• “…secondo quello che avete imparato da Epafra, il nostro caro compagno di servizio, che è fedele ministro di Cristo per voi” (Cl 1:7).
• “Epafra, che è dei vostri ed è servo di Cristo, vi saluta. Egli lotta sempre per voi nelle sue preghiereperché stiate saldi, come uomini compiuti, completamente disposti a far la volontà di Dio. Infatti gli rendo testimonianza che si dà molta pena per voi, per quelli di Laodicea e per quelli di Ierapoli” (Cl 4:12-13).
• “Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù, ti saluta” (Fi v. 23).
EPAFRA: chi era?
Paolo nella sua epistola ai Colossesi nomina due sole volte Epafra, uno dei suoi compagni d’opera e di ministerio e prigionia, discepolo importante nella storia della prima Chiesa.
Sono stato attratto da questo personaggio biblico “minore”, ma sicuramente importante per il piano di Dio a favore della sua Chiesa, e che è menzionato in tre soli brevi versetti biblici.
Infatti: è forse meno importante chi viene ricordato con una singola piccola frase come, ad esempio, quella riportata dalla Bibbia su Enoc, e cioè che “Enoc camminò con Dio”?
In questa piccola e breve frase è riassunta una vita intensa, una vita di ubbidienza e comunione col Signore, una vita come poche. Dio approvò e si compiacque di Enoc al punto che fece scrivere di lui questo breve epitaffio. Se Dio dovesse far scrivere qualcosa di me che cosa lascerebbe detto?
Chi era Epafra?
Come mai è diventato uno dei compagni d’opera citati dall’apostolo?
E soprattutto come mai aveva tanto spazio nel cuore di Paolo?
Senza voler inventare storie cercheremo di scavare a fondo nella Parola per ricercare quegli insegnamenti spirituali che possano essere utili per ciascuno di noi affinché, lasciandoci guidare dallo Spirito Santo, possiamo diventare anche noi degli Epafra.
Già il suo nome è ricco di interesse, ha infatti due possibili significati, assolutamente contrastanti l’uno con l’altro.
Nel primo caso è un abbreviativo del nome Epaphroditus che veniva imposto in onore di Epaphus, figlio di Giove e di Io, quindi ideale per un adoratore di idoli.
Invece l’altro significato è “amabile”.
Sicuramente Epafra era passato dall’essere un adoratore di idoli, al servizio del Dio vivente e vero, l’unico veramente amabile e che trasforma i cuori degli uomini e li rende simili a sé (1Te 1:9).
Amore espresso nel servizio
Della vita di Epafra si sa ben poco, infatti non abbiamo molte informazioni di lui dalla Bibbia. Ad esempio non ci viene detto se fosse giovane oppure anziano, neppure sappiamo se fosse sposato oppure no. Inoltre non abbiamo idea se esercitasse un attività professionale oppure fosse un servitore a pieno tempo nell’opera del Signore.
Apparentemente, pur essendo menzionato come un compagno d’opera di Paolo, era quello che noi definiremmo un credente qualsiasi.
Epafra probabilmente si convertì durante l’evangelizzazione di Paolo ad Efeso, e si suppone che sia stato il fondatore della chiesa che si riuniva a Colosse e, se così fosse, si giustificherebbe ancora di più il suo amore così profondo ed intenso per questa comunità.
Pur conoscendo poco di lui alcuni tratti della sua vita però sono molto chiari.
Era un uomo che amava grandemente la Chiesa: il suo più profondo desiderio era quello di spingere i credenti a conoscere sempre meglio la persona e l’opera del Signore Gesù Cristo. Solo il Signore sa quanto bisogno la Chiesa di oggi ha di uomini (e donne perché no?) che sono profondamente attaccati a Dio e innamorati della sua Chiesa. Uomini pronti al sacrificio (del proprio egoismo, dei propri interessi, della propria vita?) per trasmettere ad altri l’amore di Dio, e l’amore per Dio.
La prima indicazione su questo aspetto del “nostro” personaggio la troviamo all’inizio della lettera ai Colossesi:“Come avete anche imparato da Epafra, nostro caro compagno, il quale è un fedele ministro di Cristo per voi”(Cl 1:7).
