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Al termine dell’ultimo studio ci siamo fermati su uno degli scopi per cui Dio ha creato Israele, per essere il suo tesoro particolare: quello di ricevere le sue rivelazioni (Ro 3:1-2).

 

Infatti da questo popolo Dio suscitò dei profeti e per mezzo di loro comunicò la sua legge e i suoi piani non solo per Israele, ma anche per tutta l’umanità.

La parola scritta, che era il prodotto di queste rivelazioni, ci informa che l’opera rivelatrice di Dio comprende tre dimensioni che manifestano un crescendo impressionante.

 

La prima di queste dimensioni, la meno personale, è costituita dalla creazione, che rivela gli attributi naturali di Dio.

 

Ne seguì ciò che comunemente viene chiamata la “rivelazione speciale” ovvero Dio parlò in parole umane tramite profeti, e queste parole in un secondo momento furono messe per iscritto e conservate.

 

La terza dimensione, già prevista nella Scrittura profetica, fu l’incarnazione del Figlio di Dio, la Parola vivente.

Nell’esaminare brevemente ciascuna di queste dimensioni, baseremo ogni nostra considerazione sulla Parola di Dio.

La Creazione

 

Ecco come il Salmista Davide riconosce il valore di rivelazione del creato:

 

“I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani. Un giorno rivolge parole all’altro, una notte comunica conoscenza all’altra. Non hanno favella, né parole; la loro voce non s’ode, ma il loro suono si diffonde per tutta la terra, i loro accenti giungono fino all’estremità del mondo. Là, Dio ha posto una tenda per il sole, ed esso è simile a uno sposo ch’esce dalla sua camera nuziale; gioisce come un prode lieto di percorrere la sua via. Egli esce da una estremità dei cieli, e il suo giro arriva fino all’altra estremità; nulla sfugge al suo calore” (Sl 19:1-6).

 

I cieli raccontano la gloria di Dio, ma soltanto a quelli che hanno occhi per vedere.

A questo proposito l’apostolo Paolo scrive:

 

“L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia; poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato. Benché di dichiarino sapienti, son diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili” (Ro 1:18-23).

 

Questo brano insegna che l’uomo ha “conosciuto” Dio per mezzo del suo creato. Quando l’uomo contempla il creato con umiltà e senza pregiudizi, tanto nelle sue dimensioni microscopiche quanto in quelle macroscopiche,non può fare a meno di inginocchiarsi e lodare il Creatore.

Contemporaneamente si interrogherà riguardo al proprio significato in quanto essere pensante in un universo così complesso e maestoso (Sl 8:3-9). In altre parole, sarà preparato e desideroso di ricevere la rivelazione speciale.

 

Lo stesso brano chiama “stolti” coloro che respingono questa conoscenza e vi sostituiscono “vani ragionamenti”.

Queste persone sono doppiamente stolte.

 

In primo luogo perché uno degli scopi del creato è proprio quello di permettere all’uomo di percepire “le qualità invisibili” di Dio, in particolare “la sua eterna potenza e divinità”, per poi glorificare e ringraziare Dio, il Creatore.

 

In secondo luogo è stolto chi non fa questo perché, escludendo Dio dai ragionamenti, tali ragionamenti diventano “vani”.

Infatti nessuna teoria che elabora l’idea che la natura si sia evoluta da sola è capace di spiegare l’origine della vita.

Così l’evoluzionista ateo è costretto ad attribuire un’intelligenza insita, e quindi una specie di divinità, alla materia stessa. In pratica diventa un panteista, in quanto attribuisce intelligenza e la capacità di generare vita e creare nuove specie alla materia stessa.

 

Il valore della rivelazione naturale può essere misurato da due dichiarazioni.

 

Nella prima Paolo afferma che chi non glorifica Dio, dopo aver contemplato il creato, è “inescusabile” (Ro 1:20).

L’altra, diretta ai filosofi di Atene, fa della ricerca di Dio lo scopo supremo dell’uomo nel creato:

Egli [Dio] ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi” (At 17:26).

 

L’importanza del contributo del creato alla nostra conoscenza di Dio viene sottolineata anche nei discorsi di Dio e dalla reazione di Giobbe, al termine della prova a cui quest’ultimo fu sottoposto (Gb capp. 38-42).

Chi rifiuta questa conoscenza e non cerca Dio non rimane neutrale. Al contrario diventa moralmente depravato e si ridicolizza scegliendo, come oggetti di culti, cose con meno dignità di sé stesso.

In altre parole, quando l’uomo soffoca la conoscenza di Dio che gli giunge attraverso il creato, perde la propria dignità; perde anche la capacità di stabilire rapporti corretti e rispettosi con i propri consimili (Ro 1:24-32).

