Tutto quello che stiamo facendo, ha valore nell’opera di Dio?
Forse troppo spesso, in modo semplicistico e superficiale, diamo per scontato che “fare” qualcosa sia prerogativa per “apportare” del bene all’opera di Dio.
In quest’opera però non esiste sempre una correlazione diretta tra il “fare” e il “contribuire” utilmente.
Delle iniziative che noi inizialmente potremmo reputare utili poi, con il trascorrere del tempo, potrebbero non rivelarsi tali. Per questo, serve un continuo confronto con la Scrittura.
Solo da essa, possiamo apprendere ciò che veramente serve per “PROMUOVERE L’OPERA DI DIO” (1Ti 1:4).
La prima lettera di Paolo a Timoteo può essere definito un TESORO TRASMESSO da un servo di Dio, giunto quasi al termine del servizio, a un altro servo, che si trova invece nel pieno del servizio.
Esaminando questo tesoro, comprendiamo quali sono gli aspetti che contribuiscono al vero benedell’opera di Dio.
Questo perché l’unico interesse del primo servitore, l’apostolo Paolo, era quello di trasmettere al secondo servitore, il giovane Timoteo, ciò che sarebbe stato utile per la vita della Chiesa.
La bontà della dottrina
Non appena si apre lo “scrigno” della prima lettera di Paolo a Timoteo il primo elemento prezioso che immediatamente splende davanti ai nostri occhi, è quello della BUONA DOTTRINA. Timoteo, infatti, doveva“ordinare ad alcuni di non insegnare dottrine diverse e di non occuparsi di favole e genealogie senza fine le quali suscitano discussioni invece di promuovere l’opera di Dio che è fondata sulla fede” (1Ti 1:3-4).
Potrebbe sembrare scontato affermare che la sana dottrina contribuisce al bene dell’opera di Dio. Eppure nella storia sono state proprio numerose “dottrine diverse” che hanno originato, determinato e alimentato veri e propri“disastri”.
Insegnamenti “nuovi” e “falsi” non presenti nella Scrittura, nel tempo hanno creato divisioni, contese, scoraggiamenti. Da questi hanno preso vita comportamenti scorretti, concessioni sbagliate e rinunce da parte della Chiesa a svolgere compiti propri finendo magari per delegarli ad altri.
Quando le “favole”, cioè argomenti estranei alla Parola di Dio, e le “genealogie senza fine”, cioè speculazioni umane, diventano parte dell’insegnamento nelle assemblee, l’opera di Dio viene fortemente danneggiata.
Questo perché i falsi insegnamenti “suscitano discussioni”, alimentano dubbi, producono confusione, disgregano la comunità dei fedeli.
Non conta che vi siano semplicisticamente delle “predicazioni” nella nostra chiesa!
Conta che “l’argomento” di tutte le predicazioni sia sempre e soltanto ancorato totalmente alla sana dottrina!
Questa suscita la “fede” in chi la ascolta. Se quello che stiamo facendo poggia sulla sana dottrina stiamo contribuendo al bene dell’opera di Dio. Altrimenti stiamo provocando un danno che manifesterà le sue tristi conseguenze.
Il fondamento del servizio
Con la buona dottrina il “tesoro” non è certo esaurito. Immediatamente dopo è, infatti, possibile contemplare l’elemento “prezioso” del SERVIZIO. Paolo scrive:
“Io ringrazio colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù nostro Signore, per avermi stimato degno della sua fiducia,ponendo al suo servizio me che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità; e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù” (1Ti 1:12-14).
Non si contribuisce al bene dell’opera di Dio facendo “qualcosa” e pensando che ciò significhi, in un modo o nell’altro, servire. Molte volte in noi si potrebbe creare “l’illusione” del servizio invece che il vivere “la sua autenticità”.
Si contribuisce al bene dell’opera di Dio quando la base del nostro servizio è la stessa base sulla quale poggiava il servizio di chi scrisse le righe appena lette.
Paolo afferma che Cristo lo aveva “stimato degno della sua fiducia”. Subito dopo però puntualizza che questa“stima”, cioè questa valutazione del valore presente in lui, non era stata basata sulla sua persona.
