Caro Paolo,
Per l’affetto che ti porto e per la fedeltà con cui leggo i tuoi editoriali, solitamente molto puntuali, non posso tacerti “qualche osservazione”, data la rilevanza del tema, al tuo editoriale “APOSTOLICA?” (pubblicato sul n. 5/maggio 2012, N.d.R.) .
Ancor di più mi riferirò allo studio “La Chiesa di Dio” del fratello Bruno Aresca che tratta lo stesso argomento(pubblicato sempre nel n.5/maggio 2012; pagg. 212-217).
La ragione di metodo per cui mi accingo a qualche osservazione è perché su un punto siamo d’accordo e cioè studiamo il tema “secondo le Scritture”.
Ovviamente l’argomento è tanto nobile e vasto che per stare nei limiti di una lettera al direttore mi limiterò a qualche battuta spero dirimente, non disponendo di altrettanto spazio come voi.
Niente di cristiano nel libro degli Atti?
Tutto il tuo editoriale ruota intorno al fatto, se ho compreso bene, che la chiesa è apostolica perché gli apostoli insegnavano secondo tutte le Scritture. Questa affermazione ne sottintende due non vere.
Tu parli di primi cristiani e di apostoli cristiani che insegnavano secondo le scritture d’Israele (e questo tu lo sai bene) semplicemente perché le scritture “cristiane” non sono mai state scritte.
Si può chiaramente dimostrare che invece gli apostoli erano apostoli d’Israele, che tutti gli Atti degli Apostoli erano costituiti da Giudei (che tu chiami i primi cristiani) che credevano nel Messia d’Israele e che il termine “cristiani” era un insulto usato dai carabinieri romani (che in quell’occasione venivano chiamati Greci ad Antiochia) che cercavano dei sovversivi zeloti.
Il termine usato ad Antiochia è “cristianoi” che è un genitivo latino, in greco li avrebbero chiamati “cristoi”.
Dunque non vi è niente di cristiano negli atti degli Apostoli e men che meno di apostolico.
Ma il grande equivoco riguarda il termine “chiesa” come ampiamente dimostrerò nell’articolo di Aresca.
Tu citi Efesini 2.20 come se in quell’epistola si trattasse della dottrina della chiesa “cristiana”.
Ma il mio argomento si fonda proprio su Efesini, particolarmente il capitolo 2.
Ora chiaramente in tutta l’epistola Paolo usa i pronomi “Voi” e “Noi”, parlando di Gentili e Giudei, e afferma che i Gentili sono stranieri senza permesso di soggiorno, pardon di cittadinanza, al verso 21 parla di un edificio che in senso anche letterale intende il il Tempio di Gerusalemme.
Al verso 22 dice:
“VOI ENTRATE A FAR PARTE DELL’EDIFICIO…”.
La mia conclusione è molto semplice ed è che la “chiesa” è costituita dagli apostoli e dai credenti Giudei in Gesù e che gli altri entrano o se preferisci vengono innestati nel tronco secondo Romani 11. Invece si dà ad intendere che esiste un soggette nuovo e superiore che è la chiesa cristiana, cui eventualmente i Giudei possono partecipare, se stanno alle nostre indicazioni.
Ora tutte queste premesse sottointese, errate e date per scontate, e cioè che esiste una chiesa cristiana e degli apostoli cristiani, manifestano tutte le sua conseguenze nell’articolo di Aresca.
Per esempio: Matteo 16:18 (“LA MIA CHIESA”) dà ad intendere che Gesù ha fondato la chiesa cristiana apostolica. Solo due volte il Signore usa il termine “Keillà” che è stato tradotto impropriamente con “Chiesa” mentre sarebbe meglio tradurre con “Radunanza” come ben avevano compreso i fondatori della chiesa dei Fratelli, e che queste due volte si trovano nel vangelo rivolto a Israele, cioè quello di Matteo, dunque Gesù ai Gentili non pensava proprio e neanche insegnava loro, altrimenti avrebbe dovuto prendere l’aereo per Roma.
L’espressione “Le chiese di Dio che sono in Gesù Cristo nella Giudea” (1Te 2:14) erano chiaramente “Sinagoghè” (termine greco che traduce “Keillà”, cioè “adunanza”).
