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Premessa

 

Nell’estate 2010, a Duisburg (Germania), 19 giovani muoiono schiacciati mentre attraversano, insieme ad una folla immensa, il tunnel che li conduce alla grande spianata dove si terrà un concerto per il quale sono arrivati giovani provenienti da tutta Europa.

Purtroppo la folla tanto numerosa, il panico, gli spazi obbligati del tunnel… non permettono a questi ragazzi di trovare una via di uscita, e sono sopraffatti.

Questa premessa non rappresenta il tema di questa piccola serie di tre articoli, ma ci fornisce un fresca esemplificazione di quello che succede quando occorrerebbe fuggire per scampare da un grave pericolo, ma non ci sono vie di fuga accessibili che si possano percorrere. Non c’è scampo.

 

La tentazione è il pericolo di caduta morale e spirituale che minaccia ciascuno di noi. Abbiamo bisogno di una via per fuggire dove la minaccia non ci possa far cadere.

Grazie al Signore, possiamo affermare che la via di uscita c’è, perché la Parola di Dio ci incoraggia così:

“Nessuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, perché la possiate sopportare” (1Co 10:13).

 

 

Essere consapevoli della dura lotta

 

La lotta spirituale di un credente comprende vari fronti, quali la lotta per la difesa della fede (Gd 3), la lotta per il progresso del Vangelo (Fl 1:30) e la lotta contro il peccato, sulla quale ci soffermiamo in quel che segue.

A proposito di quest’ultima la lettera agli Ebrei ammonisce con molta decisione:

“Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato” (Eb 12:4).

 

Queste parole esprimono la forte intensità con cui dovremmo anzitutto avere coscienza di questa lotta, e poi, di conseguenza, combatterla! Ma dentro di noi diciamo: “Fino al sangue? Possibile?”.

La Parola è chiara: non sarebbe troppo versare il proprio sangue pur di non cedere al peccato, per piacere a Dio.

 

Chiediamoci: quale concetto abbiamo del peccato? Ne avvertiamo la gravità? E poi: abbiamo la consapevolezza di essere dei soldati di Cristo? Abbiamo la fierezza di chi combatte con l’ambizione di vincere per il supremo Capitano, il Signore Gesù?

La verità è che la mentalità relativista del mondo ha invaso anche noi, credenti e chiese, e così, quanto all’avvertire forte la netta differenza tra il bene ed il male abbiamo abbassato la guardia. Il senso profondo della vergogna, del timore di Dio e del fuggire il male (vedi Giobbe) si è smorzato sensibilmente.

Questi sono fattori che ci portano a combattere sempre di meno, con poca forza e poca convinzione, e se non vigiliamo e reagiamo, ci conducono sino a non combattere per niente.

 

La lotta contro il peccato ci coinvolge sempre, ovunque siamo, con chiunque siamo, giorno dopo giorno. È una lotta che si svolge dentro di noi, dove il cuore e la mente, vale a dire la nostra anima, sono il campo di battaglia. Scriveva l’apostolo Pietro:

“Carissimi, vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali concupiscenze che danno l’assalto contro l’anima (1P 2:11).

Questi assalti sono le tentazioni che ci giungono, sotto svariate forme, tutti i giorni.

Nella gloria celeste non ci sarà più da lottare, ma adesso è l’ora del combattimento.

 

 

Liberati dalla colpa ma anche dalla potenza del peccato

 

Può darsi che il nostro approccio al combattimento sia determinato da un concetto parziale e frainteso della salvezza che abbiamo in Cristo. Questa era anche la preoccupazione che Paolo aveva per i credenti Romani, da cui scaturiscono le prime parole del capitolo 6 di quella lettera:

“Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso?” (Ro 6:1-2).

Sapere che per la grazia abbiamo ricevuto la giustificazione ed il perdono di tutti i nostri peccati, non deve portarci alla rilassatezza nei confronti del peccato. Se così fosse, è come se dimenticassimo tutta quanta un’altra parte altrettanto importante del Vangelo, cioè che il Signore Gesù ci libera dalla potenza del peccato. Si tratta di quella potenza per cui il peccatore non solo commette il peccato, ma ne è anche schiavo (Gv 8:34).

Però il credente non è più uno schiavo del peccato. In quanto morto al peccato, suo vecchio padrone, il peccato non lo domina più (Ro 6:2, 14). Ciascun figlio di Dio può affermare con l’apostolo Paolo: “la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Ro 8:2). Quindi la salvezza comprende entrambi gli aspetti, la liberazione dalla colpa (l’aspetto “legale”, che il sangue di Cristo risolve davanti a Dio) ma anche la liberazione dalla dipendenza dal peccato nella vita quotidiana.

 

Ora, questa verità, si deve manifestare nel contesto di una lotta quotidiana che il cristiano combatte, in cui le tentazioni lo assalgono in ogni modo, come abbiamo detto. Ne consegue che un credente che resiste alle tentazioni ed è reso dal Signore vincitore, dimostra in modo evidente di essere un “affrancato” in Cristo.