Paolo dice che c’era da imparare da questo uomo, ed inoltre che era non solo un ministro (servo) di Cristo, ma anche un “fedele” ministro per loro, cioè per i credenti di Colosse.
Che bel quadro di servizio che viene dipinto di questo uomo di Dio.
È sempre opportuno e necessario che i credenti si pongano davanti alla Scrittura e si chiedano:
“Cosa ho imparato sino ad ora dal Signore? L’ho fatto mio? Sono io qualcuno che gli altri devono considerare un esempio? Ho qualcosa da insegnare o trasmettere? Gli altri mi possono considerare fedele?”
Queste domande non devono inorgoglirci né farci “gonfiare”, piuttosto devono portarci alla riflessione e farci mettere umilmente davanti allo specchio della Parola di Dio.
Non voglio spingere nessuno a sentirsi in colpa, perché ciò non è mai utile, piuttosto è il Signore che ci deve stimolare ad ubbidire alla sua Parola dopo averla ascoltata.
Quanti messaggi abbiamo ascoltato da quando siamo credenti?
Quanta lettura della Bibbia abbiamo fatto?
E di tutto ciò cosa è entrato veramente nella nostra vita pratica?
Se ci sentiamo mancanti, non scoraggiamoci, perché con il Signore c’è sempre speranza.
Penso a Pietro che dopo aver tradito il suo Signore era tornato a fare il pescatore, ma il Signore era là ad aspettarlo! Forse Gesù ci aspettando e ci sta chiedendo “Mi ami tu?”.
Se davvero lo amiamo, allora che aspettiamo a servirlo?
C’è bisogno di ognuno di noi nella sua Chiesa.
Fedeli nell’ascoltare Dio e nel servirlo!
Ritornando all’esempio che siamo chiamati ad essere, sembra ovvio dirlo ma non si può trasmettere ciò che non si è imparato, e la scuola di Dio è una scuola dove non ci sono bonus per gli esami o scorciatoie.
Alla scuola di Dio è lui stesso, il Signore, l’insegnante ed è anche colui che decide il programma e che stabilisce quando devono avvenire gli esami.
Pensiamo ad Abramo, che aspettò 99 anni per la sua prova più importante.
Vogliamo stare alla scuola di Dio?
Vogliamo imparare da questa scuola?
Siamo pronti a sottomettere la nostra volontà alla sua?
Siamo pronti a mettere in pratica quello che impariamo direttamente dal Signore?
Sappiamo aspettare i tempi di Dio, o vogliamo imporre al Signore i nostri obiettivi e la nostra tabella di marcia, per raggiungerli?
Spesso rimaniamo ammirati dagli esempi di uomini e di donne, di Dio che ci vengono presentati nella Scrittura, e ci domandiamo come possiamo imitare le loro “gesta”.
In realtà se esaminiamo bene ciò che di loro è detto scopriamo che ciò che ha fatto la differenza in loro è la loro ubbidienza, anche nelle piccole cose.
Non ci viene detto che Abramo discusse con Dio quando fu chiamato (Ge 12), così come Giosuè non discusse con Mosè sul come guidare il popolo, e neppure i profeti discutevano le indicazioni o i comandamenti di Dio, a parte delle limitate eccezioni (vedi Giona).
La loro forza era sempre e comunque la fede che si esprimeva nell’ubbidienza a colui che era ed è l’Onnipotente e il Fedele, colui che sa quello che fa.
Un’altra caratteristica menzionata da Paolo di Epafra è proprio la fedeltà.
A chi e a che cosa era fedele?
Era un fedele ministro di Cristo.
Il Signore era al centro della sua vita, egli aveva riposto la sua fede, il suo amore e la sua speranza in colui che lo aveva salvato dall’ira a venire e che ora lo portava a praticare il ministerio di Cristo nel servizio, nella fervente attesa del suo ritorno.
Qualcuno potrebbe chiedersi che cosa deve fare per essere, o diventare così. Non c’è nulla di male nel desiderare di somigliare a tali uomini, che sicuramente hanno basato la loro vita sulla fedeltà al loro Signore, e sull’ubbidienza al mandato e alla chiamata ricevuti da lui.
