Introduzione
Pietro ha parlato più volte nel corso di questa lettera delle prove che i suoi lettori erano chiamati ad affrontare. Alcune di queste prove erano dovute alla fede che professavano, altre a trattamenti ingiusti che subivano e altre ancora all’incomprensione della popolazione pagana (1:6-7; 2:15, 18-21; 3:8-17; 4:3-4).
Ora, in 4:12-19, affronta la questione della persecuzione in modo più esplicito.
Colpisce il modo in cui l’apostolo affronta l’argomento:
“Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano” (4:12).
Il concetto che la persecuzione, che divampa come un incendio, sia qualcosa di normale appare strano a chi gode del diritto di vivere la propria fede senza soffrire alcuna molestia da parte della società o delle autorità. Però l’esperienza della chiesa di Gerusalemme descritta nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli e quella di Paolo, Barnaba e Sila descritta nei capitoli 13 a 19, suggeriscono che la persecuzione sia da considerare il normale accompagnamento della testimonianza fedele dei discepoli di Cristo.
Venendo ai tempi nostri, è stimato che attualmente ben il 10% dei cristiani nel mondo soffre perché porta questo nome, molti dei quali in modo atroce. Vale la pena ricordare che Gesù stesso aveva previsto come normale tale sofferenza in un mondo non redento (Mt 5:11-12; Gv 16:33).
La beatitudine della persecuzione (4:12-16)
Pietro non si limita a esortare i suoi lettori a considerare normale che la persecuzione divampi come un incendio intorno a loro, li esorta a rallegrarsene. Scrive infatti:
“Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (v. 13).
La prima chiesa, che era stata istruita dagli apostoli, aveva assimilato bene questi due principi. Infatti, quando fu proibito agli apostoli (e quindi implicitamente anche al resto della chiesa) di parlare nel nome di Gesù, non hanno pregato che la persecuzione venisse rimossa, bensì hanno pregato a Dio in questi termini: di poter“annunziare la tua Parola in tutta franchezza” (At 4:29).
Poi quando, qualche tempo dopo, gli apostoli furono fustigati per aver disubbidito al divieto promulgato dalle autorità, “se ne andarono… rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù”e “ogni giorno, nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo” (At 5:41-42).
Le parole: “Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi!” (1P 4:14a) ripropongono la beatitudine pronunciata da Gesù e riportata in Matteo 5:11-12. Né Gesù né Pietro prevedono, per il tempo presente, il superamento della lotta fra luce e tenebre e quindi la cessazione di persecuzione. Quindi sono beati coloro che si lasciano coinvolgere in questa lotta, prendendo la parte del Messia Servo venuto per salvare.
Pietro motiva la descrizione di queste persone come beate in questi termini:
“Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi” (4:14b).
Stefano che fu insultato, e poi lapidato, a motivo della sua fedele testimonianza, è descritto come “uomo pieno di fede e di Spirito Santo” (At 6:5). Quindi quando i suoi avversari si scagliarono contro di lui, egli “pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra” (7:56).
Identificarsi apertamente e totalmente con Gesù in un contesto di persecuzione predispone a sperimentare la presenza di Dio in modo straordinario. Il frutto di quest’esperienza fu visto quando Stefano, in punto di morte, pregò in questi termini per coloro che lo stavano uccidendo: “Signore, non imputar loro questo peccato” (v. 59).
Il contrasto introdotto nei vv. 15-16 è istruttivo. Vengono date due categorie contrastanti di motivi che possono causare la sofferenza, per una delle quali è giusto vergognarsi mentre l’altra dovrebbe portare chi soffre a glorificare Dio.
La prima di queste categorie è composta di atti malvagi che vengono scoperti e l’immischiarsi nei fatti altrui senza alcun diritto. Per tali comportamenti è prevista una punizione appropriata ma, per una persona che ascolta la voce della sua coscienza, è appropriato un senso di vergogna. Ha tradito la propria dignità.
