e commentare brevemente cinque di questi passi, che per lo più sono stati già menzionati in precedenza, escludendo quelli di 2Samuele 13:1,4,15 che verranno commentati successivamente, quando parleremo delle referenze “licenziose” del verbo ‘ahàb.

 

Nel primo libro di Samuele salta agli occhi il testo di 1Samuele 1:5, inserito nella bellissima storia d’amore di Elcana per sua moglie Anna, che era sterile ed oggetto di scherno da parte dell’altra moglie di Elcana, Peninna. Nel nostro versetto, in particolare, sta scritto che Elcana, ogniqualvolta si recava a Silo per offrire sacrifici al Signore, dava a Peninna ed ai suoi figli la parte contemplata dalla Legge, ma “…ad Anna dava una parte doppia, perché amava Anna, benché il Signore l’avesse fatta sterile…”

Naturalmente, siamo di fronte ad un sentimento puro ed assolutamente positivo, vissuto da un marito che si mostra teneramente affezionato alla sua legittima moglie e, per questo, cerca in tutti i modi di incoraggiarla e di sollevarne il morale. Dando ad Anna una parte doppia del sacrificio offerto al Signore per celebrare le sue benedizioni, Elcana dimostrò concretamente, con un gesto plateale quanto sincero, il suo profondo amore per Anna, che sussisteva a prescindere dal fatto che ella fosse sterile.

 

Il secondo brano di 1Samuele, in cui il verbo ‘ahàb viene utilizzato, è in 1Samuele 16:21, in cui si narra del re Saul che, allo scopo di combattere quello spirito cattivo che cominciava a tormentarlo, trovò in Davide un valente sonatore d’arpa e lo volle al suo servizio, fino al punto che “…gli si affezionò molto e lo fece suo scudiero”.  Davide, all’inizio, aveva trovato grazia agli occhi del re Saul (v. 22), il quale manifestò grande affetto e fu molto gentile con il giovane arpista, anche perché la sua “musicoterapia” produceva ottimi effetti su di lui (v. 23): l’amore di Saul per Davide, quindi, era del tutto positivo anche se non disinteressato.

 

Passando ora al secondo libro di Samuele, troviamo innanzitutto il passo di 2Samuele 1:23 nel quale, all’interno della meravigliosa elegia funebre di Davide per Saul e Gionatan, il nuovo re d’Israele ebbe parole di stima e d’affetto non soltanto per il figlio ma anche per il padre, affermando  tra l’altro:

“Saul e Gionatan, tanto amati e tanto cari mentre erano in vita…”

Qui Davide considera “caro” per lui e da lui “amato” (dal verbo ‘ahàb) non soltanto Gionatan ma anche Saul, ed è davvero difficile dimostrare che Davide potesse nutrire sentimenti e vivere pratiche omosessuali anche nei confronti del suo principale nemico… Il verbo ‘ahab, piuttosto, anche in questo caso esprimeun sincero e genuino affetto tra esseri umani, apprezzabile quanto invidiabile: Davide aveva dimenticato e perdonato tutti i torti subiti da Saul, tanto da considerarlo amabile e gentile, facendo emergere solo i lati migliori e nascosti del suo carattere.

Secondo un’altra possibile interpretazione dell’inciso al nostro esame, Davide mostra qui non tanto il proprio affetto verso i due uomini, quanto piuttosto l’amore di tutto il popolo per il re e per suo figlio, appena morti in battaglia. È come se il versetto dicesse: quand’era con Gionatan, il re Saul era particolarmente stimato ed apprezzato dal popolo d’Israele, che lo amava per il suo carattere gradevole. Insieme erano fortissimi e l’amore del popolo per loro, manifestato quand’essi erano in vita, doveva continuare anche ora che erano morti. In ogni caso, anche aderendo a tale ipotesi interpretativa, ci troveremmo di fronte ad un sentimento puro e legittimo, nutrito da un intero popolo verso due persone, che pertanto non può essere confuso con qualsiasi forma di omofilia.

