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Legislazione iniqua

 

La testimonianza di Lucia e Gian Carlo Di Gaetano (vedi IL CRISTIANO n. 5/2010; pagg. 236-239) ha aperto la strada ad una riflessione sul confronto quotidiano che i nostri figli sono costretti ad affrontare nella loro frequenza scolastica, a causa del loro essere resi “diversi” non tanto dalle scelte di fede dei loro genitori quanto piuttosto da una legislazione iniqua che, legittimando una sempre più massiccia invadenza della chiesa cattolica ha trasformato la Scuola pubblica (= scuola di tutti) in una realtà fortemente discriminante.

 

Fra l’altro, a distanza di venticinque dall’intesa Falcucci-Poletti (“Falcucci”: allora ministro della pubblica istruzione e “Poletti”: allora cardinale presidente della Conferenza Episcopale Italiana) non si è fatto assolutamente nulla, a livello normativo ed economico, per attivare le cosidette “attività alternative”.

Nessun ministro dal 1985 in poi si è preoccupato di affrontare il problema con una trasversalità di sudditanza alla chiesa cattolica che, politicamente, va da sinistra a destra, passando ovviamente per il centro.

 

In questo contesto la scelta di far restare o tornare a casa i nostri figli durante le ore di insegnamento della religione cattolica appare generalmente come il male minore ed è, infatti, la scelta che personalmente ho da sempre attuato e consigliato.

 

 

Alcune considerazioni

 

È possibile che la scelta, testimoniata dai coniugi Di Gaetano, di non percorrere la strada della contrapposizione (davanti all’annuncio della visita del vescovo nella scuola del loro figlio) possa ad alcuni apparire morbida.

 

Mi si consentano in merito alcune riflessioni:

 

• Come genitori cristiani evangelici abbiamo dei principi irrinunciabili indicatici dalla Parola di Dio per l’educazione e la formazione dei nostri figli che devono essere da tutti riconosciuti e condivisi. I nostri figli vivono però in contesti familiari, ecclesiali, sociali e scolastici diversi, talvolta molto diversi.

 

Non è detto perciò che l’applicazione dei principi debba essere sempre identica e sempre condivisa. Ci sono variabili, quasi sempre determinate dall’atteggiamento delle persone con cui siamo chiamati localmente a relazionarci, che possono determinare scelte diverse che non devono, per questo, incoraggiare una critica reciproca, ma piuttosto diventare motivo di riflessione e di arricchimento.

 

• Muovendosi con tatto nell’ambito di una legislazione pur iniqua, è possibile operare non soltanto pertestimoniare la nostra fede, ma anche per ottenere rispetto e protezione per i nostri figli.

 

Da una quindicina di anni l’Istituto Comprensivo Statale in cui sono presente come insegnante e da quattro anni di nuovo anche come genitore, ha un regolamento interno per cui la partecipazione degli alunni a cerimonie religione cattoliche, comprese visite del parroco per “l’acqua santa” o del vescovo, deve essere rigorosamente programmata per ogni classe nell’ambito esclusivo delle ore di insegnamento della religione cattolica.

Quando presi l’iniziativa di presentare questa proposta durante una seduta del Consiglio di Istituto, corredandola ovviamente con opportune motivazioni legislative e con riferimenti alle convinzioni di fede che mi animano, restai sorpreso perché la proposta fu da subito condivisa sia da insegnanti che da genitori e, messa ai voti, fu approvata all’unanimità.

 

• Ogni scelta va vissuta con coerenza. Per questo hanno pienamente ragione i coniugi Di Gaetano quando stigmatizzano il comportamento di chi, come i responsabili dell’Alleanza Evangelica Italiana, si contrappongono, anche per evidenti obiettivi di visibilità, alla visita nella scuola di un vescovo, salvo poi proseguire come se niente fosse in rapporti con personalità ed istituzioni cattoliche ai più alti livelli con evidenti implicazioni ecumeniche. È evidente che la contrapposizione non può essere vissuta a colpi di comunicati stampa, ma con una testimonianza sempre fedele e coerente.

 

 

Un contributo personale

 

In un piccolo avviso redazionale che accompagnava la testimonianza di Lucia e Gian Carlo Di Gaetano incoraggiavo “per la reciproca edificazione, l’eventuale contributo-testimonianza di altri genitori”.