Infatti l’errore fondamentale è che si dà ad intendere che le sinagoghe sono una riunione di Giudei, mentre la chiesa è una riunione di Gentili, invece sia il termine “Ecclesia”, che “Sinagoghè” sono equivalenti e significano entrambe riunione senza connotazione né cristiana né giudaica.
Solo questo dato porta con sé una conclusione decisiva e cioè che con Gesù non nasce nessun soggetto nuovo, ma semplicemente col ministerio di Gesù si compie qualcosa che i profeti avevano annunciato ed era rivolto prima ad Israele e poi alle nazioni.
La dimostrazione sta proprio in Atti 1:4 perché quello della Pentecoste non è stato un evento a sorpresa, ma l’adempimento delle Feste di Dio (vedi Le 23) e soprattutto non c’era nessun cristiano in quanto chiaramente il testo parla di Giudei della diaspora e di proseliti (cioè di praticanti la “religione” di Mosè) venuti a Gerusalemme, come avviene ancora oggi, per adempiere il comandamento di recarsi nella santa città. Il primo gentile cristiano eventualmente si incontra con Cornelio che però frequentava la sinagoga (Knesset o Keillà).
Poi al punto 6 dell’articolo si giunge al paradosso. Si parla di una fidanzata di Cristo, “la sposa dell’Agnello” (Ap 21:9) ma al v. 10 dice che la sposa è una città santa, Gerusalemme, non certo cristiana (vedi Isaia 60).
Ma poiché il profeta Osea parla di una sposa di Yaweh giungiamo al paradosso di due spose : una di Yaweh e una di Cristo e se i soggetti fossero solo la Sposa e il Messia certamente non è una sposa cristiana, ma piuttosto Israele.
Al punto 3 l’affermazione “La chiesa è il popolo di Dio” cita 1Pietro 2:9-10, che come è noto stava parlando alla comunità dei Giudei di Babilonia e dunque non può che riferirsi ad Israele.
A ognuno la sua chiesa a propria immagine e somiglianza. Facile ridere del papa e dei suoi Pietri. Noi siamo la Chiesa e Israele è la comparsa dell’escatologia degli ultimi tempi.
Mi pare evidente che anche la chiesa Evangelica nelle sue varie denominazione segue più la sua tradizione che la Scrittura.
È troppo chiedere di rileggere la Scrittura?
La mia non è ironia, ma preghiera che il Signore ci faccia presto ravvedere e almeno ci faccia ritornare all’insegnamento dei fondatori della chiesa dei Fratelli in cui ho ricevuto tanta benedizione.
Shalom.
P.S. Sarebbe opportuno, per correttezza, far pervenire questa mail ad Aresca. Grazie.
Giovanni Melchionda (Ancona)
“Chiesa dei Fratelli”? Un equivoco!
Caro Giovanni,
ti ringrazio per aver esternato in modo chiaro le tue convinzioni. È sempre positivo quando fra fratelli in Cristo abbiamo la disponibilità a confrontarci non sulla base delle nostre opinioni e dei nostri punti di vista, che valgono davvero poco e nulla, ma sulla base di quanto impariamo dalla lettura della Parola di Dio. È evidente, poi, che è incoraggiante constatare che la tua lettura delle pagine de IL CRISTIANO è attenta, scrupolosa e non superficiale.
Grazie anche per le tue parole di stima e di affetto.
Rispondo alla tua lettera in relazione alle tue osservazioni sull’editoriale “Apostolica?”, lasciando al fratello Bruno Aresca di rispondere per la parte in cui lo chiami direttamente in causa per il suo articolo “La Chiesa di Dio”.
Vorrei però fare prima di tutto una precisazione che esula dall’argomento in “discussione”, ma che ritengo necessaria per non ingenerare pericolosi equivoci. Gli uomini, che Dio ha usato nel XIX secolo, per dare vita al movimento di risveglio nel quale ci identifichiamo nel nostro cammino di fede e di servizio, non avrebbero sicuramente gradito la qualifica di “fondatori della chiesa dei Fratelli”, per almeno due motivi:
1. Il loro riferimento costante è sempre stato all’unica Chiesa, fondata dal Signore Gesù Cristo; mai si sono ritenuti “fondatori” di un movimento nuovo. Infatti hanno sempre avuto la convinzione di essere diventati parte della Chiesa nella quale, attraverso i secoli, sono entrati coloro che hanno vissuto l’esperienza della conversione a Cristo e della nuova nascita. Non hanno quindi creato una nuova chiesa, ma sono entrati in quella grande schiera di fedeli e di testimoni, formatasi dalla Pentecoste dell’anno 33 (?) in poi.