Però la vergogna non è un sentimento appropriato per chi è chiamato a soffrire come cristiano. Come osserva Wayne Grudem, il senso da attribuire al termine “cristiano” è simile al senso del termine “erodiano” in Marco 3:6 e 12:13, ovvero “un seguace o sostenitore di Erode” o, nel nostro caso, “di Cristo”. Chi soffre in quanto identificato come seguace di Cristo dovrebbe glorificare Dio del continuo, “in questo nome”, anziché vergognarsene. Anche se una fedele testimonianza a Cristo in un contesto ostile può comportare sofferenza e maltrattamenti nella vita attuale, il premio promesso da Gesù “è grande nei cieli” (Mt 5:12).
Nel nostro brano Pietro dà come motivo di gioia quando si è chiamati a partecipare alle sofferenze di Cristo”(cfr. Gv 15:18-25): “perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare”(1 P 4:13). Vengono in mente le parole di Paolo:
“Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo” (Ro 8:17).
Le valutazioni del “fedele Creatore” (4:17-19)
Dio si serve del fuoco della persecuzione e della sofferenza per purificare la fede dei pellegrini.
Nel primo capitolo della lettera, l’apostolo ha scritto:
“Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell’oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo” (1:6-7).
Questo tempo di persecuzione è l’occasione appropriata per Dio di valutare i membri della sua “casa”, ovvero coloro che si sono messi sotto la sua amministrazione e sono chiamati a soffrire come cristiani. Basandoci su quanto detto nei vv. 12-16 possiamo dedurre che la valutazione riguarderà i motivi che hanno causato la sofferenza e come “i pellegrini” hanno reagito.
Sarebbe facile fraintendere il v. 18, “E se il giusto è salvato a stento, dove finiranno l’empio e il peccatore?”Questa frase, che segue la traduzione greca di Proverbi 11:31 della LXX, presa alla lettera sembra suggerire che in un contesto di persecuzione i giusti, se reagissero male alla persecuzione, potrebbero perdere la salvezza (cfr. i vv. 12-17). Ma ciò sarebbe il contrario di ciò che Pietro ha affermato in 1:3-7. Propongo che il senso che Pietro intende attribuire a questo proverbio sia più vicino alla traduzione dall’ebraico di Proverbi 11:31. Eccola: “Ecco, il giusto riceve la sua retribuzione sulla terra, quanto più l’empio e il peccatore!”. Il ragionamento di Pietro sembra essere il seguente: dal momento che anche i giusti soffrono sulla terra e vengono valutati da Dio per come si comportano quando sono messi alla prova, tanto più l’empio e il peccatore che causano le sofferenze di coloro che portano il nome “cristiano” verranno giudicati da Dio!
Il v. 18 porta a conclusione questo brano sulle sofferenze dei cristiani. Il brano ha rivelato qual è la volontà di Dio per coloro che sono chiamati a soffrire per la loro lealtà a Cristo. Ora queste persone ricevono istruzione su come muoversi quando si trovano senza appello sul piano umano: “affidino le anime loro al fedele Creatore, facendo il bene”. Da una parte sono invitati a continuare a fare il bene, nelle parole di Gesù: “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:16). Dall’altra parte, sapendo che i loro persecutori non possono fare niente più dopo che hanno distrutto il corpo, sono invitati ad affidare le loro anime non a un’autorità o a un dio qualunque, bensì al “fedele Creatore”(cfr. Mt 10:28).
Per la riflessione personale o lo studio di gruppo
1. Rileggi le parti della 1 Pietro in cui l’apostolo mette la sofferenza presente dei suoi lettori in relazione con la gloria futura e chiediti quanto la prospettiva che illumina il tuo futuro determina le tue decisioni e il tuo comportamento nel presente.
2. Cerca degli esempi, nei vari notiziari disponibili sulle esperienze della chiesa sofferente, di come la verità di questo brano viene vissuta da molte persone che attualmente non si vergognano di soffrire per il nome “cristiano”.