Dalla gioia alla disperazione
Era il 24 marzo quando un Airbus 320 proveniente da Barcellona si è schiantato sulle Alpi francesi.
Il giorno successivo, mentre di prima mattina mi stavo recando al lavoro immerso nel consueto traffico di Genova, una notizia alla radio mi ha colpito in modo particolare…
I sedici studenti, morti insieme agli altri 134 imbarcati sull’aereo, erano stati sorteggiati fra molti coetanei per un viaggio studio.
Il mio pensiero è andato al momento di grande gioia che quei ragazzi e le loro famiglie avevano vissuto quali estratti nel sorteggio!
Nello stesso tempo ho pensato anche agli esclusi i quali, oltre che essere parecchio dispiaciuti, avranno probabilmente provato invidia verso i loro amici “nati con la camicia” per la tanta fortuna.
L’epilogo della storia di questi “fortunati” in realtà è stata una disgrazia e la fine della loro vita!
Contrariamente ad ogni logica umana gli “sfortunati” perdenti nel sorteggio sono diventati i “fortunati” essendo ancora vivi.
Questo mi ha fatto riflettere su quante azioni e soprattutto convinzioni si basano sulla fortuna per chi non conosce il Signore o forse anche per chi gli appartiene.
Considerare che ciò che accade a noi o agli altri sia frutto della fortuna o della sfortuna equivale ad aggrapparsi tristemente ad un ignoto destino favorevole o contrario senza alcuna certezza.
È ovvio che tale modo di ragionare sia diffuso nel mondo, ma a volte si percepisce questa disposizione anche fra i credenti, dimenticando che “con piena certezza di fede” (Eb 10:22) possiamo avvicinarci a lui avendo “riposto la nostra speranza nel Dio vivente” (1Ti 4:10).
Capita invece che anche il nostro modo di ragionare a volte sia condizionato perdendo di vista quelle certezze che, nel quotidiano, dovrebbero accompagnarci nel nostro cammino di figli di Dio.
Il Salmista, scrivendo il salmo 118, non pensava a quanto era fortunato o sfortunato, ma con grande convinzione esclamava “Il Signore è per me”! (v. 6).
Da queste parole sprigiona la grande realtà di cui Dio nel suo amore ha voluto farci partecipi.
“È per me” equivale oggi, sotto la dispensazione della grazia, a dire che siamo “resi capaci” di essere “ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3:18-19).
In quello che comunemente viene chiamato il prologo dell’Evangelo di Giovanni, ma che meriterebbe un appellativo di gran lunga superiore, al v. 16 l’apostolo scrive che “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” volendo mettere in rilievo la grazia sovrabbondante manifestata da Dio nei confronti dell’uomo e realizzata per mezzo di Gesù Cristo nei credenti.
Le certezze dei figli di Dio
Allora “essere ricolmi” corrisponde ad essere talmente forti spiritualmente da avere la certezza della guida del Signore sulla totalità della nostra vita senza che nulla sia lasciato al caso o alla fortuna!
“Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio… non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Ro 8:32)
All’eccellenza ed alla perfezione del sacrificio di Cristo, unica via di salvezza, ai suoi sono date in più “tutte le cose” secondo la sua “buona, gradita e perfetta volontà” (Ro 12:2); nel nostro buon Padre celeste riscontriamo che “Dio è fedele” (1Co 1:9) e“chiunque crede in lui non sarà deluso” (Ro 10:11).
Sia lodato il Signore perché siamo suoi e perché ancora nei giorni che abbiamo davanti non dovremo sperare nella fortuna o nella buona sorte, ma semplicemente e meravigliosamente affidarci a Colui che “veglierà sui passi dei suoi fedeli” (1Sa 2:9)
Questo non vuole dire che per il credente la vita sia tutta rose e fiori, un esempio ci viene da Giobbe, il quale ad un certo momento della sua vita esclamò: “MA io so che il mio Redentore vive” (Gb 19:25).
Questo “MA” fa riflettere: conosciamo bene chi era Giobbe, quanto possedeva ed altrettanto bene sappiamo come la sua vita abbia subito un “improvviso stravolgimento” a livello affettivo ed economico oltre che sulla sua persona.
Il termine “sfortunato”, nei confronti di quest’uomo, potrebbe essere sostituito da altri ben più incisivi se chiesto a chi non conosce il Signore. Eppure Giobbe afferma che nonostante tutto (“Ma”) ciò che aveva passato “io so che il mio Redentore vive”.
Nella nostra vita di credenti questa verità ci mette in grado di accettare i “verdeggianti pascoli” ma anche la “valle dell’ombra” (Sl 23) con la certezza che il Buon Pastore è per noi!
Tempo fa stavo aiutando una collega nel trasloco di casa e mentre spostavo uno specchio mi ha detto: “Stai attento! lo sai cosa ti succederebbe se si rompesse” io ho risposto: “Certo che lo so” e lei senza lasciarmi terminare la frase “Sette anni di sfortuna!”; vedendo il disagio che aveva per queste cose ho rincarato la dose dicendo “molto peggio!!” e lei “cosa?” sorridendo la mia risposta è stata: “dovrei spendere dei soldi per comprarti un altro specchio! Invece per quanto riguarda il mio futuro sarà il Signore ad occuparsene”.
Io ho sorriso in quell’occasione, non ha avuto la stessa reazione il Signore Gesù quando ha pianto su Gerusalemme, dicendo “Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la [tua] pace!” (Lu 19:41)
Gesù ha pianto per la condizione dell’uomo poiché senza Dio è senza pace! “Se tu sapessi…” noi invece sappiamo che Cristo “è la nostra pace” (Ef 2:14), la nostra vita è cambiata in modo totale grazie a Dio, l’apostolo Paolo ci esorta (Ef 2:12) a ricordare che “eravamo senza Cristo” ed in conseguenza di ciò “estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio”. Consapevoli di quanto abbiamo ricevuto, adoperiamoci affinché il Signore, oggi, non debba ancora piangere per chi è vicino a noi e perisce “per mancanza di conoscenza” (Os 4:6).
Sia a quelli che pensano di essere “fortunati” che agli “sfortunati”, annunciamo con gioia la Parola di Dio e le certezze che da essa derivano, considerando e dimostrando che come figli di Dio siamo “più che vincitori” (Ro 8:37).
Noi non siamo nati con la camicia, ma moooolto di più!! Siamo rinati con vesti bianche per la sua grazia: “Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita” (Ap 3:5).