2. Inoltre hanno sempre rifiutato di essere etichettati o denominati: mai hanno parlato di “chiesa dei Fratelli”, ma molto più semplicemente e più appropriatamente di “Chiesa cristiana” della quale le diverse comunità sparse per la penisola e per il mondo erano espressione. Certamente, questi fratelli non sarebbero stati d’accordo con te nell’affermare che non esiste una chiesa cristiana.
Essi, nella loro testimonianza, nei loro scritti e nel loro servizio sono stati guidati da queste due convinzioni, desunte da un’attenta lettura della Parola.
“Cristiani”: origine del nome
Se ho ben capito tu mi attribuisci due affermazioni “non vere”: eufemismo (fraterno?) usato per evitare di dire“false”, anche se più avanti parli esplicitamente di “premesse errate”. Il tutto ruota intorno all’uso dell’aggettivo“cristiano”. Tu infatti sostieni che “le scritture cristiane non sono mai state scritte” e che non esiste neppure “un soggetto nuovo e superiore che è la chiesa cristiana” e che non esistono “apostoli cristiani”.
Da un’attenta rilettura del mio editoriale emerge il fatto che tutte le mie riflessioni ruotavano intorno all’uso dell’aggettivo “apostolica” e non intorno a quello dell’aggettivo “cristiana”, sul quale tu concentri invece le tue osservazioni. Ma è evidente che esiste una stretta relazione fra i due aggettivi, perché l’insegnamento degli apostoli deriva direttamente dall’insegnamento di Cristo, quindi si può affermare che la Chiesa è“apostolica” in quanto “cristiana”, tenendo ovviamente presente che, mentre l’aggettivo “apostolica” va riferito all’insegnamento e non alle persone, l’aggettivo “cristiana” fa riferimento alla persona di Cristo.
Posso essere d’accordo con te sul fatto che il nome “cristiani” possa essere stato usato in un primo momento per insultare o deridere i discepoli, ma da qui ad affermare che “non vi è niente di cristiano negli Atti degli Apostoli e men che meno di apostolico” ce ne corre!! Non posso essere assolutamente d’accordo con questa affermazione!
È indubbiamente vero che nel libro degli Atti, quando Luca parla di coloro che avevano vissuto l’esperienza della conversione a Cristo, non li chiama mai “cristiani”, ma li indica con altri nomi: “discepoli” (6:2), “fratelli” (11:1)“quelli che avevano creduto” (4:32) e “santi” (9:32). Quindi non è un nome nato all’interno della Chiesa. A quel tempo – e questo dovrebbe insegnarci qualcosa – ci si preoccupava della qualità della vita in Cristo non certo delle etichette e dei nomi che la identificassero!
Ma non può essere nato neppure all’interno del mondo giudaico. Per i Giudei infatti i veri seguaci del Cristo, cioè i veri seguaci di un Messia che ancora attendevano, non potevano essere i discepoli di Gesù di Nazaret che indicavano spregiativamente con i nomi di “Galilei” (2:7) o “Nazareni” (24:5).
Il nome “cristiani” è stato quindi coniato e diffuso all’interno della società secolare e pagana. A conferma di questo c’è il fatto che, scorrendo il libro degli Atti, troviamo questo nome solo un’altra volta: sulle labbra del re Agrippa (26:28) che, posto davanti alla domanda di Paolo che lo invitava a riconoscere che la conseguenza logica della fede nelle Scritture profetiche dei Giudei, non poteva essere che quella di riconoscere in Gesù il Messia, rispose forse con ironia, ma soprattutto per evitare una risposta che avrebbe potuto creare, alla sua autorità di re, difficoltà e problemi:
“Con così poco vorresti persuadermi a diventare cristiano?”.