Chi desidera ciò desidera un opera buona, e soprattutto desidera assomigliare di più al proprio Signore.
Quindi in concreto che fare?
Come diventare così, e cioè uomini “qualunque” ma potenti nelle mani di Dio?
Situazioni problematiche da affrontare
Ritorniamo ad Epafra, per avere delle indicazioni sull’ambiente e sulla chiesa in cui Epafra viveva e si muoveva.
Grazie alla Parola di Dio abbiamo delle informazioni preziose, e possiamo dire che i problemi a Colosse non mancavano:
• Vedi ad esempio la “grana” tra il padrone Filemone e il suo schiavo Onesimo; in questo caso abbiamo un bell’esempio di come il Signore ci guidi a risolvere problemi di relazione che, se irrisolti, possono arrivare a devastare sia i rapporti personali sia le famiglie, e in molti casi addirittura devastare intere chiese. Non mi riferisco a principi biblici o dottrinali, su cui non è ammesso cedere, piuttosto a diverbi o questioni pratiche o personali. Spesso accade perché siamo incapaci di sopportare un torto e di perdonare, e per questioni di principio siamo anche disposti a distruggere l’opera di Cristo, anche se inconsapevolmente, pur di non cedere dalle nostre ragioni o diritti.
• Inoltre pare che i Colossesi si erano lasciati convincere da qualche predicatore itinerante di estrazione giudaica ad attribuire eccessiva importanza a riti, a tradizioni e a precetti della legge (Cl 2:4-23).
Dobbiamo fare attenzione al grosso pericolo in cui possiamo incorrere, perché spesso il voler rispettare delle regole nasconde in realtà il desiderio di sentirci a posto davanti a Dio, sempre pronti a vedere la pagliuzza nell’occhio del nostro fratello… Certamente noi non dobbiamo seguire o rispettare riti, tradizioni, ma piuttosto dobbiamo essere pronti a chiederci chi e che cosa vogliamo seguire.
È il Signore la nostra via?
È la sua Parola la nostra guida?
Posso in qualche modo guadagnare il mio fratello in modo “amabile” piuttosto che criticarlo forse per la sua giovane età, o immaturità spirituale?
• Un altro errore di quei credenti consisteva nel credere che bisognava ricorrere a riti speciali per difendersi dalle potenze ultraterrene, o propiziarsene l’aiuto (culto degli angeli, v.18). Questo errore non dovrebbe riguardarci, eppure nelle nostre realtà quotidiane quante volte facciamo nostri piccoli “rituali”, come ad esempio indossare quell’abito che quella volta ci ha portato “bene”? E che dire di alcuni che sono sempre presenti solo al culto della domenica (la nostra “grande messa”) ed invece trascurano gli incontri settimanali? Anche questo è un rito! Qualcuno potrebbe sorridere, ma la Scrittura invece ci invita a “vegliare” per vedere se noi siamo indenni da ciò che condanniamo.
• Un quarto errore del loro comportamento era quello di voler mortificare il corpo con pratiche ascetiche(2:23). Le pratiche di austerità corporale, osserva Paolo, pur servendo ad umiliare il nostro fisico, non ci fanno in realtà mutare nell’intimo. Peggio ancora, potrebbero inorgoglirci (servono solo a soddisfare la carne), come fanno molti nel mondo ancora oggi.
Cosa fare allora per diventare uomini e donne nelle mani di Dio, esattamente come un Epafra che si dava da fare per sostenere i suoi fratelli che correvano questi pericoli?
Se siamo giovani abbiamo l’esempio di Giuseppe, che nonostante le grandi difficoltà affrontate, poteva dire che era Dio alla guida della sua vita e che lo faceva prosperare. (Ge 39). E Giuseppe sicuramente è un campione di fede da seguire nella mansuetudine, nella fede in Dio, nella speranza che Dio opera nelle vite di coloro che gli appartengono e che mai dimentica coloro che egli ama, nonostante abbia attraversato prove incredibili. Il Signore è fedele, vi renderà saldi (2Te 3:3)!