La “stima” era stata basata sulla persona di Cristo Gesù. Lui era il valore presente in Paolo!
Cristo Gesù lo aveva “reso forte”.
“La misericordia” presente in Cristo era stata “usata” nei suoi confronti.
“La grazia” di Dio, rivelata ad ogni uomo nella persona di Cristo, era “sovrabbondata” nella sua vita.
“La fede” riposta nella persona di Cristo era quella che Paolo aveva esercitato.
“L’amore” che si trova in Cristo era quello del quale Paolo era stato rivestito.
Paolo era consapevole di tutto ciò, tanto che si definiva “il primo” (1Ti 1:15) dei peccatori che Cristo era venuto nel mondo per salvare. Si reputava uno nei confronti del quale Cristo aveva dimostrato “tutta la sua pazienza”(1Ti 1:16) e quindi “un esempio” per quanti dopo di lui “avrebbero creduto … per avere vita eterna” (1Ti 1:16).
Questa era la visione con la quale Paolo aveva iniziato, proseguito e terminato il suo servizio. Quanto contribuì al bene dell’opera di Dio?
Molto!
Così quando pensiamo al contributo essenziale che quest’uomo diede all’opera di Dio, non dimentichiamoci quale era il fondamento di quel servizio. La sua visione era di sentirsi sempre un peccatore nei confronti del quale Cristo aveva dimostrato “tutta la sua pazienza”.
Il servizio che contribuisce al bene dell’opera di Dio non è quello del superficiale “fare qualcosa”, ma quello svolto con la costante consapevolezza che l’unico valore presente nella nostra vita è Cristo Gesù. Se, infatti, siamo stati anche noi stimati degni della fiducia di Cristo, non è perché questa fiducia ce la siamo guadagnata.È stato Cristo stesso a renderci degni della sua fiducia.
Non dimentichiamoci mai che egli ci “ha reso forti”, che “misericordia” ci “è stata usata”, che “la grazia … è sovrabbondata”.
Siamo anche noi i “primi” peccatori per la salvezza dei quali Cristo è venuto sulla terra. Nei nostri confronti egli ha dimostrato non tutta la sua ammirazione per quello che eravamo, ma “tutta la sua pazienza” al fine dicambiarci totalmente.
Non valutiamoci migliori degli altri, ma impegnamoci ad essere esempi che mostrano agli altri quant’è grande la grazia di Dio.
Il nostro servizio non deve essere dimostrazione di quello che noi siamo in grado di fare, ma di quello che Cristo è in grado di fare in noi e attraverso di noi, quando si crede in lui.
Servire con questo fondamento significa servire non “tanto per fare”, ma “in modo da promuovere” l’opera di Dio.
L’esercizio della preghiera
Lo “scrigno” della prima lettera a Timoteo ha fatto brillare davanti ai nostri occhi due meravigliosi oggetti preziosi. Eppure, il suo contenuto continua a risplendere ulteriormente.
Vi è, infatti, il terzo elemento, in ordine di disposizione, che è quello della PREGHIERA.
Paolo esorta “dunque prima di ogni altra cosa che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità … questo è buono e gradito davanti a Dio nostro Salvatore … io voglio, dunque, che gli uomini preghino in ogni luogo” (1Ti 2:1-3,8).
Quello della preghiera è un elemento noto. Eppure, quanto nella sua “essenza” esso è praticato dalla Chiesa?
Spesso agiamo e nell’agire ci trasciniamo dietro, quasi per abitudine, le nostre preghiere.
La preghiera deve, invece, anticipare ogni nostra iniziativa e quindi essere seguita dalle nostre azioni.
Paolo dice che la preghiera “prima di ogni altra cosa” doveva essere praticata.
Il suo esercizio è definito come un qualcosa di “buono e gradito davanti a Dio”.
La preghiera è quindi un elemento che contribuisce al bene dell’opera di Dio. Con la Scrittura Dio parla a noi e, tramite noi, agli altri. Mentre con la preghiera noi parliamo a Dio di noi e degli altri.