 

Un altro testo da esaminare all’interno do 2Samuele è quello di 2Samuele 12:25, dove c’è scritto che “Il Signore amò Salomone, e gli mandò il profeta Natan che lo chiamò Iedidia, a motivo dell’amore che il Signore gli portava”

Se il verbo ‘ahàb denotasse un sentimento ed una volontà omosessuale, allora anche il Dio tre volte santo dovrebbe essere tacciato di approvare e persino di nutrire egli stesso questo genere di atteggiamenti e di comportamenti. Non v’è chi non veda, però, l’assurdità e la contraddittorietà di un tale pensiero, non foss’altro perché il Dio tre volte santo ha sempre chiaramente manifestato la sua opposizione a tali pratiche abominevoli.

Ad ogni buon fine, in questo passo della Scrittura intravediamo tutto l’amore e la grazia di Dio verso Iedidia: il re Salomone era progenie di adulteri (Davide e Bath-Sceba), ma il Signore lo ha amato ugualmente e gli ha dato un nome nuovo, costruito con il verbo ‘ahàb, nome che significa “diletto dell’Eterno, amico o amato dal Signore”. Questo è vero amore, disinteressato quanto capace di andare oltre il peccato, per il bene della persona che si ama. E quest’amore viene reso dal verbo ‘ahàb, correttamente utilizzato anche per l’amicizia fra Davide e Gionatan.

 

L’ultimo brano del secondo libro di Samuele in cui è dato rinvenire il verbo ‘ahàb è quello di 2Samuele 19:6. Nel suo contesto immediato troviamo Ioab, capo dell’esercito di Davide, che si reca coraggiosamente dall’ormai vecchio re per contestare, con vigore, il cordoglio di quest’ultimo per la morte del figlio Absalom, il quale aveva usurpato il suo trono e poi era caduto in battaglia sotto i colpi della gente di Davide. Nel nostro versetto, in particolare, Ioab accusa il re di mostrare amore per chi ha manifestato odio nei suoi confronti, e di non dare nessuna soddisfazione a coloro che, viceversa, avevano più volte rischiato la vita per proteggerlo. Le parole precise di Ioab sono le seguenti:

“Tu ami quelli che ti odiano e odi quelli che ti amano…”

Si tratta di espressioni verbali forti e dure, che formano una colossale iperbole: esse pongono un contrasto stridente fra due sentimenti opposti, e così facendo esaltano le caratteristiche di entrambi. Secondo la terminologia di Ioab, da un lato c’è l’odio, che Absalom aveva dimostrato per suo padre ribellandosi alla sua autorità e addirittura costringendolo a fuggire e ad abbandonare nelle sue mani il trono d’Israele (15:1-14). Dall’altro lato c’è l’amore di una parte del popolo e dell’esercito fedele a Davide, che lo ha difeso strenuamente e ha rischiato la propria vita pur di riportare il sovrano sul suo trono (15:15; 18:1-8).

In mezzo, poi, si trovano i sentimenti di Davide, che Ioab estremizza per renderli ancora più chiari: il suo cordoglio per Absalom sa di “amore” filiale non meno di quanto sappia di “odio” il suo disinteresse per la vittoria militare riportata dai propri uomini sull’esercito dei ribelli. In tutto ciò, il verbo ‘ahàb si staglia nella sua positività, accresciuta non poco dal contrasto stridente con la negatività dell’odio presentato in sua opposizione. Niente di negativo, pertanto, in quell’amore, proprio come niente di positivo potrebbe scorgersi in quell’odio.

 

 

Nel Cantico dei Cantici

 

Un discorso a parte va fatto per l’uso di ‘ahàb nel libro del Cantico dei Cantici, scritto dal re Salomone. Il nostro verbo è attestato 17 volte nel libro in questione, e sempre per rappresentare un “amore” puro e legittimo fra due esseri umani di sesso diverso, da non confondersi in nessun caso con tendenze e pratiche omosessuali fra esseri umani dello stesso sesso. Se talvolta, nel Cantico, vengono espresse anche manifestazioni di chiaro desiderio sessuale, mai esse hanno un contenuto volgare o pornografico; d’altro canto, non mancano versetti in cui quest’amore è del tutto disinteressato se non addirittura di stampo platonico.

