Capi di Stato e di governo, re e dittatori sono accorsi a Parigi domenica 11 gennaio per la grande
manifestazione mondiale di solidarietà nei confronti della Francia, colpita proprio nel cuore della
sua capitale da un drammatico attacco terroristico. Una straordinaria parata di ipocriti!
A sfilare in testa al corteo abbiamo visto dittatori con le mani sporche di sangue e governanti che
mai hanno tentato, per evidenti interessi economici, di fermare la produzione di armi nei loro
Paesi ed il conseguente fiorente commercio che ha armato le stesse mani dei terroristi. E che dire
del traffico di droga che consente alle varie organizzazioni terroristiche di finanziarsi e di tenere
sotto scacco l’Occidente? Recentemente ho saputo che, per la trasformazione dell’oppio in dro-
ghe sintetiche, alcune industrie chimiche statunitensi esportano in Afghanistan, per un equiva-
lente di oltre 60 milioni di dollari all’anno, un prodotto senza il quale la sintesi e il commercio di
droghe non sarebbe possibile! Non solo quindi “la parata degli ipocriti”, ma soprattutto la
“parata delle contraddizioni”: capi di Stato e di governo uniti nel gridare “pace e sicurezza”,
ben sapendo che le loro scelte politiche ed economiche avrebbero continuato ad essere causa di
“guerra e di paura”. Eppure, anche in questo contesto, il presidente francese non ha perso occa-
sione per manifestare quella “grandeur” della Francia che, esprimendo una inguaribile presun-
zione culturale, l’hanno resa nel tempo assai poco simpatica alle altre nazioni; infatti con malce-
lato orgoglio ha affermato: “OGGI PARIGI È LA CAPITALE DEL MONDO”. Noi sappiamo dalla
Parola che vi sarà un giorno una “capitale del mondo” ma non sarà certo Parigi! Sappiamo che
un giorno “i re della terra” e “tutte le nazioni” volgeranno il loro sguardo a questa città e vi
accorreranno, ma certamente non con le facce lugubri che i mass-media ci hanno mostrato in
questi giorni né con le ipocrisie e le contraddizioni che ho ricordato! È consolante leggere la
Parola che il Signore, attraverso Isaia, rivolge ancora oggi a Gerusalemme: “Sorgi, risplendi, poi-
ché la tua luce è giunta, e la gloria del Signore è spuntata sopra di te! Infatti, ecco, le tenebre
coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli; ma su di te sorge il Signore e la sua gloria
appare su di te. Le nazioni cammineranno alla tua luce, i re allo splendore della tua aurora. Alza
gli occhi e guàrdati attorno; tutti si radunano e vengono da te…” (Is 60:1-4). Il Signore ci incorag-
gia a volgere il nostro sguardo dalle “tenebre” di Parigi alla “luce” di Gerusalemme; dalla signo-
ria sulle nazioni e sui re della terra del “principe di questo mondo” (vedi Mt 4:8-9), del grande
“seduttore”, alla signoria del “Re dei re, Signore dei signori”, del “Principe di pace”! “Allora –
prosegue la Parola di Dio sempre rivolgendosi a Gerusalemme – le nazioni vedranno la tua giusti-
zia, tutti i re la tua gloria… sarai uno splendida corona in mano al Signore…” (Is 62:2-3). Non più
contraddizioni ed ipocrisie, ma “giustizia”! Non più migliaia di soldati schierati intorno alla città
per arginare la paura, ma “gloria” e “splendore”! Quindi, l’unico aspetto positivo nel guardare la
parata di Parigi è stato proprio questo: l’incoraggiamento a volgere lo sguardo altrove, a quan-
do “il principe di questo mondo” sarà “ridotto al nulla” dal “RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI”
(1Co 15:24; Ap 19:16), a quando Cristo sarà “re sopra Sion” e riceverà “in eredità le nazioni e in
possesso le estremità della terra” (Sl 2:6, 8).
Ma qual è il nostro compito, in questo tempo di “tenebre” ed in attesa della “luce”? Lo Spirito
Santo ci ricorda attraverso Paolo (Ef 5:6-11): “Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è
per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. Non siate dunque loro compagni, per-
ché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce…
Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, piuttosto denunciatele”.
