Introduzione
Se c’è un brano, nel Nuovo Testamento, che sintetizza in modo sublime la Persona e l’opera di Gesù Cristo, è quello di Filippesi 2:5-11. Sospinto dallo Spirito Santo, l’apostolo Paolo tratteggia così la preesistenza, l’abbassamento e la glorificazione della seconda Persona della Trinità:
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce.
Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio, nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”.
Questo splendido passo della Scrittura ha rapito il mio cuore sin dalla prima volta che l’ho letto, e ha letteralmente catturato tutta la mia attenzione spirituale.
Molte domande si sono affollate nella mia mente:
Chi era Gesù Cristo prima di venire su questa terra?
Quali sono i motivi della sua venuta?
E qual è veramente il prezzo che egli ha dovuto pagare, fino in fondo, per redimere l’umanità peccatrice?
Inoltre: qual è la posizione attuale ed il ruolo spirituale del Cristo nell’economia divina?
Cosa possiamo imparare noi da tutto ciò?
Dopo aver cercato nelle Sacre Scritture le risposte a queste ed altre simili domande, il Signore mi ha spinto a scrivere degli appunti e, successivamente, a preparare questo studio.
Il contesto del brano
Prima di esaminare il brano in oggetto, desidero dare uno sguardo alla lettera ai Filippesi in generale, soffermandomi anche sul contesto in cui il nostro testo si situa, per poi delineare quali siano gli obiettivi ed i metodi della ricerca che abbiamo realizzato.
La lettera ai Filippesi, secondo la maggior parte dei commentatori fedeli all’ispirazione divina della Bibbia, è stata scritta tra il 59 e il 64 d.C. con autore l’apostolo Paolo, come dimostrano anche gli ampi tratti autobiografici presenti nella lettera (es. 3:5-12; cfr At 22:3).
Il luogo di redazione fu, con ogni probabilità, la prigione di Roma, e la stesura si verificò durante la prima detenzione dell’apostolo nella capitale dell’Impero, detenzione dovuta alla sua predicazione del Vangelo (cfr 1:7)
Questa lettera è destinata alla chiesa che era a Filippi, come dimostra chiaramente il primo versetto e l’intera epistola.
I temi principali sono l’amore fraterno e la necessità dell’unità fra i credenti. In questa lettera viene insegnato il segreto per una vita gioiosa: non troviamo mai il termine “peccato”, mentre invece rinveniamo sette volte la parola “gioia” e altre otto volte il verbo “rallegrare” o simili. In altri termini, il clima che si respira in quest’epistola è impregnato di affetto fraterno e di profonda gioia in Cristo.
Lo specifico brano al nostro esame, ovvero i versetti da 5 a 11 del capitolo 2, occupa una specifica posizione all’interno della lettera, che possiamo definire privilegiata perché ne costituisce in qualche modo il centro, dal punto di vista strutturale ma soprattutto sotto il profilo della rilevanza contenutistica.
L’intera epistola, infatti, può essere suddivisa nelle seguenti otto parti (fra le tante possibili suddivisioni riporto qui quella proposta da Giovanni Luzzi):
1. dopo il prologo dedicato ai cristiani di Filippi (1:1-11) e dopo alcune notizie personali dell’autore (1:12-26),
2. vi sono delle esortazioni all’unità (1:27-2:11) e alla fedeltà cristiana (2:12-18),
3. alle quali seguono alcune notizie su Timoteo ed Epafrodito (2:19-30) e una digressione sulla necessità di un costante progresso nella vita cristiana (3:1-4:1),
4. le quali preludono alle ultime raccomandazioni ed esortazioni apostoliche (4:2-9) nonché allaconclusione ed ai saluti, che chiudono la lettera (4:10-23).
Nella sezione concernente le esortazioni all’unità cristiana (1:27-2:11), notiamo che è possibile operare un’ulteriore suddivisione: Paolo parla innanzitutto dell’unità come segreto della vittoria spirituale della chiesa (1:27-30) e successivamente tratta dell’unità creata e garantita dall’umiltà e dall’abnegazione (2:1-5), per poi dedicarsi all’esempio per eccellenza in tal senso, ovvero Gesù Cristo (2:5-11).
Appare chiara, dunque, la centralità del brano che desideriamo esaminare in questo studio: non si può parlare di vera unità cristiana senza riferirsi a chi è il fondamento e la garanzia di tale unità; non si può parlare di umiltà e di abnegazione, necessarie per vivere l’unità, se non si torna al Modello e non si impara da lui (Mt 11:28-29), dato che egli ha dato la sua vita per i peccatori.