 

 

Avere la mentalità di combattenti valorosi

 

Un combattente deve avere una mentalità lucida e determinata. Prima di tutto bisogna evitare di sottovalutare il nemico, altrimenti la disfatta sarà sicura. Ne troviamo un chiaro esempio quando Israele si illuse di conquistare con pochi uomini la città di Ai (Gs 7), e fu una triste disfatta, dovuta soprattutto al peccato commesso da Acan che impedì al popolo di essere reso vittorioso dal Signore.

Tutto intorno a noi c’è un messaggio che si diffonde: “Non vi preoccupate del peccato; il peccato non è pericoloso; il peccato è lecito, è normale; il peccato non esiste”.

 

Tentazione e peccato sono termini abbandonati; ogni riferimento al bene e al male viene perso dalla società con una rapidità che negli ultimi anni è diventata disarmante. Una canzone di qualche anno fa recitava così: “Abbandoniamo tutte quelle storie sui peccati e i dolori”.

Invece la Parola di Dio è chiara nel presentarci il peccato quale principale problema dell’uomo, causa di rovina e di morte, problema che l’uomo vede risolversi solo se lo riconosce e si affida a Cristo. La gravità del peccato e delle sue conseguenze è evidenziata dal fatto che Cristo ha dovuto dare la sua vita per liberarcene. Altro che “storie”!

Chiarito che il peccato è un nemico serio, ci dobbiamo avvicinare alla battaglia.

In questa lotta non c’è spazio per la pigrizia e per la rassegnazione. Il Signore vuole che facciamo tutto il possibile per vincere, fino all’estremo. I soldati del Signore devono battersi con valore e spirito di sacrificio, usando tutte le armi spirituali a loro disposizione; se c’è una sconfitta se ne dispiacciono, ma subito si rialzano e si preparano a nuove battaglie.

 

Ci devono accompagnare e motivare una visione chiara di Dio ed una solida consapevolezza riguardo il combattimento.

Dio è potente per renderci vittoriosi, qualunque sia la tentazione che ci coglie. La dossologia con cui si conclude la breve lettera di Giuda lo afferma con chiarezza:

“A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla sua gloria…” (Gd 24).

Se dichiariamo che ci sono peccati “più forti di noi”, allora stiamo sottovalutando la potenza del nostro Dio e dello Spirito Santo che abita in noi. E se ci accompagna questa mentalità perversa, senz’altro ne raccoglieremo i frutti: vivremo sempre sconfitti!

 

La rassegnazione e l’incredulità del popolo d’Israele dopo l’uscita dall’Egitto, quando si trattava di andare a conquistare la terra di Canaan, furono proprio la causa del suo lungo peregrinare nel deserto. Dieci spie su dodici, e poi il popolo con loro, pensarono che i nemici da combattere fossero invincibili, e che Dio li aveva destinati a morire nel deserto. In realtà a quella triste fine si condannarono da soli!

Possibile che avevano già dimenticato di che cosa era capace Dio, che li aveva liberati miracolosamente dall’Egitto e li aveva assistiti sino a quel momento? Eppure la loro visione di Dio si era realmente offuscata ed erano diventati increduli. Attenzione a noi, perché corriamo il pericolo di diventare dei credenti “increduli”. Increduli di tante vittorie che sono pienamente a nostra disposizione, perché Dio è pronto a farcele riportare, se solo lo seguiamo con fede.

Di quell’epoca, ci sono due uomini che per noi sono un esempio: Giosuè e Caleb. Loro erano animati da un altro spirito: credevano di poter conquistare il paese, sconfiggendo i nemici.

“E Giosuè, figlio di Nun, e Caleb, figlio di Gefunne, che erano tra quelli che avevano esplorato il paese, si stracciarono le vesti e parlarono così a tutta la comunità dei figli d’Israele: «Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese buono, molto buono. Se il Signore ci è favorevole, ci farà entrare in quel paese e ce lo darà: è un paese dove scorre il latte e il miele. Soltanto, non vi ribellate al Signore e non abbiate paura del popolo di quel paese, poiché ne faremo nostro pascolo; l’ombra che li proteggeva si è ritirata, e il Signore è con noi; non li temete»” (Nu 14:6-9).

 

Purtroppo il popolo non ebbe lo stesso loro atteggiamento, per questo tutti gli uomini dai vent’anni in su, eccetto Giosuè e Caleb morirono senza poter entrare nel paese promesso (Nu 14:28-30).

Noi che abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, che abita permanentemente in noi, dobbiamo “camminare per lo Spirito”. E così facendo, scrive Paolo, “non adempirete affatto i desideri della carne” (Ga 5:16). In questo“affatto” c’è una chiara prospettiva di sconfitta della carne e dei suoi richiami!

 

Ripudiamo dunque l’incredulità e la rassegnazione che ci impediscono di vedere sconfitto il peccato nella nostra vita. Troveremo la via di uscita dalla tentazione esercitando la fede ed un atteggiamento combattivo, come soldati pienamente leali al nostro Signore Gesù Cristo.