Se siamo uomini o donne maturi, seguiamo l’esempio di Aquila e Priscilla che furono “flessibili” nell’impostare la loro vita depositandola sull’altare della volontà di Dio, che non solo li benedisse ma si servì potentemente di loro per la nascita di chiese, la crescita di credenti, e l’aiuto concreto ai loro fratelli.
Se siamo in là negli anni o anziani di età, ricordiamo l’esempio di Anna che seppur ottant#940101;ttrenne era occupata nelle preghiere al servizio del popolo di Dio, sempre disponibile per gli altri nella preghiera e nel servizio.
Ciascuno di noi, nell’ubbidienza, nella fedeltà e costanza nel proprio cammino di fede, e nella consacrazione al Signore può trovare la gioia della propria vita, ma soprattutto può diventare una luce per coloro che ci stanno intorno, chiedendo a Dio di mostrarci la “nostra propria via” che lui stesso, e non un uomo, ha preparato.
Epafra: un uomo di preghiera!
Epafra era diventato un esempio per molti e il suo impegno non era passato inosservato, perché il suo movente era quello di piacere al Dio che lo aveva salvato e dare gloria solo a lui.
E come facciamo a sapere questo?
Mostrava amore sincero e servizio costante verso coloro che erano amati da Dio e che per mezzo della sua grazia erano diventati sui fratelli.
Com’è il mio amore?
E il mio servizio, è continuo? È disinteressato?
Per amore Epafra si dava molto da fare per la Chiesa e pregava incessantemente per essa. Spesso noi abbiamo una concezione del servizio che discende dall’ambiente “cattolico” da cui proveniamo, per cui occorre fare e ancora fare ed impegnarsi nelle cose concrete (le opere).
E qui c’è un possibile pericolo! Non che ci sia qualcosa di male nel “fare” per il Signore, ma guai se il servizio diventa il nostro idolo e la nostra missione e se invece non è dedizione alla persona del Signore e se non è la sua approvazione, che ci spinge e ci sostiene nel servizio. Dobbiamo sempre ricordare che il Signore condannò chi versava l’obolo nelle casse del tempio (cosa buona in sé), perché la loro motivazione era sbagliata ed incentrata sul proprio egoismo e non sul Signore e sulla sua gloria.
Ma qual’era il servizio particolare di Epafra?
La preghiera costante e continua.
Quanti credenti sono “impegnati” con costanza, per la chiesa e nella chiesa, nel servizio essenziale e fondamentale della preghiera?
Perché sono così pochi?
Forse perché nel fare e nell’operare c’è visibilità e (forse) ci sono apprezzamenti e riconoscimenti, mentre invece la preghiera comporta sacrificio e dedizione continua ed è un servizio nascosto, ed apparentemente senza risultati immediati.
E in questo non c’è da stupirsi, infatti da sempre i credenti ricercano, e vogliono esercitare, i doni più appariscenti, come già accadeva a Corinto.
Ma è questo che il Signore vuole realmente da me, o per me?
È questo l’impegno che il Signore si aspetta da me?
Sono io che decido a quale servizio voglio essere dedicato e per quanto tempo e quando, oppure lascio al mio Signore decidere dove io devo essere posto nel corpo e quanto impegno io debba dedicare al suo progetto di crescita spirituale stabilito per me?
Che il Signore ci dia di riflettere su queste domande affinché veramente sia lui a prendere gloria dal mio servizio e non io a gloriarmi di quello che svolgo per il Signore!
Che ciascuno di noi possa essere la persona giusta al posto giusto nel momento giusto per il grande servizio che Dio ha previsto per ognuno di noi!
La preghiera: un debito d’amore!
Pregare per gli altri, non è solo un comandamento, non è qualcosa di appariscente, ma può cambiare la vita, la mia per prima!
Nella preghiera prendiamo un impegno di amore e di servizio verso i fratelli (e non solo), servizio che deve diventare un debito d’amore. Pregare per gli altri significa presentare a Dio coloro che Dio ama e che lui mi ha messo vicino. Significa intercedere per i loro bisogni, anche se queste persone non mi sono simpatiche o addirittura se mi hanno fatto del male (consapevolmente o no).
D’altronde il Signore cosa ci ha insegnato?
Che esempio ci ha dato sulla preghiera?