È evidente che Agrippa usa un termine diventato ormai di uso comune per indicare i discepoli di Cristo.Del resto Paolo non oppone un rifiuto all’uso di questo nome, anzi risponde ad Agrippa:
“Piacesse a Dio che con poco o con molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali…”, dove non è forzato pensare che “tali” sottintenda “cristiani”.
“Cristiano”: dall’insulto all’0nore
Forse, prima di leggere l’editoriale, sarebbe stato opportuno rileggere la copertina de IL CRISTIANO dove, da 125 anni, sono riportate ogni mese le parole di Pietro che contengono la terza ed ultima citazione neotestamentaria del nome “cristiano”:
“…se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio” (1P 4:16) e, particolare assai importante, Pietro aggiunge: “PORTANDO QUESTO NOME”!
Quindi “il nome” di “cristiano” non era soltanto “un insulto usato dai carabinieri romani”, come tu scrivi, ma, come scrive Pietro, era un nome che doveva essere portato senza vergogna!!
Una parola usata dagli avversari per insultare, era diventata cioè un motivo di onore per i credenti della Chiesa primitiva.
Ma non soltanto questo: era un nome che i discepoli di Cristo non rifiutavano, anche se veniva usato per indicare una scelta di vita fonte di sofferenza e causa di persecuzione. Anzi l’essere indicati con questo nome o, come dice Pietro, il portare questo nome doveva essere uno fra i motivi per i quali “glorificare Dio”.
Indicare quindi come “cristiane” le Scritture del Nuovo Testamento, come “cristiani” gli apostoli e come“cristiano” il nuovo popolo formato da Giudei e Gentili (Ef 2:11-18) non è frutto di errore, ma piuttosto è frutto di una convenzione linguistica entrata, da Antiochia in poi, nell’uso comune per indicare realtà che hanno Cristo come Salvatore, Signore e Maestro. Così come è frutto di convenzione il nome di “messianici” con cui amano presentarsi i Giudei che hanno riconosciuto in Gesù di Nazaret il Messia promesso dai profeti.
La meraviglia della Grazia di Dio è che dalla conversione dell’italiano Cornelio in poi (At 10) “cristiani” e“messianici” fanno parte dello stesso popolo, cioè della Chiesa, il nuovo soggetto la cui realtà ci porta a conoscere ancora oggi “la infinitamente varia sapienza di Dio…” (Ef 3:10).
Caro Giovanni, che il Signore possa sempre più illuminare la nostra comprensione delle Scritture, guidandoci ad usare sobrietà nel valore che diamo alle convenzioni del nostro linguaggio e a dare invece peso e valore alla sostanza del nostro cammino come discepoli di Cristo!
Lascio ora spazio al fratello Bruno Aresca che ti risponderà in relazione alle osservazioni che hai scritto relativamente al suo articolo.
Ti saluto con affetto in Cristo.
Paolo Moretti
La Chiesa: il soggetto nuovo,
nato dall’opera di Cristo
Caro Giovanni,
chiamato in causa dalle tue osservazioni in merito all’articolo “La Chiesa di Dio”, comparso su IL CRISTIANO del mese di maggio, cercherò di approfondire alcuni degli aspetti che tu ritieni essere stati esaminati in modo improprio rispetto al significato della Scrittura.
Non posso che confermare ora il principio di metodo al quale intendo attenermi, vale a dire chiedermi sempre:“Che dice la Scrittura?” (Ro 4:3; Ga:4:30).
Infatti, ogni conclusione non fondata nel testo biblico o supportata soltanto da qualche versetto non inquadrato nel senso del suo contesto sarà sempre errata e fuorviante.
L’articolo pubblicato, peraltro, non affrontava il discorso dell’identità della Chiesa in relazione ad Israele: ho cercato piuttosto, molto limitatamente, di sottolineare la natura divina della Chiesa che, avendo tale impronta, deve riconoscere a Dio il governo, la guida e la centralità, pur beneficiando della strumentalità degli uomini che nella Chiesa servono Dio stesso.
Per chiarezza riporto ora i due passaggi che mi paiono centrali nelle tue riflessioni, cioè “che la «chiesa» è costituita dagli apostoli e dai credenti giudei in Gesù e che gli altri entrano o se preferisci vengono innestati nel tronco secondo Romani 11. Invece si dà ad intendere che esiste un soggette nuovo e superiore che è la chiesa cristiana, cui eventualmente i Giudei possono partecipare, se stanno alle nostre indicazioni.”