Nella maggior parte dei casi, per la precisione in 11 versetti, siamo di fronte all’amore di una donna per un uomo, che è ricco di sentimentalismo, di slancio e di abbandono emotivo nei riguardi della persona amata.

Alcuni commentatori prediligono una lettura “mistica” o “tipologica” del Cantico dei Cantici, secondo cui in realtà quest’amore prefigurerebbe quello di Cristo per la Chiesa e viceversa: in questo caso, il verbo ‘ahàb sarebbe ancor più contraddistinto da purezza e da liceità, visto che esso rappresenterebbe proprio un amore aulico e spirituale, lontano mille miglia da qualsiasi passione di tipo sessuale, meno che mai di tipo omosessuale.

I brani in questione sono, in particolare, in 1:3,4,7; 2:4,5; 3:1,2,3,4,10 e 5:8 e qui di seguito li riportiamo:

• “Il tuo nome è un profumo che si spande, perciò ti amano le fanciulle!”

• “Noi celebreremo le tue carezze più del vino! A ragione sei amato!”

• “…O tu, che il mio cuore ama…”

• “L’insegna che stende su di me è amore…”

• “Sostentatemi con mele, perché sono malata d’amore!”

• “Sul mio letto, durante la notte, ho cercato l’amore mio…”

• “Cercherò il mio amore, l’ho cercato ma non l’ho trovato…”

• “…Ho chiesto loro: «Avete visto il miamore?»“

• “Da poco le avevo passate, quando trovai il mio amore…”

• “In mezzo è un ricamo, lavoro d’amore…”

• “Se trovate il mio amico che gli direte? Che sono malata d’amore!…”

Secondo la lettura “sentimentale” del Cantico dei Cantici, ci troviamo di fronte a una donna profondamente innamorata del suo uomo (con ogni probabilità, una serva sulamita invaghita del re Salomone). In questi versetti, pertanto, è possibile  scorgere tutta la delizia di un amore che viene paragonato ai migliori profumi (1:3) e che, nella sua sensuale eroticità, conserva comunque un carattere casto e delicato (1:4). Sono descritti poeticamente quello slancio e quell’abbandono tipici dell’innamoramento femminile, e s’intravede anche un profondo coinvolgimento emotivo della persona che ama (1:7) nonché il suo desiderio di ricevere protezione e tenerezza dalla persona amata (2:4).

La donna, qui, vive una profonda agitazione interiore a causa del suo innamoramento, e ciò le provoca un vero e proprio stato di malessere psicofisico, dovuto alla lontananza della persona amata (2:5, 5:8). Forse nell’ambito di un sogno, ci viene riferito che la donna cerca appassionatamente il suo amato (3:1) e che, non trovandolo, cresce il suo desiderio di stare con lui (3:2), fino al punto di coinvolgere altri nella ricerca di lui. Ciò ad ulteriore dimostrazione chequest’amore è assolutamente puro e lecito (3:3, 5:8), perché esso sublima sé stesso nel momento in cui la persona amata viene finalmente ritrovata (3:4) e poi manifesta tutto il suo contenuto sentimentale allorché crea un prezioso ricamo al centro della spalliera del sedile dell’amato (3:10).

La lettura “tipologica” o “mistica”, invece, scorge in quest’amore, della donna per il suo uomo, una somiglianza con l’amore di Dio per Mosè (es. cfr Nu 12:8) e, più in generale, un parallelo con l’amore di Dio per tutta l’umanità, nonchè con quello che l’umanità dovrebbe avere per Dio (1:3-4). In ogni caso, naturalmente, si tratta di un sentimento puro per definizione, che in 1:7 viene paragonato a quello, sincero e forte, che ogni figlio di Dio dovrebbe avere per il suo Signore Gesù Cristo. In questo senso, l’insegna di 2:4 diventa simbolo della sua vittoria sulla croce per riscattare l’umanità dal peccato, e in tale vittoria l’amore risulta ovviamente l’elemento più importante, tanto da essere tipizzato anche nel “lavoro d’amore” di cui parla 3:10.