La preghiera è parte integrante del servizio, elemento irrinunciabile per la sua efficacia.
In ogni ambito in cui la Chiesa è chiamata a servire la preghiera non deve mai mancare, ma piuttostoprecedere, accompagnare e anche terminare ogni iniziativa.
Tutto questo non deve ridursi a un qualcosa di formale o, soltanto, di pubblico perché significherebbe essere“ipocriti” (Mt 6:5) e l’ipocrisia danneggia l’opera di Dio.
Piuttosto, la preghiera deve coinvolgere la totalità del nostro tempo, partendo dalla nostra intimità, insomma, nella “cameretta… chiusa la porta” (Mt 6:6).
Se prego, non sto perdendo tempo, ma sto facendo qualcosa di “gradito davanti a Dio” e quindi sto contribuendo al bene della sua opera.
Il comportamento nella Chiesa
Lo “scrigno” della prima lettera a Timoteo possiede ancora qualcos’altro di prezioso.
Cioè il quarto elemento, che in ordine di spazio possiamo contemplare, rappresentato dalla CHIESA.
Infatti, ecco che Paolo dice a Timoteo:
“Ti scrivo queste cose sperando di venir presto da te, affinché tu sappia, nel caso che dovessi tardare, come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità”(1Ti 3:14-15).
Queste parole sono precedute dall’elencazione delle caratteristiche dei “vescovi” e dei “diaconi” mentre sono seguite, fino alla conclusione della lettera, da precise indicazioni pratiche relative alla condotta della Chiesa.
Anche in questo caso potremmo erroneamente pensare che, per il solo fatto che si fa parte della Chiesa, automaticamente il nostro servizio apporterà del bene all’opera di Dio.
In realtà, il fare parte della Chiesa è elemento indispensabile per il nostro servizio, ma da solo non lo garantisce.
Paolo, infatti, parla a Timoteo di “come bisogna comportarsi” nella Chiesa.
È quindi il “come” mi sto comportando nella Chiesa che determina se il mio servizio sta contribuendo al bene o meno dell’opera di Dio.
Nella Chiesa “bisogna” comportarsi in un certo modo e non si può scegliere una condotta a nostro piacimento, magari variabile in base alle situazioni, agli stati d’animo, agli obiettivi, ai desideri. La Chiesa non è “nostra”, ma è “del Dio vivente” e, quindi, siamo chiamati a tenere un comportamento che rispecchia quest’appartenenza.
Dio ha costituito “Cristo” come Capo della Chiesa e non degli uomini (Cl 1:18).
Chiediamoci “come” ci stiamo comportando nella Chiesa di Dio. L’opera di Dio non è promossa da comportamenti volti a soddisfare le proprie ambizioni, i propri progetti, le proprie finalità.
Nella Chiesa vi è un ordine presentatoci dalla Scrittura che deve essere vissuto, rispettato, praticato.
Il “come” ci comportiamo nella Chiesa fa parte della sostanza del nostro servizio e ne determina la sua efficacia.
Il tesoro trasmesso di cui posso e devo appropriarmi per servire
Lo “scrigno” della prima lettera di Paolo a Timoteo ci ha mostrato almeno quattro elementi “preziosi” che sono solamente una parte del tesoro.
Vi sono, infatti, attorno a questi, numerosi altri oggetti di grande valore che compongono questa meravigliosa ricchezza.
La cosa stupenda è che questo TESORO ci viene TRASMESSO perché possiamo e DOBBIAMO APPROPRIARCENE.
Non deve, quindi, essere solo ammirato, ma anche utilizzato.
Da esso dobbiamo attingere per realizzare ogni singola tappa del nostro cammino cristiano. Solo così, cioè utilizzando gli elementi preziosi della sua parola, costruiremo sul “fondamento” (Cristo Gesù) con “oro, argento, pietre di valore” (1Co 3:12).
In questo modo, contribuiremo al bene dell’opera di Dio avendo sempre in vista la “ricompensa” (1Co 3:14) che riceveremo un giorno alla sua gloria.