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L’ultima frase di Gesù nel Nuovo Testamento è una meravigliosa promessa:

 

“Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!»” (Ap 21:20a).

 

Con quali note più armoniose potrebbe concludersi la sinfonia della Scrittura?

Con quale tema se non il ritorno del Signore Gesù?

 

I credenti di ogni epoca, leggendo queste parole che ricordano la loro beata speranza, si sentono spinti ad unirsi al coro di risposta:

“Amen! Vieni, Signore Gesù!” (Ap 21:20b).

 

“Vieni, Signore Gesù!” è una invocazione che esprime un senso di urgenza. D’altra parte, molti dei primi destinatari dell’Apocalisse erano credenti sofferenti a causa della persecuzione. Ci stupisce che essi trovassero conforto nel pensare al ritorno del Signore e si incoraggiassero a vicenda con l’espressione“Maranatha”, ovvero “il Signore viene”, augurandosi che tale evento fosse imminente?

 

Sono passati due millenni e il ritorno del Signore è sempre più vicino. Fin da piccolo mi sono abituato a sentire persone più anziane che dicevano frasi tipo “I tempi sono maturi” oppure “Ci avviciniamo ai tempi della fine”.

Però, man mano che crescevo, mi sono accorto che mancava qualcosa rispetto alla Chiesa del primo secolo, mancava e manca quel senso di urgenza che ci porti a gridare:

“Vieni, Signore Gesù!”

 

 

Nessuna fretta

 

Da cosa si capisce che non c’è un senso di urgenza nella Chiesa oggi?

Nella Scrittura viene utilizzata una bellissima immagine per rappresentare l’attesa del corpo di Cristo per il ritorno del suo Salvatore, quella di una sposa che aspetta il proprio sposo per cominciare una nuova vita insieme, una fidanzata in attesa del giorno più bello della sua vita, quello delle proprie nozze.

Anche l’apostolo Paolo utilizzò questa immagine:

 

“Infatti sono geloso di voi della gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per 
presentarvi come una casta vergine a Cristo”
(
2Co 11:2).

 

Osserviamo la Chiesa visibile oggi.

Quanto assomiglia ad una “casta vergine” che aspetta il giorno delle nozze?

Quanto spazio occupa nella vita dei credenti la gioiosa attesa del ritorno di Cristo?

La Scrittura dipinge i credenti come stranieri su questa terrapellegrini in viaggio verso la loro patria (1P 2:11, Eb 11:13), ambasciatori in missione per conto del proprio re (2Co 5:20).

Questi termini fanno pensare ad un popolo in cammino, che non è a proprio agio su questa terra, non si sente a casa.

 

“Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria; e se avessero avuto a cuore quella da cui erano usciti, certo avrebbero avuto tempo di ritornarvi! Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città”
(Eb 11:13-16).

 

Essi erano forestieri e pellegrini che desideravano una patria migliore, quella celeste. Non vedevano l’ora di andare nella città che Dio ha preparato per loro. Erano di quelli che rispondevano alla promessa di Dio dicendo:“Vieni, Signore!”

Anche oggi, coloro che vivono in paesi dove i cristiani sono perseguitati, hanno motivi in abbondanza per non sentirsi a casa su questa terra, ma che dire della chiesa occidentale?

 

Circa venti anni fa i primi credenti che provenivano dall’Europa dell’est erano stupiti dell’opulenza occidentale e ricordo di aver sentito uno di loro affermare:

“Noi in Europa dell’est abbiamo sofferto molto a causa della persecuzione, ma voi siete esposti ad un pericolo più subdolo perché vi indebolisce nella fede senza che ve ne accorgiate: la seduzione.

Come dargli torto?

 

La seduzione ha fatto puntualmente il suo lavoro e la sensazione generale che si ha oggi nella chiesa occidentale è che non abbia grande fretta di lasciare questo mondo.

Si è insediata bene, dimenticando di essere un popolo di ambasciatori, stranieri e pellegrini. Come diceva la chiesa di Laodicea:

“Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!” (Ap 3:17).

Siamo così occupati a consolidare la nostra posizione nel mondo da aver perso di vista la nostra cittadinanza celeste:

 

“Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore” (Fl 3:20).

 

Filippi era una colonia romana e gli abitanti di una colonia romana erano cittadini romani a tutti gli effetti, quindi, pur vivendo lontani da Roma, essi avevano diritti e doveri di un cittadino romano.

I Filippesi capivano quindi molto bene cosa intendeva Paolo: la chiesa doveva essere una colonia del cielo sulla terra con i diritti e doveri che ne derivano.

 

Ci sentiamo cittadini del cielo?

Viviamo da ambasciatori che aspettano il ritorno del loro re?

A volte sembra che la risposta di gran parte della chiesa visibile, alla promessa del ritorno di Cristo, sia:

“OK, Signore! Ma… non avere troppa fretta. Prenditela pure comoda!”

