Fra gli inviti rivolti da Gesù alle persone del suo tempo, quello riferitoci da Matteo e formato da tre azioni (“venite… prendete… imparate”, Mt 11:28-30), è sicuramente quello più conosciuto e citato, non sempre correttamente compreso, soprattutto quando non si mette abbastanza in evidenza il fatto che Gesù chiede all’uomo di muoversi, di operare, di compiere delle scelte. Il primo invito (“venite”) ricorda che è l’uomo che deve compiere la scelta di muoversi per andare verso di lui. Gesù vuole rivelarsi, non vuole certo costringere. E l’invito non è ad accogliere una nuova religione, ma ad incontrare lui, ad incontrare la sua Persona. Ancora oggi non dobbiamo considerarci discepoli di una religione o di un movimento, ma di una Persona e, nella nostra testimonianza, non dobbiamo certo invitare le persone a venire dietro a noi, ma ad andar___e a Gesù!.
Il secondo invito (“prendete”) è accompagnato dall’indicazione dell’oggetto che occorre “prendere”: un giogo come quello con cui l’agricolore guidava il proprio animale (asino, cavallo o bue) nel lavoro dei campi, dopo averglielo posto sul collo collegandolo all’aratro. Gesù invita gli uomini a prendere il suo giogo per essere da lui totalmente guidati. Nella metafora, Gesù è l’agricoltore e ogni suo discepolo l’animale che l’agricolore guida per compiere il suo lavoro e portare a termine la sua opera. Ma c’è una differenza fondamentale. A mettere sul collo dell’animale il giogo è l’agricoltore e difficilmente l’animale riesce ad opporre resistenza a questa imposizione del suo padrone. Ma Gesù non mette il suo giogo sul collo di nessuno! Il suo invito non è: “Lasciatevi mettere!”, ma è: “Prendete!”. È l’uomo che, dopo aver accolto il primo invito (“venite”), deve prendere il giogo che Gesù ha preparato per lui. Alla scelta di andare da Gesù deve seguire la scelta di essere sottomessi a Gesù. Ma come è possibile mettersi un giogo sul collo e ricevere “riposo”? Come poteva riposarsi un animale costretto dal giogo del padrone a fare quello che lui voleva? Allora Gesù precisa che il suo giogo è diverso da tutti gli altri: è un giogo “dolce” ed aggiunge anche che il carico da trasportare è un “carico leggero” (v. 30). Cioè la libertà, “il riposo” che una persona godrà dopo aver accettato l’invito ad andare a Cristo saranno talmente preziosi da rendere l’andare dietro a lui, mettendosi sul collo il suo giogo, come una realtà vantaggiosa e benefica. E qualsiasi carico Gesù ci chiederà di portare ci apparirà “leggero” rispetto ai carichi che, lontani da lui, opprimevano la nostra vita. Man mano che seguiremo Cristo, che il nostro cammino con lui proseguirà e che cresceremo in lui, scopriremo sia la dolcezza del giogo nel seguire la sua volontà che la leggerezza del carico che portare.
E qui arriviamo al terzo invito (“imparate”) che ha lo scopo di orientare il nostro sguardo su Gesù: è infatti da lui (“da me”) che dobbiamo imparare. Perché dobbiamo imparare da lui? Perché – è Gesù stesso a dircelo – lui è “mansueto e umile di cuore”. In sostanza Gesù vuole dirci questo: “Io ho preso il giogo che il Padre mi ha posto sul collo; poi nel seguire il sentiero preparato per me dal Padre sono stato «mansueto» (cioè: paziente, remissivo, non mi sono ribellato né sono tornato indietro dal sentiero che lui mi ha indicato) ed «umile» (cioè non ho mai pensato che la mia volontà e i miei desideri fossero più importanti dei suoi, perciò mi sono totalmente sottomesso)”.
Ancora oggi Gesù si presenta davanti a noi attraverso la sua Parola: ci invita prima di tutto ad andare a lui, poi a prendere ed a mettere sul nostro collo il suo giogo, infine si pone davanti a noi come il modello. Ci ricorda il suo esempio: lui ha accettato di prendere su di sé il giogo di un corpo umano accettando di venire sulla terra per compiere la volontà del Padre: “Tu… mi hai preparato un corpo… Allora ho detto: «Ecco, vengo…per fare, o Dio, la tua volontà»” (Eb 10:7). Da Gesù si impara davvero perché il suo essere il nostro Signore si fonde con il suo essere nostro Salvatore ed il suo essere il nostro Maestro si fonde con il suo essere il nostro Modello. Quando cerchiamo quindi di capire in quale modo essere discepoli di Cristo, pensiamo, prima di tutto e soprattutto, in quale modo lui è stato Figlio-Discepolo, totalmente sottomesso al Padre.