L’Italia è un paese sempre più cattolicizzato e sempre meno cristianizzato. Che lo vogliamo o no, è questo il difficile contesto nel quale il Signore ci chiama a vivere il nostro cammino con lui e la nostra testimonianza verso gli altri. Tendenzialmente siamo portati a prendere in considerazione solo episodi di cattolicizzazione eclatante e talvolta assai scandalosa. Tanto per fare qualche esempio attuale: è addirittura in atto una cattolicizzazione del Risorgimento e della ricorrenza dei 150 anni dall’unità d’Italia. Non ci meraviglierebbe, in questo clima, di dover leggere, prima o poi, la mistificazione di qualche “storico” secondo il quale il merito dell’unità d’Italia sarebbe da attribuire a Pio IX ed alla chiesa cattolica, la cui presenza come Stato temporale è stata in realtà la vera causa per la quale, come recita Mameli nella seconda strofa dell’inno nazionale, gli italiani sono stati per secoli “calpesti, derisi” e… “divisi” e sono giunti così tardi ad essere una nazione. E che dire della sempre più insistente cattolicizzazione della vita politica per cui la chiesa ha continuato a dar credito a chi ci governa, contestualizzando bestemmie, gesti, linguaggi e minimizzando comportamenti licenziosi e volgari? E, questo, in cambio di una robusta contropartita economica, vedi: abolizione dell’ICI su tutti i suoi beni immobili, non solo su quelli usati per il culto ma anche su quelli usati a fini commerciali (scuole, alberghi, ospedali, case di riposo…), finanziamenti a cascata alle scuole private cattoliche mentre si depaupera la scuola pubblica, innalzamento del numero degli insegnanti di religione cattolica mentre si tagliano tutti gli altri…
Ma al di là di questo vi è sono forme di cattolicizzazione più sottili e, perciò, più insidiose che sono in atto anche nelle nostre chiese. Penso in particolare al fatto che, là dove non ci si preoccupa di riconoscere la pluralità e la diversità dei doni e soprattutto la loro pari dignità lasciando spazio al proporsi e all’imporsi di leader umani, là dove non ci si preoccupa che “ogni singola parte” del corpo contribuisca al suo “sviluppo” ed alla alla sua edificazione “nell’amore” attraverso l’esercizio di un servizio in cui sia espressa “la misura del vigore”ricevuto da Cristo (cf. Efesini 4:16)… là dove tutto ciò accade, la chiesa scivola verso poco edificanti forme di “clericalismo”. Ci sono credenti che non godono la vita della chiesa e che finiscono con il sentirsi inutili e frustrati perché non sono mai stati incoraggiati a servire, a mettere a disposizione degli altri tempo, energie, capacità. Credenti che, non formati, non stimolati, non incoraggiati, hanno vissuto la loro appartenenza alla propria chiesa in perfetto stile cattolico e moltitudinista, lasciando fare ad altri quello che in parte (nella loro parte!) avrebbero dovuto fare anche loro. In questo modo si sono preclusi la possibilità di avere una vita ricca, feconda, spiritualmente e praticamente soddisfacente. Si è salvati ma non si è consapevoli di quale sia qui, sulla terra, lo scopo della nostra salvezza. È urgente avere chiese di salvati che servano e che, proprio attraverso una vita di servizio, testimonino la realtà della loro salvezza! È vero che non si serve per essere salvati, ma è altrettanto vero che si è salvati per servire. La distinzione fra chi fa e chi non fa, fra chi serve e chi è solo servito è assolutamente impropria nel corpo dei Cristo che è la Chiesa e in cui tutte le membra, indistintamente, sono chiamate a servire!