Prima di tutto egli ha pregato il Padre di essere sempre pronto a fare la sua volontà. Questa è la nostra prima linea guida nella preghiera. Inoltre ha pregato per i suoi discepoli, soprattutto nelle ultime ore ben sapendo che da lì a poco lo avrebbero tradito ed abbandonato. E ha pregato sulla croce anche per i suoi carnefici!
E noi per chi preghiamo?
Il Signore non ci chiede di pregare “solo” per chi ci è simpatico, o per chi si avvicina di più alle nostre caratteristiche e nemmeno ci chiede di pregare sempre e solo per noi, alimentando così il nostro egoismo.
Il Signore ci ha comandato di pregare per i bisogni dei nostri fratelli.
E noi siamo attenti ai bisogni dei nostri fratelli? Li conosciamo? Ci interessiamo di loro?
Ripeto il debito d’amore lo abbiamo verso tutti i nostri fratelli, non solo verso quelli con cui andiamo d’accordo.
Che chiesa diversa sarebbe la nostra se ognuno di noi si impegnasse ogni giorno a presentare al trono della sua grazia i propri fratelli e sorelle, con i loro bisogni intercedendo con costanza e fedeltà!
Che bello sapere che ci sono fratelli che pregano per me! Questo mi incoraggia, mi rinforza e mi consola. Non posso che ringraziare il Signore per questo sostegno spirituale.
Epafra sarebbe rimasto una persona anonima se non avesse scelto una chiara posizione nei confronti del Signore e della sua opera: egli si era messo completamente a disposizione del Signore Gesù.
L’esempio di Epafra suggerisce alcune domande.
Fin dove arriva il mio amore per il Signore?
Fin dove arriva il mio amore per la sua opera e la sua Chiesa?
Quanto è normale per me amare tutti i figli di Dio?
Che cosa faccio io per aiutare gli altri a crescere nella fede?
Penso sia importante pregare per la mia chiesa e per ogni suo componente?
Quanto tempo dedico nella mia vita all’intercessione per i fratelli? (Sl 16:3; Gv 13:34, 35; Ef 4:15-6).
Epafra è veramente un grande esempio nella preghiera fervente ed incessante. Paolo ancora scrive di lui: “Egli è dei vostri, e servo di Cristo e lotta sempre per voi nelle sue preghiere perché stiate saldi, come uomini fatti, completamente disposti a fare la volontà di Dio” (Cl 4:12).
Epafra lottava nella preghiera, e nell’intercessione manifestando un impegno preciso, costante e fedele. Abbiamo bisogno di intercedere nelle nostre preghiere, presso il trono della misericordia di Dio, combattendo in preghiera a fianco di colui che vive sempre per intercedere per noi (Eb 7:25).
Il Signore Gesù Cristo solo sa quanto sia importante il combattimento contro le potenze, le potestà che guerreggiano ogni giorno contro di noi, al fine di abbatterci. Ci ricordiamo che queste potenze, ma soprattutto il principe di questo mondo, sanno di avere oramai poco tempo e si danno da fare notte e giorno per atterrarci e renderci inoffensivi?
Tre richieste di preghiera
Sono convinto che la lotta di Epafra fosse rivolta proprio contro il nemico di Dio, Satana, e per questo consapevolmente pregava, come detto con insistenza e costanza, per tre cose:
• perché i credenti rimanessero saldi, cioè fermi, forti, incrollabili, decisi nella fede;
• perché diventassero come uomini fatti e non come bambini che possono essere sballottati qua e là dalle favole e dalle false dottrine.
• perché fossero ben disposti verso Dio a fare la sua volontà.
Questi tre elementi ci dimostrano che la preghiera di Epafra non era generica ma precisa e diretta, mirata ai reali bisogni dei suoi fratelli e della chiesa.
Anche Elia pregava per il popolo quando disse: “Quanto tempo ancora zoppicherete?”. Con questo voleva dire:“Quale padrone volete seguire e servire? Perché non state saldi nella fede?” (1Re 18:21).
L’instabilità fa parte della nostra natura.
Al mattino possiamo essere pieni di zelo ed amore per il Signore, leggere la sua Parola e pregare ed essere così allegri da iniziare una bella giornata di comunione con lui.