Se questo è il tema centrale del nostro brano e dell’intera lettera ai Filippesi, l’obiettivo del presente studio sarà quello di fornire una chiara visione delle caratteristiche e delle conseguenze dell’ubbidienza di Gesù al supremo mandato lasciatogli dal Padre. Naturalmente, il nostro desiderio è che tutto ciò non resti a livello teorico ed intellettuale, ma che produca piuttosto una maggiore imitazione di Cristo nella vita di tutti i giorni.
Inoltre, per chi non ha ancora creduto in lui, il nostro desiderio è che la Parola commentata in questo studio lo conduca all’ubbidienza alla Parola fatta carne e che, di conseguenza, egli pieghi ora le sue ginocchia davanti alla croce dell’Agnello di Dio che ha tolto il peccato del mondo.
L’autorità di Dio come principio generale
Nella Parola di Dio è possibile scorgere un principio generale secondo cui l’intero universo è sottoposto all’autorità di Dio: egli ha creato tutte le cose per mezzo di suo Figlio (cfr Cl 1:16) e tutte le cose create in realtà sussistono e vengono sostenute per mezzo di Gesù Cristo e con la potenza della sua autorità (cfr Cl 1:17; Eb 1:3).
L’esercizio dell’autorità è esclusivo appannaggio di Dio, che può comunque delegare la sua autorità secondo regole e procedure delineate nella sua Parola.
Tale autorità, inoltre, è appannaggio di tutte e tre le Persone della Trinità:
• Di Dio Padre, anche perché è lui che siede sul Trono ed è lui che nella storia ha mostrato più volte la sua onnipotenza, quale segno tangibile di un’autorità sovrana che non ha pari né rivali. Si tratta, però, di un’autorità che Dio Padre delega in modo chiaro ed esplicito nella società (cfr Ro 13:1-7), nella famiglia (cfr Ef 5:22-24) e nella chiesa (cfr Eb 13:17).
• Di Dio Figlio, tra l’altro perché sta scritto che, proprio con l’autorità della Parola, Dio creò il mondo (Ge 1:2, 6, 9 ecc.) e sappiamo che tale autorità fu rivelata pienamente quando il Cristo visse in mezzo agli uomini, dicendo e facendo cose che nessuno aveva mai detto e fatto (cfr Mt 7:28; Mc 7:37).
• Di Dio Spirito, ad esempio perché la sua autorità si manifesta chiaramente nei riguardi dell’umanità, in quanto egli è in grado di convincere il peccatore del suo stato senza speranza (cfr Gv 16:8), ma è potente anche da rigenerarlo (cfr Tt 3:5) e dargli una nuova vita di origine divina, garantita dal proprio sigillo, che è pegno sicuro dell’eredità futura (cfr Ef 1:13-14).
Come reazione al principio generale dell’autorità di Dio conseguono altri due princìpi, fra di loro opposti e complementari: quello della ribellione e quello dell’ubbidienza, che vogliamo adesso esaminare.
Il principio conseguente della ribellione
Una prima possibile reazione all’autorità di Dio è data dalla ribellione e dalla disubbidienza.
Agli albori della creazione di Dio, esisteva solo l’autorità del Creatore e l’ubbidienza delle creature, ma ad un certo punto della storia si verificò una ribellione fra le schiere angeliche ed una parte di questi straordinari esseri spirituali si oppose a Dio ed alla sua autorità, riuscendo in seguito a condizionare in qualche modo l’intera umanità:
• Secondo la nostra comprensione delle Scritture, Lucifero fu la prima creatura e il primo angelo di Dio a ribellarsi all’autorità del suo Creatore, portando dietro a sé molti altri angeli, i quali persero la loro comunione con il Signore.
Lucifero era uno dei più importanti angeli di Dio, ma si inorgoglì e desiderò diventare come il suo Re (cfr Is 14:12-15; Ez 28:13-17); tutto ciò gli costò l’allontanamento da Dio e la sua trasformazione in Satana, capo dei demòni o angeli decaduti.
• Il secondo stadio di diffusione del principio della ribellione vede protagonisti Adamo ed Eva, che cedettero alle lusinghe di Satana e disobbedirono a Dio mangiando del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (cfr Ge 2:16; 3:1-6); in tal modo il peccato entrò nel DNA spirituale della prima coppia e fu in seguito trasmesso a tutto il resto dell’umanità (cfr Ro 5:12).