Come mai siamo diventati così?

Perché non c’è più urgenza nella nostra attesa del ritorno di Cristo?

Forse abbiamo investito troppo qui.

 

 

Un cattivo investimento

 

Ricordate cosa accadde alla Parmalat nel 2003? Si scoprì che per anni la società aveva mascherato un enorme buco finanziario, attraverso falso in bilancio.

Questa scoperta portò Calisto Tanzi e diversi vertici dell’azienda ad essere rinviati a giudizio con l’accusa di bancarotta fraudolenta. I piccoli investitori videro il proprio patrimonio azionario praticamente azzerato.

Sicuramente, sapendolo prima, nessuno avrebbe investito in azioni della Parmalat, vero?

Eppure, oggi, come credenti, sappiamo che questo mondo è destinato a qualcosa di peggio della bancarotta:

 

“…i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli empi… Il giorno del Signore verrà come un ladro: in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate” (2P 3:7, 10).

 

Perché allora continuiamo ad investire in questo mondo il nostro tempo, le nostre energie, i nostri soldi?

Solo un cattivo promotore finanziario come Satana potrebbe consigliarci un investimento di questo genere, proprio come fecero alcune banche creditrici nei mesi precedenti il crac Parmalat, le quali proposero titoli obbligazionari ai loro clienti fino all’ultimo momento pur essendo consapevoli della situazione disastrosa in cui versavano i bilanci dell’azienda.

Il mondo è una banca destinata al fallimento. E quando ciò accadrà, non ci sarà alcun Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi a restituirci ciò che avremo perso.

Gesù considerava un pessimo investimento le cose di questo mondo:

 

“Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano” (Mt 6:19-20).

Quali sono le nostre priorità?

Quale posto occupa Dio e la sua opera nella nostra vita?

Gli abbiamo riservato un cassetto della nostra esistenza (magari un paio di ore ogni tanto la domenica mattina…) riservando tutti gli altri cassetti al mondo?

Insomma, dove si trova il nostro tesoro?

La risposta a questa domanda è piuttosto importante infatti Gesù aggiunse:

“Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Mt 6:21).

 

Confrontandomi con credenti di varie parti d’Italia noto che gli effetti della seduzione del mondo si fanno sentire più o meno con gli stessi sintomi: i credenti sono poco partecipi agli incontri, c’è scarso interesse per la preghiera, scarso interesse per l’evangelizzazione e per l’opera del Signore in generale.

 

I luoghi di culto assomigliano sempre di più a teatri o cinema in cui si passa un po’ di tempo per distrarsi, ci si gode la musica, si ascolta qualche parola di incoraggiamento del predicatore di turno e poi, quando lo spettacolo finisce, si ritorna con impazienza alla vita di tutti i giorni, al vero tesoro, lì dove dimora il cuore.

Il culto domenicale, invece di essere il culmine di una vita di adorazione vissuta in attesa dello sposo, diventa un momento di sobrietà che a malapena aiuta a smaltire la sbornia della settimana appena conclusa.

 

Non voglio fare il bacchettone. Mi piace parlare di sport, di lavoro, di politica, una volta ogni tanto mi concedo addirittura mezz’ora di tv (di più mi è davvero impossibile resistere di fronte a quella scatola…), però vi confesso che mi sento a disagio quando mi accorgo che, con alcuni cristiani, le conversazioni riguardano solo queste cose e non c’è desiderio di parlare di Dio, della nostra speranza, di servizio, insomma delle cose che contano davvero, e men che meno si riesce a pregare insieme. Quando poi si parla di figli sembra che molti credenti siano molto più preoccupati per la loro sistemazione economica che non per la loro salvezza.

Sintomi…

Ma il sintomo più diffuso, soprattutto quando si tratta di svolgere un servizio per il Signore, si manifesta in tre parole: “Non ho tempo”.

In effetti è la verità: quando si passano 24 ore al giorno a costruire castelli di sabbia non rimane tempo per costruzioni più durature.

 

 

Una ragazza poco seria

 

Oggi la Chiesa visibile si preoccupa molto di essere accettata dal mondo. Cerca di rendersi attraente rendendo più attraente il proprio messaggio per paura di essere rifiutata. Ma Gesù non aveva dubbi:

 

“Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: «Il servo non è più grande del suo signore». Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra” (Gv 15:19).

 

Il mondo amerebbe quello che è suo; di conseguenza l’accettazione della Chiesa, da parte del mondo, dovrebbe destare più di un sospetto. Perché oggi la Chiesa dovrebbe cercare l’applauso del mondo e stupirsi quando invece ci sono delle difficoltà e resistenze?

Perché è innamorata del mondo…

Una sposa attende che il suo promesso sposo venga a prenderla per andare a vivere insieme nella casa che lui ha preparato. Ce la immaginiamo mentre guarda fuori dalla finestra, con lo sguardo sognante e il cuore che batte forte, aspettando che in lontananza appaia lo sposo in arrivo.