 

 

La rivelazione speciale

 

Il re Davide, che scrisse il Salmo 19, si era fatto una copia personale dei cinque libri scritti da Mosè, definiti“Legge” o Torah.

Ecco ciò che il re dice al riguardo:

“Le legge del SIGNORE è perfetta, essa ristora l’anima; la testimonianza del SIGNORE è veritiera, rende saggio il semplice. I precetti del SIGNORE sono giusti, rallegrano il cuore; il comandamento del SIGNORE è limpido, illumina gli occhi. Il timore del SIGNORE è puro, sussiste per sempre; i giudizi del SIGNORE sono verità, tutti quanti son giusti, sono più desiderabili dell’oro, anzi, più di molto oro finissimo; son più dolce del miele, anzi, di quello che stilla dai favi. Anche il tuo servo è da essi ammaestrato; v’è gran ricompensa a osservarli” (Sl 19:7-11).

 

Dopo Mosè, Dio suscitò altri profeti e dal ministero di questi sono nati altri libri sacri.

Nella Lettera agli Ebrei leggiamo che Dio ha “parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti” (Eb 1:1). Gesù riconobbe che le sacre Scritture d’Israele (il nostro Antico Testamento) si dividono in tre categorie: Legge, profeti e Salmi (Lu 24:44-45). Quanto al Nuovo Testamento, Gesù promise che lo Spirito Santo avrebbe riportato alla memoria degli apostoli tutto il suo insegnamento (Gv 14:25-26)

 Inoltre disse che lo Spirito Santo avrebbe rivelato loro tutta la verità, compresa quella inerente all’avvenire. Disse:

“Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà” (Gv 16:12-15).

 

Questo brano riconosce in Gesù la fonte di tutta la rivelazione racchiusa nella letteratura del nuovo patto (Nuovo Testamento). Ecco perché l’autore di Ebrei poteva scrivere che “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio”, il profeta per eccellenza (Eb 1:1-2).

 

Alcune persone trovano difficile comprendere come il Dio dell’universo potesse esprimersi in parole umane proferite da uomini fallaci. Anche alcuni dei portavoce stessi se lo domandarono! Ad esempio quando Mosè fu chiamato da Dio a ritornare in Egitto e presentarsi al faraone per riferirgli il messaggio affidatogli, “disse al SIGNORE: «Ahimé, SIGNORE, io non sono un oratore; non lo ero in passato e non lo sono da quando tu hai parlato al tuo servo; poiché io sono lento di parola e di lingua». Il SIGNORE gli disse: «Chi ha fatto la bocca dell’uomo? Chi rende muto o sordo o veggente o cieco? Non sono io, il SIGNORE ? Ora dunque va’, io sarò con la tua bocca e t’insegnerò quello che dovrai dire»” (Es 4:10-12).

 

Similmente, quando il profeta Geremia si ritenne troppo giovane per l’incarico di profeta, ecco ciò che il SIGNORE gli disse:

“«Non dire: ‘Sono un ragazzo’, perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò. Non li temere, perché io sono con te per liberarti», dice il SIGNORE. Poi il SIGNORE stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca» (Gr 1:6-9).

 

Ciò che fa sì che il linguaggio umano sia compatibile con “ogni parola che proviene dalla bocca di Dio” (Mt 4: 4; De 8:3) è il fatto che l’uomo è fatto a immagine di Dio, ragione per cui, nel giardino d’Eden, Adamo ebbe il compito di dare nomi a tutti gli animali (Ge 2:20).

Quanto alla tendenza dell’uomo a errare, questo problema fu superato dalla guida infallibile dello Spirito Santo.

A questo proposito, nella 2Pietro, l’apostolo si presenta in veste di testimone oculare della trasfigurazione e di altri eventi avvenuti nella vita di Gesù e poi aggiunge:

 

“Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori. Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo (2P 1:16-21).

 

Dio ha fatto sì che i suoi proponimenti e le sue promesse fossero comunicati autorevolmente nella sua Parola in quanto essa è prodotta da uomini ispirati e guidati dallo Spirito Santo. Ecco perché tale Parola “rimane in eterno” (1P 1:25; Is 40:6-8).

 

Si tratta di un corpus di libri a cui non si può aggiungere nulla dopo i libri scritti dagli apostoli e profeti di Gesù (Ef 2:20-3:5).

Numerosi sono stati i tentativi di aggiungere altri libri con una presunta autorità, chi scrivendo sotto pseudonimo durante i secoli immediatamente successivi all’epoca apostolica, chi elevando tradizioni ecclesiastiche al livello di dogma, chi con nuove proposte di libri come quello detto “di Mormon.”