Ancora. In 2:5 viene intravisto il vero amore del credente, che non può non soffrire quando il suo spirito si allontana da Cristo e dalla sua Parola; allo stesso modo, la ricerca spasmodica di 3:1-4 viene collegata al bisogno del figlio di Dio di essere in comunione col suo amato Signore, ricerca che può essere soddisfatta solo dal Signore stesso e non da altri uomini o dalla Chiesa, per quanto preziosa possa essere la comunione fraterna. L’assenza di Cristo, infatti, provoca nel vero credente uno stato di “malattia”, di carattere spirituale (cfr 5:8), che stimolerà la ricerca di lui e, alla fine, porterà al gioioso ritrovamento di una profonda comunione con Dio.

 

Passiamo ora agli ulteriori sei versetti del Cantico dei Cantici, nei quali troviamo ‘ahàb usato in rapporto all’amore dell’uomo per la sua donna. In nessun caso, comunque, in questi passi scritturali si riscontrano riferimenti a passioni sessuali illecite o pornografiche, che purtroppo tante volte caratterizzano la sessualità maschile. Prevale, piuttosto, un’impostazione definitoria ed asettica dell’amore che l’uomo sta vivendo e degli stessi attributi femminili appartenenti alla donna amata. Elenchiamo, a questo punto, i versetti 2:7; 3:5; 7:7 e 8:4, 6, 7:

• “Non svegliate, non svegliate l’amore mio, finché lei non lo desideri!” (2:7, 3:5, 8:4)

• “Quanto sei bella, quanto sei piacevole, amore mio, in mezzo alle delizie!”

• “…L’amore è forte come la morte…”

• “…Le grandi acque non potrebbero sommergere l’amore… Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio dell’amore, sarebbe del tutto disprezzato”

Secondo la lettura “sentimentale” del Cantico dei Cantici, ci troviamo di fronte ad un uomo che mostra dolcezza e tenerezza nei confronti della sua donna (2:7; 3:5; 8:4), chiedendo a tutti di non disturbare l’estasi del loro amore né il sonno della sua amata. Egli stesso desidera guardare questa donna nella sua platonica bellezza, per lui superiore a qualsiasi altra prelibatezza (7:7): ciò ha fatto pensare anche alla forza di quest’amore, che riesce ad unire due persone che si danno uno reciprocamente all’altra e che trovano, così, il completamento di sé.

In questi brani biblici non solo la donna, ma anche l’uomo appare coinvolto nei suoi sentimenti più profondi: egli lo dimostra definendo l’amore che sta vivendo e sottolineandone la forza e la stabilità; ormai tutto il mondo esterno non esiste più, e i due amanti si scambiano parole dolci e si promettono fedeltà ed appartenenza reciproca per tutta la vita (8:6-7). Più che di fronte all’èros greco, qui siamo in presenza, piuttosto, di un vero e proprio agàpe cristiano, dove viene innalzato non tanto il “mio” amore quanto piuttosto l’amore in assoluto, quello eterno e indivisibile, genuino e indistruttibile.

La lettura “tipologica” o “mistica”, dal canto suo, individua in questi versetti tutto il potere dell’amore di Cristo per la sua Chiesa: si tratta di un sentimento reale, forte e intenso, inestinguibile e d’inestimabile valore, tale che ha portato il Signore a dare sé stesso sulla croce, per noi peccatori. Di contro, per  altro, l’amore dei credenti a favore di Cristo dovrebbe essere sincero e intrepido, tanto da risultare superiore a qualsiasi tentazione mondana e più importante di qualunque bene materiale.