Può accadere, in queste situazioni, che anche dei figli di Dio si lascino trascinare dal senti-
mentalismo e dall’emotività della maggioranza, diventando così “compagni” e complici
delle “opere infruttuose delle tenebre”. Così non sono stati pochi coloro che, all’interno del
popolo di Dio, hanno postato su facebook o altrove la scritta simbolo della manifestazione
parigina “Je suis Charlie” (Io sono Charlie), con cui si è voluto esprimere piena solidarietà ai
giornalisti trucidati dai terroristi. È giusto avere compassione per chi è stato ucciso e per le
loro famiglie così duramente provate, ma anche per una nazione piombata nel dolore e nella
paura. Dobbiamo però evitare di essere sedotti da “vani ragionamenti”! Sapendo bene di
andare controcorrente, noi siamo chiamati ad affermare: “Je ne suis pas Charlie” (“Io NON
sono Charlie”). Come figlio di Dio, non posso identificarmi con chi in modo irridente e irrive-
rente ha pervicacemente deriso ed offeso non solo l’Islam ma le religioni in genere (ho visto
sul sito di “Charlie Hebdo” una orribile vignetta sulla Trinità divina, ma anche la Croce è
stata irrisa e derisa!!). Il mio Signore mi chiama a proporre (non imporre!) le mie convinzioni
“con mansuetudine (dolcezza) e rispetto” (1P 3:16). La violenza assassina dei terroristi non
potrà mai essere giustificata, purtroppo però si può uccidere anche con la matita e con la
penna, non solo con i kalashnikov. Si è troppo parlato di fanatici religiosi; è bene denunciare
anche il fanatismo di cosiddetti “laici” che, in nome della libertà, vivono la licenza di deride-
re e offendere e di farlo in modo, anche umanamente, disgustoso, senza freni e senza limiti!
Allora: “Je suis… quoi?” Cosa sono io? Con chi mi identifico? A chi esprimo la mia solidarietà?
Je suis A’isha, la bambina nigeriana imbottita di tritolo e mandata a passeggiare in mezzo
alla gente del mercato per poi saltare in aria, disintegrarsi e diventare strumento di morte.
Je suis Faisal, il bambino siriano invasato dagli adulti ed inviato sulla piazza del suo paese a
reclutare martiri per Allah, promettendo per ciascuno settantadue vergini in paradiso.
Je suis Phil, il bambino scozzese che, invece di amorevoli cure ed insegnamenti, ha trovato
nell’oratorio parrocchiale, dove lo avevano mandato genitori ignari, le turpi mani di un
sacerdote pedofilo che lo hanno segnato per sempre e… non solo nel suo corpo.
Je suis Mufeed, il bambino irakeno che, mentre come tanti bambini del mondo seguiva la
partita di calcio della sua nazionale, è stato barbaramente trucidato sulla piazza di Mosul,
insieme a dodici suoi amici, da fanatici islamici dell’ISIS.
Je suis Shareef, il bambino addestrato alle armi già in tenera età e mostrato a tutto il
mondo, con l’orgoglio dei violenti (gli adulti), mentre uccide tre prigionieri di guerra.
Je suis Carlo e Roberta e Luigi e i tanti bambini, che per le incomprensioni, i conflitti, i tradi-
menti, l’indifferenza dei genitori hanno perduto il calore di una famiglia e vivono sballottati
di qua e là, spesso costretti a inventarsi relazioni con nuovi “papà” e con nuove “mamme”.
Je suis TUTTI I BAMBINI che, nel cosiddetto terzo mondo, sono oggetto di soprusi, di violen-
ze, di indottrinamenti che li spingono ad odiare e ad uccidere, che sono vittime di sistemi
economici iniqui che li lasciano morire di sete, di fame, di malattie… e che, nel mondo occi-
dentale e “civile” (?!), sono esposti ogni giorno a visioni di morte, di droga, di sesso, di con-
flitti familiari talvolta violenti e cruenti… bambini ai quali non si trasmettono più valori certi
e ai quali manca un esempio concreto che li educhi all’amore e alla giustizia.
“In verità vi dico: se non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli… chi
avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli
fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare” (Mt 18:3, 6).
Gesù mi ricorda che non devo limitarmi a identificarmi con tutti i bambini che soffrono, ma devo diventare io stesso come un bambino per
conoscere quel regno in cui “pace e sicurezza” non saranno solo parole!