“…con Gesù non nasce nessun soggetto nuovo, ma semplicemente col ministerio di Gesù si compie qualcosa che i profeti avevano annunciato ed era rivolto prima ad Israele e poi alle nazioni”.
La Chiesa è chiaramente il soggetto nuovo che nasce a seguito della venuta di Gesù, dell’espletamento della sua opera e della conseguente discesa dello Spirito Santo.
Quello che comprendo è che a tuo avviso la Chiesa non ha una sua identità propria…i seguaci di Cristo del Nuovo Testamento altro non dovrebbero essere che dei “rami” innestati nel “tronco” dell’Israele che ha riconosciuto in Gesù il Messia, e per questo l’identità della Chiesa altro non sarebbe che l’identità giudaica arricchita dagli insegnamenti del Nuovo Testamento.
Non conoscendo le lingue originali non mi avventuro in discussioni “tecniche”, dico soltanto, con assoluta semplicità, che se i traduttori della Bibbia hanno differenziato i termini “sinagoga” e “chiesa”, qualche differenza ci sarà pure. Del resto, se in qualche caso la parola “chiesa” potesse essere resa anche con “sinagoga” o“adunanza”, certamente ci sarebbero delle grosse difficoltà a spiegare i versetti che parlano della chiesa universale, come Efesini 5:25 (“…Cristo ha amato la Chiesa”).
È proprio la lettera agli Efesini, da te citata, a mostrarci che la Chiesa è il soggetto nuovo. “Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione…per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace” (Ef 2:14-15).
È evidente che l’apostolo Paolo non parla di una Chiesa composta da cittadini di Israele e di una Chiesa composta da Gentili. E se nei primi tempi apostolici è vero che i membri della Chiesa erano praticamente solo dei Giudei, questo non significa che non fosse già nato il soggetto nuovo di cui parliamo!
Vi è una sola Chiesa, di cui fanno parte i Giudei convertiti a Cristo ed i Gentili convertiti a Cristo.Questo fatto è particolarmente prezioso per i Gentili convertiti, come noi, in quanto, mentre un Giudeo aveva delle benedizioni e delle promesse particolari anche prima della venuta di Gesù, il Gentile non le aveva affatto (Ef 2:11-13); ecco pertanto il valore del “ricordatevi” di Efesini 2:11. (L’esclusione da benedizioni e promesse particolari tuttavia non vuol dire che prima della venuta di Gesù i Gentili non avevano la possibilità di essere salvati!).
Ricordare quello che eravamo e saremmo stati senza Cristo ci spingerà non solo alla riconoscenza ma ci porterà anche a “non insuperbirci” (Ro 11) sapendo che è stato proprio attraverso il popolo d’Israele che è piaciuto a Dio di mandare nel mondo il Salvatore, Gesù il Nazareno.
Dunque coloro che disprezzano Israele e pensano che la Chiesa lo sostituisca sono fuori strada.Attraverso Israele Dio ha voluto rivelarsi ed ha ancora dei piani che si attueranno in futuro con e attraverso questo popolo.
Ma la Chiesa è qualcosa di totalmente diverso, e in fondo questa marcata diversità salvaguarda il posto e le funzioni che spettano e spetteranno ad Israele.
Il soggetto nuovo, cioè la Chiesa, è nuovo perché ha delle benedizioni e delle promesse proprie che non sono destinate ad Israele come popolo terreno (ovviamente sono destinate anche ai singoli Israeliti che con i Gentili si convertono a Cristo).
Per la Chiesa si parla di realtà celesti. In Efesini si possono esaminare i seguenti versetti: 1:3 (benedizioni nei luoghi celesti), 2:6 (seduti nel cielo), 3:10 (testimonianza nei luoghi celesti), 6:12 (combattimento contro forze che sono nei luoghi celesti).
Al contrario Israele ha benedizioni e promesse, compiute e ancora da compiersi, con un costante riferimento alla terra.
La Chiesa: il mistero rivelato!