 

 

Le referenze negative

 

L’ultima sezione del nostro studio è dedicata alle referenze “licenziose” del verbo ‘ahàb all’interno delle Sacre Scritture. Esse possono essere riscontrate in alcuni passi biblici che descrivono, in via del tutto eccezionale, amori di tipo spirituale oppure carnale che vengono chiaramente condannati dalla stessa Parola di Dio, talvolta anche in modo diretto all’interno dei brani stessi.

I tre principali significati del verbo ‘ahàb, da questo punto di vista, sono: il participio presente “amante”, il sostantivo “amore” e l’accezione verbale “innamorarsi, amare” con significati negativi. Esaminiamoli.

 

1. Amante.

Si tratta del participio m’ahèv del verbo ‘ahàb, che viene utilizzato soprattutto per indicare metaforicamente il peccato di idolatria.

In Ezechiele 16:33, per esempio, il Signore condanna fermamente l’operato del popolo d’Israele, che si è prostituito nelle sue idolatrie e ha persino “dato regali a tutti i suoi amanti” (vedi anche i successivi vv. 36 e 37). Allo stesso modo, in Ezechiele 23:5 troviamo tutta la tristezza di Dio che, nel ricordare il tradimento spirituale delle dieci tribù di Efraim, afferma che il suo popolo eletto “si prostituì, si appassionò per i suoi amanti, gli Assiri”; a causa di ciò, afferma solennemente l’Eterno, “Io l’abbandonai in balia dei suoi amanti, per i quali si era appassionata” (v. 9).

Anche nel libro del profeta Osea scorgiamo l’indignazione di Dio che, usando la figura allegorica della moglie infedele, ricorda come Israele abbia fatto una precisa scelta: “Seguirò i miei amanti!” (Os 2:5; cfr v. 13); ma di tale scelta Israele si pentirà perché, come preannuncia il Signore, questo popolo ribelle “correrà dietro ai suoi amanti ma non li raggiungerà; li cercherà ma non li troverà!” (v. 7). Il Signore stesso promette a Israele: “Ora scoprirò la tua vergogna, agli occhi dei tuoi amanti” (v. 10; cfr Ez 16:37), e afferma altresì che devasterà proprio quelle vigne e quei fichi dei quali il popolo diceva: “Sono il compenso che mi hanno dato i miei amanti” (v. 12).

Geremia, dal canto suo, aveva riportato le parole di Dio che, con grande dolore e indignazione, alla fine della storia di tradimento spirituale d’Israele aveva affermato: “tutti i tuoi amanti ti hanno dimenticata, non si preoccupano più di te” (Gr 30:14; cfr, nello stesso senso, Ez 16:39-41).

In tutti questi versetti, è evidente che il linguaggio utilizzato è palesemente metaforico e che, peraltro, in tutti questi casi Dio condanna apertamente e senz’appello questi “amori”, esattamente al contrario di quanto egli faccia nella maggior parte degli altri casi in cui la Bibbia utilizza il verbo ‘ahàb che, di norma, ha significati positivi o quantomeno neutrali.

 

2. Amore.

Si tratta del sostantivo ‘ahàb, presente talvolta con la variante del plurale ‘ahabarìm, che rende l’idea del piacere illecito, della lussuria. In altre parole, siamo di fronte ad una chiara licenziosità sessuale, senza alcun uso di metafore: anche in questi casi, la Scrittura è chiara nel condannare la condotta descritta, nonché nell’evidenziare l’eccezionalità dei versetti in cui tale significato è riscontrabile.

In realtà, nella Bibbia vi è un unico brano in tal senso, ed è quello di Proverbi 7:18 in cui, parlando del comportamento e delle parole immorali di una donna di malaffare, troviamo il suo invito licenzioso: “Vieni, inebriamoci d’amore fino al mattino, sollazziamoci in amorosi piaceri!”La condanna di Dio è chiara ed univoca, nel contesto di questo brano, sia nei confronti della donna adultera e prostituta (vv. 10,11,26,27), sia nei riguardi dell’uomo che cade nei suoi tranelli illeciti (vv. 7,22-24). A rincarare la dose, valgono certamente le forti esortazioni, contenute nello stesso brano biblico, volte ad allontanarsi da tali pratiche immorali e dannose (vv. 1-5,24-27).