Mi faccio carico di aprire la strada, con un contributo per la verità un po’ particolare, ma con la speranza che altri genitori mi seguano, magari anche soltanto ponendo domande.

 

Cinque anni fa, infatti, fui invitato a partecipare ad uno degli incontri organizzati dal Consiglio di Quartiere 5 del Comune di Firenze con lo scopo di scoprire l’orientamento educativo di varie “confessioni religiose”. Ad ognuna era stato dedicato lo spazio di un intero incontro. Da notare che la chiesa cattolica non risultava fra le“confessioni” invitate.

Il testo che segue è dunque il testo integrale di quel mio intervento.

 

Nell’invito che ho ricevuto per quest’incontro, mi è stato esplicitamente chiesto di affrontare tre argomenti in particolare:

1. Le differenze fra la religione cattolica e la realtà delle chiese evangeliche, di cui faccio parte.

2. Il significato e il valore che diamo, nella nostra realtà, al bambino.

2. Cosa troviamo di non rispettoso, in merito all’insegnamento religioso, nella scuola pubblica

 

 

Un errore di fondo

 

Mi è difficile affrontare in modo separato e schematico questi tre argomenti, perciò preferisco presentare nel loro insieme la specificità culturale e la posizione delle comunità evangeliche davanti al “problema dell’accoglienza degli studenti di altre fedi e culture nella scuola pubblica”, ben intendendo che questo problema ovviamente non sussisterebbe se all’interno di questa scuola non si fosse dato spazio ad una sola voce che, pur rappresentando la maggioranza dei frequentanti (sia alunni che docenti), crea nei confronti delle altre voci problemi di discriminazione e di emarginazione o, comunque, di diversità.

 

Quello che voglio dire è che all’interno della scuola pubblica, cioè di tutti, si è per legge creata una diversità di carattere religioso e culturale, che per forza di cose rende necessario affrontare il problema dell’accoglienza.

Un problema che, altrimenti, riguarderebbe tutti (perché tutti hanno bisogno di essere accolti e di accogliere), e non soltanto coloro che la maggioranza ha reso e considera “diversi”. Una prova di quanto sto dicendo è che in questa serie di incontri non ce n’è uno riservato alla comunità cattolica. Questa assenza è comprensibilmente suggerita dal fatto che la fede e la cultura cattolica sono generalmente considerate “non diverse”, “non altre”.

 

E qui sta l’errore di fondo che mi permetto di rilevare: di vera accoglienza si potrà parlare soltanto quando tutti saremo pronti a metterci in discussione, quando capirò che non sono soltanto gli altri ad essere “altri” e“diversi” rispetto a me, ma che, anch’io, sono “altro” e “diverso” rispetto a loro. Una fede che non accetta di essere “altra” e “diversa” diventa per forza di cose, sia essa maggioranza o minoranza poco importa, dogmatica, impositiva e arrogante.

 

 

Propositivo e non oppositivo

 

Personalmente mi trovo in una posizione abbastanza emblematica: la posizione di chi fin dalla nascita è stato considerato “altro” perché “diverso”. Infatti nel mio cammino all’interno della scuola pubblica ho da sempre conosciuto e vissuto questa “diversità”: prima come alunno, figlio di genitori cristiani evangelici, e poi come insegnante, diventato cristiano evangelico per convinta scelta personale.

 

Proprio perché protagonista di esperienze sofferte in prima persona, è abbastanza penoso per me stendere un commento sull’accoglienza all’interno della scuola pubblica degli alunni (ma anche dei docenti!!) non cattolici.

Come dimenticare il piccolo alunno lasciato fuori dal tempio cattolico e nel corridoio della scuola e, in pratica,“abbandonato” perché non sorvegliato da alcuno?

O come dimenticare l’insegnante pieno di sdegno davanti all’intesa Falcucci-Poletti che mi estrometteva per due ore settimanali dalla mia classe e, più ancora, davanti all’imbarazzato, ma colpevole, atteggiamento delle autorità scolastiche (dal Ministro al Provveditore) totalmente silenti davanti alle mie giustificate richieste di chiarimento?

 

Condizionato da esperienze che sono state difficili, ma comunque sempre arricchenti e formative, mi rendo conto che è quasi istintiva la propensione ad affrontare l’argomento in modo polemico, ma nei limiti del possibile vorrei evitare questo scivolamento, per cercare di essere propositivo e non oppositivo, anche se mi rendo conto che le mie considerazioni troveranno difficoltà ad essere accolte.