E poi che succede?
Bastano un po’ di preoccupazioni, gettate lì dal nostro nemico, e un po’ di pensieri che il mondo ci presenta e “subito” ci dimentichiamo di ciò che abbiamo esperimentato alla mattina. Ecco perché abbiamo bisogno della preghiera per rimanere saldi e forti, incrollabili. Paolo pregava così per gli Efesini: “Per questo motivo io piego le ginocchia davanti al Padre, dal qual ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende il nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore” (Ef.3:14 e segg.).
Abbiamo bisogno che il Signore, non un uomo, ci fortifichi ogni giorno, costantemente. Ed è un grande aiuto la preghiera di altri per noi, quando magari noi siamo “con le ruote sgonfie”, non è così?
La seconda richiesta fatta a Dio da Epafra era che i Colossesi crescessero e maturassero verso la perfezione. Gesù Cristo stesso aveva ricordato questo, dicendo: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5:44). Il desiderio di Epafra era che i credenti non rimanessero dei neonati nella fede e nella conoscenza di Dio, ma che crescessero nell’amore e nell’ubbidienza. La perfezione non è umana né di questa terra, ma la maturità si che è possibile.
“Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui, essendo radicati ed edificati nella fede, come vi è stato insegnato, abbondando in essa con ringraziamento” (Cl 2:6, 7).
La prima indicazione è l’obiettivo: siate perfetti, cioè maturi, come? Come il vostro Padre!
“Siate” indica qualcosa che ha a che fare con l’essere non con il sembrare. Non dobbiamo sembrare perfetti, ma esserlo interiormente. Possiamo raggiungere questo obiettivo attraverso la fede, perché da lì abbiamo cominciato e da lì dobbiamo proseguire. Se per fede, mediante la grazia di Dio, siamo dei nati di nuovo, alloraanche il nostro cammino deve avvenire per fede. Per fede dobbiamo credere che Dio potrà usare degli uomini qualunque, e delle donne qualunque, come me per trasformarli in uomini e donne maturi e perfetti, a lode e gloria del suo nome.
Per fede dobbiamo credere che Dio sa quello che fa, che niente è impossibile a lui, e che ogni cosa è sotto il suo controllo. Più agisco di testa mia nella mia vita, meno Dio ha spazio. Questo non significa che Dio mi deve indicare (o scegliere) il colore delle mie scarpe, ma sicuramente che davanti alle scelte della mia vita io debba chiedermi: “Dio cosa farebbe? Quale scelta glorifica Dio e la sua testimonianza? Questa cosa mi edifica o porta danno spirituale a me o ad altri?”
La terza richiesta di preghiera di Epafra per i suoi fratelli è questa: “perché stiate saldi, come uomini fatti, completamente disposti a fare la volontà di Dio”. Gesù stesso aveva detto: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua… perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 6:38).
Il nostro problema non è forse quello che vogliamo fare la volontà di Dio, ma non riusciamo perché siamo avvinti dai nostri pensieri e desideri (1Sa 15:19-22; Mt 7:21)?
A noi è chiesto di essere disposti a fare la sua volontà. Mettendo insieme i diversi significati della parola“disposti”, abbiamo come risultato che dobbiamo essere pronti a stare dalla parte di Dio, e pronti e ben intenzionati a fare la sua volontà, non la nostra.
Da giovane mi chiedevo spesso quale fosse la volontà di Dio (a volte me lo chiedo ancora!) ma in realtà Dio mi ha sempre indicato la sua volontà nella sua Parola (la Bibbia) in modo chiaro.
Il mio problema, che è comune a molti, non è di sapere qual è la volontà di Dio, ma piuttosto di essere disposto a seguirla.
Sono disposto ad ubbidire alla sua volontà, come è indicata nella Bibbia? Sono pronto a sacrificare la mia volontà per fare la sua?
Epafra sapeva quanto è difficile fare la volontà di qualcun altro, deponendo la propria. Lo stesso vale per noi nel fare la volontà di Dio, quante volte sappiamo qual è la volontà di Dio per noi, ma la mettiamo da parte in nome del nostro orgoglio, o della nostra testardaggine, o perché non vogliamo sacrificare i nostri interessi. Ecco perché noi tutti abbiamo bisogno di qualcun altro che ci guidi, con l’esempio più che con le parole, e che preghi per noi affinché impariamo a cercare di conoscere di più e fare la volontà di Dio.