Ma la Chiesa è il soggetto nuovo anche perché le Scritture dell’Antico Testamento non ne parlavano, ecco perché nel Nuovo Testamento ciò che la riguarda e riguarda il suo rapporto con Cristo viene definito “il mistero” (Ef 3:3-12; 5:32; Cl 1:24-27). Si tratta di un mistero in quanto prima non era stato rivelato, ma ora è fatto conoscere.
E avendo la Chiesa una chiara connotazione celeste, anche le immagini con cui la Parola ce la presenta rispecchiano queste caratteristiche.
Essa è oggi il popolo celeste di Dio.
Tu scrivi: “l’affermazione «La chiesa è il popolo di Dio» cita 1Pietro 2:9-10, che come è noto stava parlando alla comunità dei Giudei di Babilonia e dunque non può che riferirsi ad Israele.”
Mi chiedo che senso avrebbe dire: “voi che prima non eravate un popolo…” (1P 2:10), se Pietro scriveva solo a Giudei oppure a dei Giudei in quanto tali…in ogni caso è Pietro, il mittente, che si trovava a Babilonia (5:13) mentre i destinatari, cristiani Giudei e Gentili, erano dispersi nelle varie regioni dell’Asia (1:1)!
Riguardo poi all’immagine della Chiesa come sposa, affermi che nel mio articolo “Si parla di una fidanzata di Cristo, «la sposa dell’Agnello» (Ap 21:9) ma al v. 10 dice che la sposa è una città santa, Gerusalemme, non certo cristiana (vedi Isaia 60). Ma poiché il profeta Osea parla di una sposa di Yaweh giungiamo al paradosso di due spose: una di Yaweh e una di Cristo e se i soggetti fossero solo la Sposa e il Messia certamente non è una sposa cristiana, ma piuttosto Israele”.
Ero ben consapevole, quando ho scritto l’articolo, della possibile obiezione (la sposa di Apocalisse 21:9 non è la Chiesa o non è soltanto la Chiesa). Si tratta molto probabilmente della “trasfigurazione” dei credenti di epoche diverse… (l’immagine della sposa come ricordi viene applicata ad Israele in diversi passaggi dell’Antico Testamento). Ma teniamo conto che a quel punto non ci saranno più il cielo e la terra della storia attuale! Infatti la Gerusalemme di cui si parla in Apocalisse 21 non è certo quella terrena, è la Nuova Gerusalemme!
E’ allora per prudenza che non ho scritto che la sposa di Apocalisse 21:9 è (solo) la Chiesa, ma semplicemente che viene mostrata a Giovanni “la sposa, la moglie dell’Agnello” lasciando aperta una porta. L’accento era posto sul fatto che si tratta della sposa dell’Agnello.
Per questo dico senza timori che quella è certamente la sposa cristiana, perché l’Agnello è Cristo! E il titolo di cristiano non è né di proprietà esclusiva dei Gentili né dei Giudei, significa semplicemente “di Cristo”.
Oggi purtroppo, mentre anche la Chiesa mostra un tiepido attaccamento a Cristo, Israele è palesemente lontano da Cristo, che continua a non riconoscere da duemila anni. Continua comunque ad essere il popolo terreno di Dio, grazie alla fedeltà di Dio, ma in una condizione di temporanea “aspettativa” forzata (prendo a prestito una situazione del mondo del lavoro) ma sarebbe bello diventasse al più presto anche il popolo cristiano di Dio…e quando ciò accadrà cesserà l’aspettativa e Israele tornerà a svolgere attivamente le sue funzioni.
Ad ulteriore conferma dell’identità propria della Chiesa, ci sono le parole di 1Corinzi 10:32 che indicano attualmente tre soggetti collettivi tra gli uomini:
“Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci (i Gentili), né alla Chiesa di Dio”.
Analizzando dunque l’equilibrio della Scrittura nel trattare il rapporto Israele-Chiesa, credo dobbiamo guardarci da due pericoli:
• da un lato, l’eccesso di chi concepisce la Chiesa come definitiva sostituta di Israele, e
• dall’altro l’eccesso opposto di pensare che la Chiesa non abbia un’identità propria distinta da Israele.
Ci conceda il Signore di avere il discernimento necessario per comprendere e dispensare sempre “rettamente la parola della verità” (2Ti 2:15).