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“Perciò piego le ginocchia davanti al Padre da cui ogni stirpe nei cieli e sulla terra prende nome, affinché vi dia secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente fortificati mediante il suo Spirito nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti nei vostri cuori per fede, essendo stati radicati e fondati nell’amore, affinché siate capaci di afferrare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (3:14-19).

 

 

L’esordio (3:14-15)

 

Ho intitolato questo brano “l’intercessione di Paolo” perché qui l’apostolo non esordisce, come è solito fare, con ringraziamenti prima di fare intercessione per i santi (si veda 1:15-16; Ro 1:8, ecc.). Nel brano precedente a questa preghiera ha fornito un’esposizione del disegno eterno di “Dio, il Creatore di tutte le cose”. A questo proposito l’apostolo desidera ardentemente che i pagani venuti alla fede in Cristo riescano ad afferrare pienamente la verità riguardo alla propria posizione davanti a Dio. Le parole “piego le ginocchia davanti al Padre” (v. 14) sono significative perché gli Ebrei normalmente pregavano in piedi (Mt 6:5; 18:11,13). Il gesto di inginocchiarsi esprimeva profondo fervore o una forte emozione, come Gesù sentiva nel giardino di Getsemani (Lu 22:41) e Stefano mentre pregava per i suoi uccisori (At 7:60; cfr. 20:36). Intanto le parole “… davanti al Padre” ci ricordano il modo in cui Gesù esordì quando insegnò ai suoi discepoli come pregare: “Quando pregate dite: «Padre, sia santificato il tuo nome»” (Lu 11:2). Anche un gesto di riverenza, come quello di piegare le ginocchia, è un modo di santificare il nome del Padre.

Questa preghiera non è soltanto caratterizzata da fervore e riverenza verso Dio Padre: essa viene anche offerta con la consapevolezza della composizione variegata della chiesa. Se, nel brano precedente, Paolo ha accennato alle ripercussioni cosmiche della realizzazione del disegno eterno di Dio, ora precisa che lui piega le ginocchia “davanti al Padre dal quale ogni stirpe nei cieli e sulla terra prende nome” (vv. 14-15). L’accostamento fra patera (“padre”) e pasa (“patria”; NR “ogni famiglia”) è chiaramente intenzionale. Come ogni essere vivente, in cielo e sulla terra, trova la sua origine nel Padre celeste, il termine patria indica tutte le persone che provengono da uno stesso padre umano. La traduzione “ogni famiglia” fa pensare che ogni singola famiglia prenda la sua origine dalla paternità di Dio. È vero che il padre di famiglia è anche incaricato dal Creatore come capo famiglia (si veda Ef 5:22–6:4), ma l’interpretazione secondo cui il riferimento qui sarebbe a ogni singola famiglia appare un po’ forzata sia perché in questa parte di Efesini non c’è alcun altro accenno alla vita di famiglia sia perché il testo include “ogni patria nei cieli”.

Appare più verosimile che Paolo intendesse “ogni stirpe”, ovvero etnia che discende dallo stesso progenitore. Quando si sottintende “stirpe”, quanto detto ci riporta a Genesi 12:3 dove Dio, a riguardo di Abramo e della sua discendenza, afferma: “… in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Ge 12:3). Non c’è dubbio che in Genesi “famiglie” significhi, non ogni singola famiglia composta da due genitori e i loro figli, bensì ogni clan o stirpe. Quindi la precisazione nel nostro brano: “davanti al Padre dal quale ogni stirpe nei cieli e sulla terra prende nome” è innanzitutto una dichiarazione monoteista: tutti i popoli devono la propria esistenza al Padre (cfr. At 17:24-27). Inoltre, intesa così, questa precisazione costituisce un altro tassello nell’insegnamento di Paolo relativo alla realizzazione del disegno di Dio. Infatti questo disegno, già al tempo di Abramo, prevedeva che tutte le stirpi sarebbero state benedette per mezzo del suo discendente che Paolo identifica in Cristo nella sua lettera ai Galati (3:16). La consapevolezza della portata universale dell’opera di Cristo, e della conseguente riconciliazione fra Dio e l’uomo, viene ribadita nel v. 18 del nostro brano dove si parla di “tutti i santi”.

 

 

Le richieste di Paolo (3:16-19)

 

La prima richiesta fatta a Dio Padre e il primo scopo della preghiera è che lo Spirito Santo fortifichi potentemente l’uomo interiore degli efesini, “secondo le ricchezze della sua gloria” (v. 16). Secondo Bruce la frase “secondo le ricchezze della sua gloria” può essere intesa come “la somma dei suoi attributi”. Questo implica una conoscenza sempre più ricca di Dio stesso e una vita pienamente orientata da ciò che Dio rivela di sé stesso e dei suoi piani. Sebbene questa richiesta non escluda preghiere per la guarigione del corpo (si veda Gm 5:13-15), essa fa comprendere che lo stato del corpo mortale non è prioritario per Dio. Infatti altrove Paolo riconosce che la parte “esteriore” dell’uomo è soggetta a disfacimento, mentre “il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Co 4:16).

Paolo prega che questo processo di rinnovamento venga alimentato fortemente dallo Spirito Santo. Essendo l’uomo interiore la dimora dello Spirito Santo, chi si lascia inondare dalle ricchezze della gloria di Dio deve anche lui dare priorità all’uomo interiore, ovvero alla crescita spirituale. Quest’opera dello Spirito Santo costituisce una grande opportunità di fortificarsi spiritualmente. Chi resiste a quest’opera (2Co 3:18) rattrista “lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione” (Ef 4:30). “Il giorno della redenzione” si riferisce al traguardo, quando i figli di Dio saranno manifestati come tali al resto dell’universo, in occasione della redenzione del corpo (Ro 8:22-25). Lo Spirito di Dio ci sta preparando per questo grande momento.