Se una giovane fidanzata, invece di prepararsi ad incontrare il suo sposo, in attesa delle nozze passasse il suo tempo ad amoreggiare con vari amanti (“flirtare” come si usa dire oggi in questo mondo anglofono), cosa pensereste di lei? Vi sembrerebbe il comportamento che si addice ad una sposa? Non la additereste forse come “una poco di buono”?

Un albero si riconosce dai frutti, no?

 

Eppure la Chiesa visibile assomiglia talvolta proprio ad una ragazza poco seria. Dice di aspettare lo sposo ma intanto passa il suo tempo a flirtare con il mondo. Come avviene tra due amanti, si è venuta a creare una sorta di complicità tra la Chiesa e il mondo, una confidenza che pian piano si è accresciuta, il limite si è spostato sempre più in là cercando di convincersi che non c’era alcun pericolo, a colpi di “Cosa c’è di male?”.Poi la ragazza ha cominciato a bere un po’, ha perso la sua lucidità, e si è convinta che il mondo non sia così cattivo come invece è scritto nella Bibbia. Insomma a poco a poco se ne è innamorata… Si è dimenticata l’avvertimento:

 

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Gv 2:15-17).

 

 

Un’attesa sobria

 

“La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera” (1P 4:7).

 

La fine di tutte le cose è vicina. Dobbiamo quindi essere sobri.

Tornare sobri significa tornare lucidi, tornare in sé, in modo da saper distinguere quali sono le cose importanti. La Chiesa ha bisogno di essere disintossicata dagli alcolici offerti dai suoi amanti per tornare ad essere la sposa sobria che attende il suo sposo ed è guidata dallo Spirito Santo:

 

“Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita” (Ap 22:17).

Non possiamo rimanere indolenti quando pensiamo al ritorno di Cristo. Dovremmo dire:

 

“Come la cerva desidera i corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Sl 42:1).

 

Svegliamoci! Suoniamo la tromba!

Diciamo:

“«Alla legge! Alla testimonianza!». Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora!” (Is 8:20).

Partiamo da noi stessi, dalle nostre famiglie, dalle nostre chiese locali per vivere come cittadini del cielo che vogliono ubbidire alla Parola di Dio e servire il Signore con gioia!

Come direbbe Pietro, è ora che ogni credente si armi dello stesso pensiero: “consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne, non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio” (1P 4:2).

Poniamo la nostra fiducia in Colui che dice:

“Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere” (Ap 22:12).

 

Ecco il nostro programma di vita:

“Infatti la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù. Egli ha dato sé stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Tt 2:11-14).

 

È tutto in queste poche righe il senso della nostra presenza qui ed ora. Egli ha dato la sua vita per noi e si è messo da parte un popolo che gli appartenga. Egli opera in noi con la sua grazia e in primo luogo ci mostra ciò che deve essere demolito (empietà, passioni mondane) per poi indirizzarci verso ciò che deve essere costruito, insegnandoci a vivere in questo mondo come cittadini del cielo (moderatamente, giustamente, in modo santo) che aspettano la beata speranza, il suo ritorno l’apparizione del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù.

Il mondo intorno a noi crede che la vita cristiana sia noiosa, piena di rinunce, senza alcun piacere, insomma una vita sprecata. L’uomo senza Dio crede di essere libero e felice ma, in realtà, egli insegue la felicità senza raggiungerla perché è schiavo di bisogni sempre nuovi da soddisfare. Al contrario, è proprio l’uomo che conosce Dio ad aver scoperto la vera gioia perché non è pressato dalle necessità di correre dietro al vento delle cose materiali, ma è veramente libero di godersi la vita come Dio l’ha progettata. Infatti:

 

“La pietà, con animo contento del proprio stato, è un grande guadagno. Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla; ma avendo di che nutrirci e di che coprirci, saremo di questo contenti” (1Ti 6:6-8).

 

Beato è l’uomo che ha realizzato questo nella propria vita.

L’unico bisogno urgente che sentirà è quello di incontrare presto il suo Redentore. Egli non dimentica le parole di Gesù: “Sì, vengo presto!”, anzi gli viene spontaneo rispondere: “Amen! Vieni, Signore Gesù!”. Egli sa attendere, vive ogni istante sapendo che si avvicina l’ora della sua completa redenzione.

Il mondo continua ad andare avanti per la propria strada e si beffa del cristiano dicendo: “Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione” (2P 3:4).

Ma il credente, come Giobbe di fronte a sua moglie e ai suoi amici, dichiara:

“Io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio” (Gb 19:25-26).

Nell’attesa di vedere Dio, come un pellegrino in viaggio verso casa, ogni giorno pianterò la mia tenda sempre più vicino dicendo:

“Vieni, Signore Gesù!”.