Le richieste rivolte al governo italiano
Il 19 giugno si è svolta a Roma la marcia per la libertà religiosa in Italia. A questa manifestazione, organizzata dall’Alleanza Evangelica Italiana (AEI) e da altre sigle confessionali, siamo stati invitati come chiesa evangelica per il secondo anno consecutivo e per la seconda volta non abbiamo partecipato. Naturalmente alcuni fratelli ci hanno chiesto il perché di tale contrarietà e come si fa a non condividere l’esigenza di chiedere per noi evangelici un maggior rispetto, in un paese in cui la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, occupa di fatto quasi tutti gli spazi sociali e religiosi.
Questo scritto, senza alcun intento polemico, vuole motivare una scelta che come assemblea di Roma via Prenestina, riteniamofondamentale e coerente rispetto alla nostra identità biblica, prima di tutto, ma anche storica.
Nel documento programmatico della manifestazione venivano elencati cinque punti 1:
1. Che siano definitivamente abrogati i residui di legislazione fascista sui “culti ammessi” che discriminano le minoranze religiose. In uno Stato democratico non ci sono “culti ammessi”, ma a tutti viene riconosciuta la piena libertà religiosa.
2. Che sia approvata una legge quadro sulla libertà religiosa che estenda a tutte le confessioni religiose interessate i punti salienti delle intese che sono già legge dello stato.
3. Che le confessioni religiose che hanno chiesto l’intesa la ottengano in tempi ragionevoli, dando piena attuazione all’art. 8 della Costituzione.
4. Che il governo italiano si faccia interprete della denuncia della gravi violazioni della libertà religiosa che si verificano in molti Paesi a danno delle minoranze, tra cui quella evangelica, e si attivi per trovare forme concrete di soluzione a livello bilaterale ed internazionale.
5. Che, oltre alla legge sulla libertà religiosa, in Italia si realizzi un effettivo quadro di pluralismo nell’informazione e nell’accesso ai mezzi di comunicazione di massa. La libertà religiosa è innanzitutto libertà di coscienza e di culto, ma poi deve essere intesa anche come libertà concreta di esercizio e di diffusione del proprio credo. Non è infatti sostenibile, nella prospettiva di un riconoscimento completo dei diritti umani, enunciare principi che poi non trovino riscontro tangibile nelle procedure amministrative, nei regolamenti urbanistici o nella gestione dell’ordine e dello spazio pubblico. Ciò riguarda soprattutto il servizio pubblico della RAI il cui compito istituzionale è di rappresentare anche la pluralità religiosa e culturale del nostro Paese, ma che sovente vede la presenza evangelica del tutto ignorata. L’esposto del 23 gennaio 2007 all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha evidenziato una situazione di grave sotto-rappresentazione del pluralismo religioso, senza suscitare alcuna risposta adeguata. Pur rispettando la presenza del cattolicesimo romano, l’Italia non è solo cattolica e questo la RAI non può più ignorarlo.
RIchieste non condivisibili
Come cittadini italiani il primo punto non può che trovarci d’accordo. Il vecchio concetto dei “culti ammessi” costituisce una palese violazione della libertà religiosa, incompatibile con un Paese che si definisce democratico. Quindi occorre abrogare tutte quelle leggi che si rifanno a questa definizione.
Invece non sentiamo di condividere, i punti programmatici 2 e 3, che accettano la logica delle intese. Non solo si vuole l’estensione dei punti salienti delle intese a tutti i culti interessati, ma si chiede per i culti che lo hanno già chiesto di fare al più presto l’intesa (vedi, qui sopra, tabella A dei culti che hanno già completato l’iter per avere l’intesa).
Stiamo in sostanza rivendicando l’applicazione di una legge in cui quelli che potranno godere di diritti aggiuntivi saranno i culti che avranno aderito alle intese. In sostanza lo Stato italiano ha introdotto con le intese un criterio distintivo tra i culti che hanno un’intesa con lo Stato e quelli non ce l’hanno. Senza entrare nel merito, comprendiamo che questa è un’anomalia.
In Italia – mi permetto di dire – non abbiamo un problema di libertà religiosa, ma di uguaglianza religiosa e di pari opportunità. Lo Stato e ne comprendiamo i motivi, ci vuole spingere verso un modello di società di tipo confessionale, dove ogni confessione con la sua intesa accede a spazi proporzionali alla sua forza. Una logica di spartizione in cui lascio immaginare chi la fa da padrone.
A titolo informativo riporto una tabella che rappresenta i finanziamenti ricevuti nel 2007 dall’otto per mille dalle confessioni religiose che hanno già un’Intesa (vedi tabella B alla pagina seguente).
Contraddizione evidente nelle intese e nel loro iter legislativo
Nell’articolo 8 della Costituzione leggiamo:
“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge [cfr. artt. 19, 20]. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.
Dopo aver affermato che, tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge e che hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, l’articolo 8 stabilisce che “i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.