 

Nella mia presentazione eviterò anche, volutamente, di parlare degli aspetti discriminanti e problematici tuttora esistenti nelle scuole dello Stato a causa dell’introduzione dell’insegnamento della religione cattolica. Se lo facessi distoglierei la vostra attenzione e la vostra riflessione da quelli che ritengo essere i problemi di fondo.

 

 

Chi siamo?

 

I “cristiani evangelici” non rappresentano una religione nuova nell’ambito della storia del Cristianesimo: infatti in ogni tempo ci sono stati uomini e donne che, davanti al progressivo inquinamento morale e dottrinale della “chiesa”, hanno desiderato e promosso, talvolta a prezzo della loro stessa vita, un ritorno all’Evangelo e alla Chiesa delle origini.

 

Infatti nel corso dei secoli, a partire dalla “chiesa post-costantiniana”, tradizioni e riti pagani, così come dottrine e dogmi formulati dagli uomini, si sono sovrapposti al messaggio di Cristo, creando strutture religiose che hanno deformato il contenuto originale della Buona Novella. Si è così spostata l’attenzione delle persone sul valore delle religioni e delle chiese chiamate “cristiane”, quando invece tutta l’attenzione avrebbe dovuto essere concentrata su Cristo e sulla sua Parola.

La fede che salva l’uomo non nasce infatti dal far parte di una religione o di una una chiesa detta “cristiana” ma nasce soltanto, come ricorda l’apostolo Paolo, “dall’ascolto della parola di Cristo” (Ro 10:17).

 

Siamo quindi “Cristiani” perché solo Cristo è il Centro della nostra fede, quale “unico mediatore fra l’uomo e Dio” ed “Evangelici” perché la base di questa fede è l’Evangelo, la Parola di Cristo.

 

Il nostro obiettivo è quello di portare gli uomini all’ascolto dell’Evangelo e, attraverso di esso, di portarli a Cristo. Il ruolo che desideriamo rivestire è unicamente quello di testimoni di Cristo e della Verità, invitando ciascuno a vivere un’esperienza personale ed intima di ascolto. Non siamo certo depositari della Verità, né depositari di Cristo. La Verità che è Cristo, infatti, non può essere ingabbiata né custodita da alcuno: è lei, piuttosto, che una volta accolta custodisce i cuori.

In questa prospettiva siamo convinti che la fede cristiana vada testimoniata e proposta ai cuori e alle coscienze, mai imposta con strumenti legislativi e con etichettatura di parte.

 

 

Quale modello di Chiesa nel Nuovo Testamento?

 

La Chiesa che Cristo ha fondato non è né cattolica, né ortodossa, né protestante, né evangelica. Non ha etichette o denominazioni: i primi cristiani non erano preoccupati di essere identificati con la Chiesa, ma piuttosto di essere identificati con Cristo.

 

La Chiesa del Nuovo Testamento e, quindi, dei tempi apostolici non è un’istituzione umana, visibile, organizzata, ma è l’insieme di tante realtà locali autonome e indipendenti.

È una Chiesa che dà, non una chiesa che pretende.

È una Chiesa umile e povera, non una chiesa ricca e potente.

 

È una Chiesa formata da uomini e donne che sanno di essere “forestieri e pellegrini” di passaggio in questo mondo, non è una chiesa che cerca collusioni con gli Stati di questo mondo o che si fa essa stessa Stato.

È una Chiesa che serve attraverso la totale consacrazione e disponibilità di sé stessa agli altri, non una chiesa che serve attraverso lo strumento del potere.

 

È, soprattutto, una Chiesa che fa propri i metodi del Regno di Dio (“un seme che dev’essere accolto liberamente dal cuore dell’uomo”), non una chiesa che fa propri i metodi di questo mondo (le strategie e i calcoli politici, i compromessi, i vantaggi economici, i privilegi, gli onori, i titoli altisonanti, le gerarchie ecc…).

 

Quindi il modello che gli apostoli ci presentano negli scritti neotestamentari ci porta a conoscere una Chiesa che è del tutto estranea ad ambizioni temporali o a strategie concordatarie con “i regni di questo mondo”.