 

3. Innamorarsi, amare.

Sono tre i passi biblici e due gli episodi della Scrittura in cui troviamo di nuovo ‘ahàb nella sua forma verbale, reso però con “amare, innamorarsi” e con significati illeciti e licenziosi. In tutti i casi in esame, riscontriamo sia l’eccezionalità dell’uso del nostro verbo in questo senso negativo, sia l’evidente disapprovazione divina su ciascuno degli episodi narrati.

Il primo brano è quello relativo alla storia di Sichem e Dina: sta scritto che il giovane principe del paese pagano vide questa bella ragazza, la rapì e la violentò sessualmente (Ge 34:2). In seguito scoprì che Dina era figlia di Giacobbe e convinse suo padre a chiederla in sposa per sé (v. 3). Ciò che egli aveva fatto a Dina, però, era chiaramente “un’infamia, una cosa che non era da farsi” (v. 7), in quanto aveva “disonorato” una figlia d’Israele (v. 5).

Appare evidente che la Scrittura non approvi in alcun modo il comportamento di Sichem, del quale sta anche scritto che “rimase affezionato a Dina, amò la giovane e parlò al cuore di lei” (v. 3). Quest’amore, dunque, ha connotati negativi davanti al Creatore dei cieli e della terra il quale, nella sua perfetta santità, non mancherà di condannare anche la reazione sproporzionata ed esagerata di Simeone e di Levi, fratelli di Dina, che in seguito vendicheranno la sorella sterminando tutti i maschi della famiglia di Sichem e dell’intera città (v. 25-27).

Il secondo passo biblico, in cui troviamo ‘ahàb nella sua forma verbale con un significato negativo, è quello di 2Samuele 13:1, 4 nel quale viene narrata la triste storia dell’incesto al quale Amnon, figlio di Davide, costrinse la sua sorellastra Tamar. In questi versetti leggiamo che “…Tamar era bella e Amnon se ne innamorò…”, ma si trattava di un sentimento insano e contro natura, della cui illiceità Amnon era così cosciente da rimanerne frustrato e depresso, sino addirittura ad ammalarsene. In seguito, lo stesso Amnon ammise candidamente questo suo desiderio immorale, confessandolo al suo amico e cugino Ionadab:“Sono innamorato di Tamar, sorella di mio fratello Absalom”.

Naturalmente si tratta di un amore illecito davanti a Dio, se non proprio di un’abominevole empietà, indegna di un figlio di Davide, che la Bibbia condanna drasticamente, senza nasconderne in alcun modo l’essenza egoistica e peccaminosa. La stessa Tamar, dopo essere stata afferrata da Amnon e aver ricevuto la sua proposta di commettere fornicazione (v. 11), disse al fratellastro: “Questo non si fa in Israele; non commettere una tale infamia!… Tu saresti considerato un infame in Israele!” (v. 12-13).

L’incesto, purtroppo, si verificò ugualmente e questa violenza portò anche all’omicidio di Amnon da parte del fratello di Tamar, Absalom (v. 30-33). Ma è significativo notare che, subito dopo l’odioso atto di fornicazione, Amnon provò verso Tamar “un odio fortissimo; a tal punto che l’odio per lei fu maggiore dell’amore di cui l’aveva amata prima” (v. 15). Questo mutamento improvviso e totale, senz’altro comprensibile sotto il profilo psicologico, è la prova certa che qui regnava la passione e l’egoismo e che tali sentimenti negativi non hanno nulla a che fare con il vero amore, anche se possiamo adoperare gli stessi verbi per rendere entrambi i concetti.

Appare evidente, allora, che quest’amore in realtà era solo un afflato di puro egoismo, volto a soddisfare una passione illecita ed a gratificare degli istinti animaleschi, senza alcun sentimento di rispetto e di slancio altruista verso il prossimo. Il verbo ‘ahàb, pertanto, in questo caso ha connotati chiaramente e fortemente negativi, che si differenziano da quelli ordinari e positivi dello stesso verbo.