Anche a un profano della materia è evidente la contraddizione, le confessioni sono libere, ma non uguali, tra di loro, nei rapporti con lo Stato; difatti solo l’intesa, una legge ulteriore rende una confessione assimilabile nei diritti a quella cattolica. Tutti i culti sono uguali per l’articolo 8 della costituzione, ma ve ne sono alcuni, lasciatemi passare la battuta, che sono più uguali degli altri.
Riflettiamo sul percorso che permette di stabilire un’Intesa:2
1. Le richieste di intesa vengono preventivamente sottoposte al parere del Ministero dell’Interno, Direzione Generale Affari dei Culti.
2. La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipula di una intesa, spetta al Governo.
3. Le Confessioni interessate si devono rivolgere quindi, tramite istanza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale affida l’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle Confessioni religiose al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri.
4. Le trattative vengono avviate solo con le Confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ai sensi della legge n. 1159 del 24 giugno 1929, su parere favorevole del Consiglio di Stato.
5. Il Sottosegretario si avvale della Commissione interministeriale per le intese con le Confessioni religiose affinché essa predisponga la bozza di intesa unitamente alle delegazioni delle Confessioni religiose richiedenti. Su tale bozza di intesa esprime il proprio preliminare parere la Commissione consultiva per la libertà religiosa.
6. Dopo la conclusione delle trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa, sono sottoposte all’esame del Consiglio dei Ministri ai fini dell’autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio.
7. Dopo la firma del Presidente del Consiglio e del Presidente della Confessione religiosa, le intese sono trasmesse al Parlamento per la loro approvazione con legge.
Le intese? Un accordo politico!
L’iter necessario alla stipula di un’intesa mostra senza ombra di dubbio che non si tratta di un fatto amministrativo, come accade nel fare un comitato, un’associazione, un ente morale o una fondazione, le quali sono sottoposte a leggi indipendenti dalla natura e dagli scopi che si prefiggono (benefici, culturali, religiosi, scientifici, sportivi ecc.).
L’Intesa è un accordo politico raggiunto con una confessione religiosa con personalità giuridica, dopo un negoziato con il governo in carica, che comporta la promulgazione di una legge da parte del Parlamento (le intese già esistenti sono stabilite da una legge, vedi qui sotto la tabella C).
Le nostre Assemblee, fedeli al principio della “libera Chiesa in libero Stato”, hanno storicamente sempre rigettato ogni proposta di concordato. Non vogliamo essere estremisti rigettando le forme organizzative e associative a carattere amministrativo, ma è evidente che le intese sono un’altra cosa.
Invece di essere il riconoscimento di diritti e doveri sulla base di un principio generale di uguaglianza costituzionale, esse sono un concordato Culto/Stato frutto di un accordo politico. Un’Intesa, appunto.
Bisogna avere il coraggio di dire che quello che lo Stato Italiano ha fatto con la Chiesa di Roma è una legge iniqua, che pone di fatto un culto al di sopra degli altri e le cui conseguenze sono sotto i nostri occhi e sono quelle denunciate nel punto 5 del “documento programmatico” citato a inizio articolo.
Quello che comprendo è che se lasciamo allo Stato la possibilità di applicare il metodo e i contenuti delle intese in campo religioso, il risultato sarà quello di accentuare le disparità già esistenti.
Perché i diritti in campo religioso, che già ho come cittadino italiano, dovrebbero essere regolamentati da un’intesa?
Le intese indubbia fonte di privilegio
È evidente che si sta regolamentando il privilegio (vedi tabella B sulla ripartizione dell’otto per mille). Si dice in sostanza:
“Vuoi anche tu gli spazi, le possibilità, i soldi che do alla Chiesa Cattolica Romana? Bene, diventa anche tu come una piccola chiesa cattolica”.
Basta leggere i requisiti minimi per poter fare un’intesa per capire a che tipo di modello ecclesiale si rivolge lo Stato italiano. Questo modello confessionale, istituzionalizzato e sinodale è proprio delle chiese storiche e denominazionali, la negazione del modello neotestamentario al quale le nostre Assemblee, e tante altre chiese libere, vogliono ispirarsi, alcune lasciatemelo dire forse senza saperlo, semplicemente per diretta comprensione della Parola di Dio.
Non è arretratezza culturale, come alcuni vogliono far credere o pregiudizio, ma una semplice riflessione sui caratteri fondamentali e i principi ecclesiali della chiesa neotestamentaria, così come ci sono stati trasmessi dagli apostoli. La Chiesa è una realtà visibile e allo stesso tempo spirituale i cui elementi limitanti, stabiliti dalla Parola di Dio, non sono assolutamente negoziabili rispetto a organi politici o istituzionali. Quando ciò avviene, la storia ce lo insegna, la Chiesa inizia un lento e inesorabile processo di secolarizzazione.
Infine trovo incredibile che nei contenuti della manifestazione, ci si spenda per la pluralità dell’informazione (punto 5 del documento programmatico) e non vi sia alcun cenno all’anomalia dell’ora di religione nella quale i nostri figli sono costretti a uscire dalla classe, per la cosiddetta ora alternativa (di solito un parcheggio per fare i compiti).