I membri della Chiesa, in quanto cittadini temporanei di uno di questi regni, sono chiamati a rispettarne le autorità e le leggi, ma non c’è alcuna traccia nel Nuovo Testamento di accordi e patteggiamenti fra una realtà, lo Stato, che è istituzione visibile e terrena ed un’altra realtà, la Chiesa, che istituzione non è.

 

 

Insegnare “religione”?

 

Nei Vangeli non troviamo nessuna esortazione di Gesù che ci incoraggi ad insegnare religione, perché il suo messaggio non è religione, il suo messaggio è vita!

 

“Religione” è infatti realtà che esprime la strategia dell’uomo per collegarsi con il soprannaturale. Al centro della“religione” vi è l’uomo con i suoi bisogni e le sue strategie per soddisfarli, quindi “religione” è fatto squisitamente antropologico. L’Evangelo, al contrario, è fatto squisitamente teologico, perché vi è Dio al centro nella persona di Cristo: vi è Dio con la rivelazione di sé stesso e della strategia che offre all’uomo per soddisfare i suoi bisogni di salvezza e di liberazione dal male.

 

Di conseguenza, i cristiani evangelici non insegnano religione ai loro figli, ma, attraverso l’insegnamento e l’esempio, li educano alla fede, cioè, attraverso la conoscenza della Bibbia, la Parola di Dio, e attraverso una vita di esempio (nel canto, nella preghiera, nella lode, nell’abbandono fiducioso nelle mani di Dio…), cercano di metterli ogni giorno in contatto con Cristo, in modo che, a tempo debito, possa maturare nel loro cuore una scelta di fede totalmente personale ed autonoma.

Un genitore cristiano ed evangelico non è insegnante di religione dei suoi figli, ma è chiamato da Dio ad essere il loro personale educatore alla fede, un pedagogo chiamato a condurli a Cristo.

 

In questa prospettiva pensare alla religione come ad una materia scolastica addirittura oggetto, come le altre, di valutazione è davvero improprio se non addirittura assurdo.

 

 

Chi è responsabile dell’educazione alla fede?

 

La Bibbia ci insegna che, nel piano di Dio, sono i genitori i primi e diretti responsabili della formazione spirituale dei figli. Sono i genitori ad essere chiamati da Dio a trasmettere la sua Parola ai figli, accompagnando il loro insegnamento con un costante esempio di vita vissuta nella fede.

Un testo molto bello nella legge di Mosè (De 6) ricorda che i padri devono avere i comandamenti di Dio nel loro cuore (= essere esempi) per poterli poi inculcare nella mente dei figli (= essere insegnanti).

Nella strategia di Dio non si è insegnanti senza essere esempi!

 

Israele aveva una casta sacerdotale, ma i sacerdoti aveva compiti esclusivamente cultuali, non educativi e formativi: Dio affidò ai genitori il compito e la responsabilità di formare i figli. Insegnare religione nelle scuole significa mortificare il ruolo dei genitori!

Alla scuola pubblica deve essere affidato il compito di impartire insegnamenti per tutti, non insegnamenti di parte.

Questi devono essere affidati di diritto alla comunità familiare e, in base alla scelta da questa espressa, alla comunità ecclesiale.

 

 

Cristo: discusso e disprezzato!

 

Cristo, il Figlio di Dio, aveva a sua disposizione tutti gli strumenti possibili per essere autoritario, per imporre il suo messaggio costringendo gli uomini ad accettarlo, per sottomettere tutti gli uomini al suo potere.

Non lo ha fatto.

Anzi ha accettato di essere discutibile, disprezzato, indifeso. Proprio in questa straordinaria libertà che egli ha lasciato e lascia all’uomo sta la grandezza del suo amore.

Quando alcuni discepoli lo abbandonarono contestandolo, non tirò loro la tunica per costringerli a rimanere con lui, ma, anzi, si rivolse ai pochissimi che erano rimasti:

“Volete andarvene anche voi?”; come dire:

“Io non costringo nessuno! Se volete ripensarci, siete ancora liberi di scegliere!”

 

La mia preghiera è che chi dichiara di essere cristiano, cominciando da me, impari, ad accettare di essere, come il Maestro, discutibile, disprezzato, abbandonato, lasciando allo Spirito di Dio, che opera in cuori liberi di ascoltarlo o di turarsi le orecchie, il compito di convincere.