• Le conseguenze di tali disubbidienze all’autorità di Dio sono, ancora oggi, sotto gli occhi di tutti: il principio della ribellione è diffuso in tutto il mondo e in tutte le epoche, senza distinzioni di cultura e di nazionalità; l’uomo è disperatamente separato da Dio ed è ribelle alla sua volontà, e manifesta tutto ciò nei pensieri corrotti e nelle azioni malvagie, sia dei singoli che delle collettività.
Il principio conseguente dell’ubbidienza
Esiste, però, una seconda ed opposta possibilità di reazione al principio dell’autorità divina, ed è il principio dell’ubbidienza: nel mondo spirituale esso è vissuto in modo perfetto dagli angeli che non si sono ribellati e sono rimasti fedeli a Dio, mentre nel mondo materiale esiste un Capostipite che ne è perfetto esempio e che è stato, e viene ancora, imitato dai suoi discepoli. Più in particolare:
• il Capostipite, naturalmente, è Gesù Cristo, il quale imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì (Eb 5:8): egli fu sempre e perfettamente ubbidiente al Padre nella sua vita terrena (es. Gv 12:49), fino alla morte della Croce. Per questo, all’inizio del suo ministero su questa terra, il Cristo fu tentato da Satana a ribellarsi a Dio Padre, ma egli vinse queste tentazioni con la potenza della Parola (Mt 4:1-11).
• Di conseguenza, è data anche agli uomini la possibilità di ubbidire all’autorità di Dio, nonostante noi uomini siamo progenie di Adamo e siamo portatori di una natura peccaminosa e ribelle al nostro Creatore. Innanzitutto l’uomo è chiamato ad ubbidire al messaggio di salvezza del Vangelo (cfr 2Te 1:8) per avere la vita eterna; in seguito, come figlio di Dio in cui dimora lo Spirito Santo, il credente può e deve vivere una costante ubbidienza quotidiana (cfr Fly 2:12) ai comandamenti di Dio ed alle autorità da lui delegate, tramite la potenza del Suo Spirito.
Ordine e metodo della successiva trattazione
Nel prossimo articolo cominceremo ad inoltrarci nel testo di Filippesi 2:5-11, allo scopo di gustare almeno una parte delle sue meravigliose ricchezze.
Considererò quattro aspetti che il testo biblico ci rivela:
• Vedremo ciò che il nostro brano rivela intorno al passato, con riferimento all’ubbidienza di Gesù nella sua vita terrena.
• Poi vedremo il dato scritturale relativo al presente e alle attuali conseguenze, per Gesù stesso, della sua ubbidienza, vissuta quand’era sulla terra.
• La terza parte sarà dedicata al futuro ed alle conseguenze dell’ubbidienza di Gesù per gli increduli.
• Mentre la quarta ed ultima parte tratterà le conseguenze dell’ubbidienza di Gesù per i credenti, sia nel presente che nel futuro.
Tale suddivisione non è scollegata dal metodo che abbiamo scelto nell’impostazione della ricerca che ora ci accingiamo a presentare: tale metodo è quello della centralità della Bibbia, intesa come Parola ispirata da Dio e, per la sua grazia, rivelata all’umanità (cfr 2Ti 3:16).
Noi crediamo che “la somma della tua Parola è verità” (Sl 119:160) e che la Scrittura è capace di rendere santo qualsiasi uomo, perché essa stessa è verità (cfr Gv 17:17), essendo stata purificata col fuoco del Signore (cfr Pr 30:5).
Per questo, prediligeremo l’esame esegetico del brano di Filippesi 2:5-11 e cercheremo di analizzare parola per parola il testo, al fine di scoprirne tutta la ricchezza e la profondità.
In questo studio, quindi, non ho intenzione di distrarre la nostra attenzione dal testo biblico ispirato da Dio e tenterò, con l’aiuto dello Spirito Santo, di non allontanarmene, rischiando di inoltrarmi nei tortuosi meandri dei dogmi religiosi o della teologia umana.
Chi gradisce concentrarsi su quanto il Signore afferma nella sua Parola, potrà trovare pane per i suoi denti ed approfondire ulteriormente il tema, ma chi preferisce le mere discussioni intellettuali sul testo biblico, farà meglio a concludere qui la lettura di questa studio.