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La recente tragedia, provocata dal pilota che ha trascinato nel suo folle progetto suicida le 149 persone che viaggiavano con lui sullo stesso aereo, oltre a provocare un’inevitabile commozione per il dolore di tante famiglie, ha suscitato riflessioni sul perché di certi eventi: sono state chiamate in causa la fatalità, la fortuna, la sfortuna. Ma per i figli di Dio quali sono le certezze su cui poggia il loro cammino?
Le testimonianze delle sorelle e dei fratelli che si sono resi disponibili a rispondere alle domande proposte ci consentono di riflettere su come arrivare alla scelta del proprio lavoro, su quali sono le difficoltà (e, talvolta, le tentazioni) che un figlio di Dio può incontrare nell’ambiente in cui lavora e sul valore del sostegno che, in particolari circostanze, possiamo ricevere attraverso la comunione fraterna.
Perché è importante, prima di svolgere qualsiasi incarico per il Signore (e a qualunque età!), ricercare la sua presenza? Con quale atteggiamento dobbiamo presentarci davanti a lui e poi camminare con lui? Cos’è che può renderci veramente forti nel nostro servizio per lui? La presunzione di sapere cosa fare e di saper fare? Oppure la confessione dei nostri limiti e delle nostre incapacità?
L’evangelista Matteo ci racconta che, alla conclusione del discorso sulla montagna, “una gran folla” di persone seguì Gesù fino a Capernaum: alcune colpite dall’autorevolezza e dal contenuto dei suoi insegnamenti, altre incoraggiate dalla speranza di ricevere da lui miracoli di guarigione. Alla fine di una giornata sicuramente faticosa, Gesù, per trovare un momento di riposo, “comandò che si passasse all’altra riva”.
In quale modo, nei progetti di Dio, deve svilupparsi il periodo di preparazione ad un servizio per lui? Quale valore può avere per un giovane ascoltare i consigli di una persona più matura e soprattutto collaborare con lei? Perché Il miglior modo di prepararsi al servizio è... servire? Dall’esempio del rapporto, certamente guidato dal Signore, fra Mosè e Giosuè scopriamo una serie di interessanti lezioni.
Spesso le persone non sono attirate dalla chiesa oppure si allontanano da essa perché scoraggiate dall’esempio negativo dei suoi membri, in altre parole: perché sono scandalizzate! Questo fenomeno è ancora più triste, quando vittime degli scandali sono figli o familiari di persone già credenti. Ci siamo mai chiesti seriamente qual è il comportamento che il Signore vuole da noi per non essere provocatori di scandali?
Per quali motivi possiamo definire l’incarnazione dell’eterno Figlio di Dio come il più grande dei miracoli? È possibile collocare storicamente il momento in cui questo miracolo si realizzò? Perché possiamo considerare credibili i testimoni dell’incarnazione e, quindi, perché dobbiamo escludere di trovarci davanti ad un mito o ad una leggenda? Come mai è essenziale riconoscere la preesistenza storica di Gesù e in quale modo essa limita il ruolo di Maria, smentendo la dottrina cattolica dell’immacolata concezione?

perché… no?!

Di tanto in tanto qualcuno mi chiede quali sono i motivi per i quali nei nostri incontri non “recitiamo” la preghiera, conosciuta come “Padre nostro” e proposta da Gesù ai discepoli, dopo aver espresso alcune osservazioni critiche sul modo di vivere la preghiera da parte dei religiosi del suo tempo.

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