A margine di questi brani possiamo concludere ricordando che, nel pensiero di Dio espresso nella sua Parola, l’omosessualità ha anch’essa connotati univocamente negativi ed illeciti, per cui è certo che la Bibbia, se ha stigmatizzato la fornicazione di Sichem e l’incesto di Amnon, avrebbe altrettanto chiaramente condannato un eventuale rapporto omosessuale fra Davide e Gionatan, dal momento che nei rispettivi brani viene utilizzato lo stesso verbo ‘ahàb. Al contrario, invece, dalla Scrittura emerge che il rapporto fra questi due giovani fu caratterizzato da lealtà e sincerità, all’interno di un’amicizia forte e profonda che è sicuramente lecita e positiva, se non esemplare anche per noi uomini e donne di oggi.

 

Non possiamo terminare il nostro lavoro senza prima delineare alcuni tratti riepilogativi dello studio fin qui portato avanti, e senza altresì elencare alcune proposte di applicazioni pratiche con cui “incarnare” tutto ciò che il Signore ci ha voluto insegnare con la Sua Parola nel corso di questa ricerca.

 

 

Conclusioni

 

1. Di norma, il verbo ‘ahàb è usato nella Bibbia per indicare affetti profondi e amori legittimi e puri, sia di origine divina che di provenienza umana.

2. In poche ed eccezionali occasioni, il verbo ‘ahàb indica invece delle relazioni illecite, chiaramente disapprovate da Dio.

3. Di conseguenza, si può senz’altro affermare che il verbo ‘ahàb individua, per lo più, sentimenti e pratiche affettuose che risultano positive ed approvate da Dio, tranne i casi esplicitamente e chiaramente trattati dalla stessa Scrittura come negativi.

4. L’amore fra Davide e Gionatan rientra senz’altro nel primo novero di casi, dato che i passi biblici che ne parlano non fanno intravedere alcun elemento che possa accomunarli ai testi eccezionali in cui ‘ahàb possiede connotati negativi.

5. L’amore fra Davide e Gionatan, pertanto, fu un sincero e genuino affetto fra due giovani seri e timorati di Dio, i quali hanno vissuto una profonda e preziosa amicizia, purtroppo assai rara al giorno d’oggi.

 

 

Applicazioni

 

1. Lo studio sull’amore fra Davide e Gionatan mi ha insegnato, innanzitutto, a non imitare chi si pone al di sopra della Bibbia e poi, con uno spirito di orgoglio e di giudizio, cerca di individuare limiti e contraddizioni nella Parola di Dio.

2. Al contrario, questo studio mi ha confermato che l’atteggiamento migliore da tenere è quello dell’umiltà dinanzi alle Sacre Scritture, che devo sempre più amare e rispettare perché esse sono state ispirate dallo Spirito Santo.

3. In particolare, per quanto concerne l’amicizia fra Davide e Gionatan, lo spirito di sincera sottomissione alla Parola di Dio conduce ad evidenziare tutta la ricchezza e la profondità di un rapporto umano che m’insegna tanto, anche per impostare nel modo migliore le mie relazioni d’amicizia: in particolare, la lealtà e l’ancoraggio alla comune fede in Dio mi sono parsi due ingredienti assai istruttivi.

4. Per quanto riguarda, poi, la stessa parola “amore”, questo studio mi ha confermato sia ricca di significati e di sfaccettature: in particolare, per Dio l’amore è importantissimo e nella sua Parola troviamo solo in via eccezionale dei significati negativi, mentre prevalgono la sincerità e la profondità dei sentimenti e delle azioni, oggi piuttosto rari!

5. Per quel concerne, infine, il tema dell’omosessualità, dalla Bibbia imparo a dire pane al pane e vino al vino: Dio approva solo i rapporti eterosessuali all’interno del vincolo matrimoniale, e ancora oggi il mondo ha bisogno che noi cristiani proclamiamo la verità del Vangelo, anche se ciò dovesse costarci impopolarità e derisione.