La seconda e la terza richiesta sono strettamente legate l’una all’altra in quanto l’adempimento dell’una è la premessa necessaria per poter realizzare l’altra (vv. 17-19a). La seconda richiesta che Paolo fa al Padre per conto degli Efesini è che Cristo abiti nei loro cuori per mezzo della fede, mentre la terza richiesta è che siano in grado di abbracciare con tutti i santi l’amore infinito di Cristo. Per realizzare la prima di queste due richieste occorreva anche la fede degli Efesini stessi perché non si può percepire la dimora di Cristo nella propria vita con i cinque sensi. È necessario afferrare per fede che le cose stanno così. Più la presenza di Cristo viene percepita per mezzo dello Spirito come qualcosa di reale, più si è riempiti del suo amore. L’effetto è come se l’amore di Cristo mettesse delle radici nella nostra vita. La fede nell’amore di Cristo può nutrirsi per mezzo di una meditazione continua sulla sua vita e, 
in particolare, sul suo sacrifico propiziatorio 
(1Gv 4:10).

L’essere stati “radicati e fondati” nell’amore di Cristo rende capaci di navigare nella sfera dell’amore di Dio. Paolo usa espressioni superlative per descrivere quest’amore. Per rendere il concetto di un amore che “sorpassa ogni conoscenza”, lo descrive in termini quadri-dimensionali“larghezza, lunghezza, altezza e profondità”.

La quarta richiesta o scopo della preghiera è: “affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (v. 19b). A prima vista, questa richiesta appare di impossibile realizzazione. Hoehner commenta: “La pienezza della Deità si trova soltanto in Cristo, e soltanto per mezzo di lui è possibile che il credente sia completo (Cl 2:9-10). Per mezzo di Cristo questa pienezza divina idealmente appartiene al credente e Paolo prega che possa essere realizzata nell’esperienza di ognuno (cfr. Ef 4:15). L’esperienza dell’eccellenza morale di Dio, della sua perfezione e della sua potenza, produrrebbe amore reciproco fra credenti Giudei e credenti Gentili”. Quindi più fosse diventata normativa questa pienezza che proviene da Dio, sia per la componente giudaica della chiesa di Efeso (At 19:8-9) sia per la componente dei Gentili (At 19:10), più avrebbero sperimentato la verità di essere “riconciliati tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la sua croce [di Cristo], sulla quale fece morire la loro inimicizia” (2:16).

Lo stesso vale oggi per le persone che si trovano unite in Cristo, che provengono da esperienze di vita, culture e/o etnie diverse. Più sono “ricolmi di tutta la pienezza di Dio” più si sentiranno di essere figli di Dio e quindi membri gli uni degli altri. Ogni chiesa locale ha bisogno di fare proprie queste richieste di Paolo.

 

 

La dossologia

 

“A colui che può, secondo la potenza che opera in noi, fare infinitamente al di là di ciò che chiediamo e pensiamo, a lui sia gloria nella chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni per i secoli dei secoli, amen” (3:20-21).

Nelle lettere di Paolo incontriamo spesso delle dossologie (dal gr. doxa, “gloria”) come questa (Ro 11:36; 16:25-27; Ga 1:5, Fl 4:20; 1Ti 1:17; 2Ti 4:18). Qui è la verità concernente il disegno eterno di Dio a indurre Paolo a lodarlo. Sebbene breve, questa dossologia contiene due informazioni significative, oltre alla lode a Dio. La prima di queste informazioni riguarda l’opera di Dio “in noi”. La misura di ciò che Dio può fare nella vita di ciascun membro della chiesa dipende non dalle capacità umane di ciascuno, bensì dalla potenza di Dio operante in lui o lei. Il brano dice che Dio può “fare infinitamente al di là di ciò che chiediamo e pensiamo”. Se dimentichiamo questo fatto, rischiamo di chiuderci in uno schema di pensiero basato su ciò che noi crediamo di poter fare, il che ci rende incapaci di vedere ciò che Dio vuole operare in e attraverso noi, portando la sua benedizione ad altri.

La seconda informazione riguarda il ruolo della Chiesa nel rendere gloria a Dio. Bruce commenta: “Dio deve essere glorificato nella chiesa perché la chiesa, composta da Giudei e Gentili, è il suo capolavoro di grazia”. L’abbinamento “a lui sia la gloria nella chiesa e in Cristo Gesù” ci ricorda che Cristo dimora nella sua Chiesa per mezzo dello Spirito e che la Chiesa loda Dio per mezzo di Cristo, il Capo supremo e sommo sacerdote della Chiesa. La glorificazione di Dio per mezzo della Chiesa continuerà per sempre, anche in cielo. Come osserva Bruce, spetterebbe a coloro che hanno ascoltato la lettura della prima metà della lettera pronunciare “l’Amen” alla dossologia (v. 21).

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Perché è giusto pregare al Padre, riconoscendolo come “il Creatore di tutte le cose” (3:9,14)?

2. Perché è importante comprendere l’amore di Cristo “che sorpassa ogni conoscenza”?

3. In quali parametri dovremmo pensare quando chiediamo l’aiuto di Dio nella nostra vita?