La preghiera di Epafra era che la volontà di Dio potesse essere realizzata nella vita dei cristiani di Colosse. Epafra preferiva parlare a Dio degli uomini, piuttosto che parlare agli uomini di Dio. Questo è un bel messaggio perché si fonda sulla consapevolezza che le mie parole sono umane e a volte rispecchiano le mie vedute sulla vita degli altri (giudizio?), mentre invece se chiedo a Dio di intervenire a sostegno dei bisogni di un fratello sicuramente Dio opererà nel migliore dei modi, magari proprio attraverso di me ma “usandomi” come “Lui” vuole e quando “Lui” vuole. A me sta aspettare le “sue” risposte alle preghiere, non anticipare la sua volontà, seguendo la mia.
Esempio di dedizione all’opera del Signore
Paolo scrive ancora di Epafra: “Infatti gli rendo testimonianza che si dà molta pena per voi, per quelli di Laodicea e di Ierapoli”.
Epafra ha investito molto tempo e donato sé stesso per l’opera del Signore e per la sua chiesa, ma anche per altre chiese (Laodicea, Ierapoli). Credo che questo possa essere un buon ricordo per tutti noi quando un giorno lasceremo questa terra ed incontreremo il Signore. Quanto sono preziosi quei fratelli e quelle sorelle in Cristo, che nel servizio della preghiera di intercessione compiono un ministerio straordinario. Tutti possono farlo, non servono grandi studi o grandi talenti. Non serve essere vicino al fratello alla sorella per cui voglio pregare. Non serve aver fatto la scuola biblica. Non serve saper parlare bene l’italiano. Sia io che te dobbiamo essere consapevoli della necessità che nessuno soffra per la mancanza in questo ministerio per la grazia di Dio.
“Molto può la preghiera perseverante del giusto fatta con efficacia”. Le tenebre devono cedere il posto alla luce di Dio. Oggi vogliamo chiederci:
“Prego io per i fratelli e per le sorelle della mia chiesa?”. Nel libro dell’Apocalisse, Laodicea è citata come una delle sette chiese che il Signore rimproverò, invitandola al ravvedimento. Il Signore si rivolse a questa chiesa in modo diretto e personale. Qualcuno ha detto che forse fu la risposta del Signore alle preghiere di Epafra, per la chiesa di Laodicea.
Epafra amava la chiesa di Colosse, e non solo, ed io quanto amo la chiesa locale in cui il Signore mi ha inserito? Aldilà delle mie parole, o delle mie pretese, saranno le mie premurose e costanti preghiere a testimoniare davanti a Dio, e agli uomini, quanto io ami la sua Chiesa.
La supplica di Epafra era che i credenti potessero essere benedetti giorno dopo giorno dal nostro Padre celeste.
Epafra divenne “compagno di prigione” di Paolo a Roma (Fi v. 23).
Ecco forse la conclusione del suo ministerio. Non sappiamo cosa facesse lì, ma sicuramente era con Paolo. Che strana fine direbbe qualcuno! Eppure nel servizio è sempre Dio che decide dove metterci, e sicuramente quel posto è il migliore.
Un giorno il Signore ci spiegherà tutto ed allora, solo allora, comprenderemo certe cose incomprensibili e sono sicuro avremo un’altra volta modo di adorarlo per le sue scelte.
Concludendo, possiamo dunque definire Epafra un uomo che seppe servire e soffrire per l’Opera del Signore, senza trascurare i bisogni spirituali, ma anche pratici dei suoi fratelli.
Che ognuno di noi sappia essere simile a colui che è il nostro Signore, ringraziandolo prima di tutto per il suo amore e per il suo esempio ed anche per l’esempio di tanti uomini e donne di Dio che ci hanno preceduto, sia nel servizio sia nell’arrivo alla sua presenza, attraverso un cammino che Dio ha disegnato con la sua “volontà” nell’ubbidienza della fede.