A me non interessa una scuola pubblica interconfessionale dove menti in formazione, quelle dei nostri figli, passano dal cattolicesimo al buddismo ai Testimoni di Geova, ai Mormoni in nome di una libertà religiosa di facciata.
Ho letto recentemente, su queste stesse pagine, l’esperienza a mio parere positiva e interessante del fratello Di Gaetano. Non so quanto sia riproducibile in altri contesti. Penso per esempio a Roma. Io non ho nulla contro la visita di un vescovo o del papa, in una scuola pubblica, se oltre l’80% della popolazione italiana si dichiara cattolica. Ma non posso accettare, come cittadino italiano, che mia figlia di sei anni mi chieda il perché deve uscire dalla classe nell’ora di religione. Nella mia esperienza ho conosciuto insegnanti e genitori di larghe vedute, ma anche genitori e amici di banco spietati e sprezzanti verso l’amica che non fa religione. Mio figlio per esempio ha sofferto molto meno questa esclusione dall’ora di religione perché ha una maestra di italiano e un amichetto ebrei praticanti. Ma so che questa è un’eccezione.
La regola è che quando come famiglie “scegliamo di non avvalerci dell’ora di religione cattolica” di fatto decidiamo di discriminare i nostri figli e ditemi se questo, come cittadini italiani, è normale.
Il valore di una scelta controcorrente
Qualcuno può spiegarmi in base a quale principio costituzionale la chiesa cattolica può avere l’insegnamento dell’ora di religione nella scuola pubblica e allo stesso tempo avere le sue scuole private dove potrebbe insegnarla senza alcun problema? Semplice, in base ad un accordo politico, un’intesa appunto.
E noi vogliamo avallare questo stato di cose? Anzi farne parte?
Chi ha una visione interconfessionale della società si augura di poter fare evangelizzazione nella scuola pubblica. Avere la propria ora di religione. Ma non si rende conto che questo apre a tutti i culti che hanno chiesto l’intesa (vedi tabella A). E allora addio scuola laica!
Pertanto andando oltre i buoni propositi, occorre fare una scelta. Rifiutare questo sistema iniquo o farne parte e avere l’illusione della libertà e dell’uguaglianza.
Vogliamo anche noi i privilegi del cattolicesimo? È questo il modo per rivendicare la libertà di culto?
La risposta a queste domande fu data nell’incontro degli anziani del 2001. Era possibile sentirsi delle Assemblee e aderire ad un modello ecclesiale di tipo riformato che accettasse la possibilità di fare un’intesa con il governo italiano? Ben oltre il 90% 3, delle assemblee consultate mediante questionario, diede una indicazione inequivocabile: “No!”.
Ed è la risposta che oggi continuiamo a dare e non tanto perché possiamo avere delle diverse interpretazioni su alcuni aspetti dottrinali, ma perché ciò comporta scelte non condivisibili sul piano biblico, storico e della testimonianza che diamo oggi alla società italiana circa la nostra identità biblica.
Animati da un’altra libertà!
I cristiani che in poco più di trenta anni cambiarono il mondo allora conosciuto, erano un movimento caratterizzato dalla testimonianza della salvezza in Cristo, dalla condivisione dell’insegnamento apostolico e dalla comunione fraterna. I mezzi di comunicazione, le risorse finanziarie e le libertà democratiche che abbiamo oggi se le sognavano, non avevano diritti né riconoscimenti, anzi spesso erano accusati ingiustamente, discriminati e perseguitati.
Essi erano animati da un’altra libertà.
L’apostolo Pietro sintetizza nel capitolo due della prima epistola il posto dei cristiani nella società. Questo era lo stile della Chiesa. Non quello di cambiare la società, ma di cambiare il cuore di uomini e donne mediante la potenza dell’Evangelo.
Siamo chiamati ad incarnare le verità bibliche per essere luce del mondo e sale della terra, ciò implica scelte che impediscano alla luce di essere oscurata e al sale di diventare insipido.
Oggi il problema rimane ancora aperto.
Il Signore ci guidi non solo personalmente, ma come assemblea a stabilire sulla base degli insegnamenti biblici, con chiarezza, che immagine di chiesa locale vogliamo dare a questa società in cui il Signore ci ha messo.
1. Documento programmatico presentato alla manifestazione del 19 Giugno 2010 a Roma presentata dal fratello Leonardo De Chirico a cui hanno aderito AEI, la FCEI, FCPI, l’Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno e il Partito Radicale.
2. Iter per stabilire Intese con lo stato italiano. Fonte Ministero dell’Interno, Direzione Generale Affari dei Culti.
3. Dati ottenuti dai questionari inviati alle Assemblee già presenti nel prontuario, dal Comitato temporaneo per la redazione del nuovo prontuario, su mandato dei partecipanti all’incontro degli anziani svolto a Poggio Ubertini nel 2001. Alle chiese fu chiesto esplicitamente se volevano entrare nel nuovo prontuario e se avevano aderito o avevano l’intenzione di aderire a federazioni di chiese che avrebbero chiesto l’Intesa con lo Stato italiano.