Ma la previsione di Gesù, che tutta la verità sarebbe stata rivelata entro la vita degli apostoli (Gv 16:12-15) e l’avvertimento di né aggiungere né togliere, scritto al termine dell’Apocalisse (22:18-19), mette in guardia chi si azzarda a equiparare qualsiasi altro scritto o dichiarazione alla Parola di Dio (cfr. le parole di Gesù in Mt 15:1-9).

 

 

L’incarnazione

 

Si tratta della dimensione più completa e sorprendente della rivelazione.

Ben otto secoli a.C. un profeta d’Israele aveva espresso questo desiderio a Dio:

Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi! Davanti a te sarebbero scossi i monti. Come il fuoco accende i rami secchi, come il fuoco fa bollire l’acqua, tu faresti conoscere il tuo nome ai tuoi avversari e le nazioni tremerebbero davanti a te” (Is 64:1-2).

 

I quattro Vangeli canonici documentano l’evento straordinario auspicato dal profeta. Si tratta del più grande di tutti i miracoli.

A questo proposito Giovanni scrive:

La Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Gv 1:14).

Non a caso Giovanni, nell’introdurre il protagonista principale del suo Vangelo, chiama Gesù “la Parola di Dio”.

Infatti le parole servono per comunicare e farsi conoscere.

Ancora di più della Parola scritta, la Parola vivente permise all’umanità di conoscere Dio in un modo completamente alla sua portata (Gv 1:18).

 

Durante la sua dimora fra gli uomini, “la Parola”, il Figlio di Dio incarnato, fece sapere che non tutte le aspettative d’Israele sarebbero state soddisfatte durante la sua prima venuta ma che, nel programma di Dio, è prevista una seconda venuta quando le nazioni tremeranno davanti alla sua gloriosa presenza, come Isaia aveva predetto (Lu 19:11-27; 21:1-36; Mt 23:39).

 

Intanto Gesù, il Figlio di Dio incarnato (Lu 1:30-32; 2:10-12), rivelò la gloria di Dio come Messia Servo, manifestando in modo infinito la grazia di Dio e rivelando appieno la verità.

Purtroppo molti, vedendo Gesù “mansueto e umile di cuore”, anziché un re pronto a combattere, non lo riconobbero come Messia, nonostante i segni che attestavano la sua identità messianica. Ma Gesù compì l’opera affidatagli dal Padre, compresa quella di gustare la morte per tutti, e tornò presso il Padre dove ora svolge il ministero di sommo sacerdote del nuovo patto (Gv 4:34; 17:4-5; 19:30; Fl 2:5-11; Eb 2:9; 7:22-25).

 

La storia ha riconosciuto la centralità dell’incarnazione, datando il tempo avanti e indietro con riferimento al tempo in cui Dio ha dimorato con l’umanità nella persona di “Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo” (Mt 1:1).

Parlando ai Greci, Gesù disse queste parole in relazione all’effetto che avrebbe prodotto la sua crocifissione, evento con cui avrebbe sconfitto Satana:

“Io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (Gv 12:20, 27-32).

L’interesse generato dal film “The Passion” di Mel Gibson, in tutto il mondo, compreso quello musulmano, è stato soltanto un esempio di come queste parole di Gesù, Dio Salvatore, hanno avuto adempimento.

 

Un altro segno dell’unicità di Gesù, in quanto Dio incarnato, è l’attenzione che gli studiosi continuano a dedicare ad ogni aspetto della sua vita e del suo insegnamento.

Come ha scritto l’apostolo Paolo:

“Senza dubbio, grande è il mistero della pietà: colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria (1 Ti 3:16).

 

 

Conclusione

 

L’incarnazione del Figlio di Dio fu il culmine della rivelazione di Dio all’uomo e la dimostrazione ineguagliabile dell’interesse del Creatore verso l’essere creato a sua immagine e somiglianza. Intanto il fatto che lo scopo primario dell’incarnazione era il compimento di un sacrificio propiziatorio, affinché l’uomo potesse tornare ad avere comunione con Dio, tre volte santo, dimostra che la natura essenziale di Dio è amore (1Gv 4:8-10).

 

Alla luce delle tre dimensioni della rivelazione, la creazione, la sacra Scrittura e la Parola vivente, appare perfettamente logico che Dio si aspetta dall’uomo una risposta di fede.

 

Le sacre Scritture sono finalizzate a darci “la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù” (2 Ti 3:15).

Quindi, ora che è avvenuta l’incarnazione profetizzata nell’Antico Testamento, la fede che Dio gradisce, ovvero la fede a salvezza, è necessariamente fede in Gesù, il Messia.

 

“Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (Gv 3:36).

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Quale valore ha la rivelazione di Dio nel creato?

 

2. In che cosa risiede l’unicità delle sacre Scritture

 

3. Per quali motivi ogni persona dovrebbe credere in Gesù Cristo?