Sale: patto e testimonianza
“Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5:13).
Il Signore Gesù ci pone davanti a due paragoni illuminanti.
Il primo è “il sale”. Ogni figlio di Dio è chiamato ad essere “il sale della terra”: un’immagine che il Signore Gesù usa per porre particolare attenzione al compito del sale di dare sapore.
È interessante osservare ciò che era prescritto nella Legge in relazione alle oblazioni:
“Qualunque oblazione offrirete al SIGNORE sarà senza lievito; non farete bruciare nulla che contenga lievito o miele, come sacrificio consumato dal fuoco per il SIGNORE. Potrete offrirne al SIGNORE come oblazione di primizie; ma queste offerte non saranno poste sull’altare come offerte di profumo soave. Condirai con sale ogni oblazione e non lascerai la tua oblazione priva di sale, segno del patto del tuo Dio. Su tutte le tue offerte metterai del sale” (Le 2:11-13).
Le oblazioni dovevano essere senza lievito, in quanto figura del peccato, ma nello stesso tempo dovevano essere condite con sale, badando bene a non offrire oblazioni prive di questo particolare elemento. Questo infatti era un “segno del patto” con il Signore.
Ma che significato spirituale ha il sale? Possiamo dire che esso è l’elemento che indica o simboleggia proprio la saggezza.
Ce lo ricorda Paolo scrivendo ai Colossesi: “Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno” (Cl 4:5-6).
Siamo chiamati a comportarci con saggezza, intelligenza spirituale e nel parlare di questo l’apostolo esorta: “il vostro parlare sia sempre con grazia e sale”. Essere sale della terra significa comportarsi saggiamente, ubbidendo al Signore. La nostra testimonianza è soprattutto determinata dal nostro comportamento e dalla nostra condotta.
Ecco come possiamo essere sale della terra.
Il compito del sale è quello di conservare e di dare sapore. Se esso diviene insipido non è più buono a niente.
“Si può forse mangiar ciò che è insipido, senza sale? C’è qualche gusto in un chiaro d’uovo?” (Gb 6:6). Il testo ci porta a riflettere su una risposta negativa. Anche se è vero che alcuni mangiano insipido, è indubbio che la pietanza perde molto del suo gusto senza il sale. Nel brano parallelo del vangelo di Luca leggiamo:
“Il sale, certo, è buono; ma se anche il sale diventa insipido, con che cosa gli si darà sapore? Non serve né per il terreno, né per il concime; lo si butta via. Chi ha orecchi per udire oda” (Lu 14:34-35).
Quando il sale diviene insipido non esiste niente in natura che possa ridonargli sapore. Esso diviene inutilizzabile, pronto solo per essere buttato via. Il figlio di Dio è chiamato ad essere “il sale della terra” anche per una consapevolezza di servizio. Infatti siamo al servizio del Signore ed è assolutamente triste e tragico pensare ad un cristiano che non desidera servire il Signore o essere di testimonianza. Sarebbe davvero come quel sale insipido.
La responsabilità di essere luce
“Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:14-16).
Il cristiano è chiamato ad essere “luce del mondo”, visto che per la Grazia di Dio egli lo è diventato. Nel prologo di Giovanni, il Signore Gesù viene così presentato:
“La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome” (Gv 1:10-12).
Il Signore Gesù è la “vera luce”. Non che i figli di Dio siano false luci, ma è indubbio che se essi possono presentarsi come “luce del mondo” è solo in virtù del Signore Gesù.
I cristiani sono come la luna che riflette i raggi del sole alla terra. Noi non possiamo risplendere di luce propria, ma di luce riflessa. La notizia tragica è che essendo venuta la Luce, essa è stata rifiutata, rigettata, non conosciuta da molti. Addirittura il Signore, essendo venuto “in casa sua”, non solo non è stato accolto, ma è stato rifiutato. Ma a tutti coloro che “l’hanno ricevuto”, ovvero che hanno creduto in lui, essi hanno ricevuto lo splendido diritto di diventare figli di Dio.
Altre volte il Signore ribadì questo concetto “Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»” (Gv 8:12). Essendo la luce del mondo, solo colui che segue il Signore Gesù può godere di una speciale benedizione: non camminare più nelle tenebre. Questo è il privilegio di tutti coloro che si sono arresi a Cristo. Essi possono camminare alla sua luce ed è triste quando essi cadono nel peccato. È vero che questo è possibile e che possiamo sempre andare supplicanti al Signore, ma è anche vero che quando questo accade non si è seguita la luce. Dobbiamo essere determinati nel non distogliere mai il nostro sguardo dal Signore Gesù.
“Ma Gesù ad alta voce esclamò: «Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato; e chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io son venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me, non rimanga nelle tenebre»” (Gv 12:44-46): credere nel Signore Gesù, avere fede in Lui, significa nello stesso tempo dare credito al Padre, a colui che l’ha mandato. Nel vedere e contemplare il Signore si contempla anche il Padre, visto che “sono uno”. L’essere in_Cristo luce del mondo comporta inevitabilmente l’essere tolti dall’oscurità del peccato e della morte, per entrare in una realtà completamente nuova.
Ma il Signore Gesù sottolinea una nostra precisa responsabilità: “Voi siete…”, come ben comprese Paolo: “…perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato” (Fl 2.15-16).
Per dimostrare di essere luce in questo mondo, il figlio di Dio è chiamato ad assumere sempre una condotta irreprensibile ed integra, al fine di risplendere come astro nel mondo. Ciò che ci permette di “risplendere” è la guida dello Spirito. In questo modo potremo essere “senza biasimo”, ovvero non si darà l’opportunità a nessuno di accusarci. Questo perché con le nostre parole ed azioni terremo alta la “parola della vita”.
Mai nascondere la luce!
Per spiegare meglio quanto stava dicendo il Signore fa un esempio molto pratico: “Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa”. La lampada ha il compito di illuminare una stanza o un locale. Tenerla nascosta la squalificherebbe e le si impedirebbe di svolgere il suo compito ovvero quello di dare luce.
Ricordiamo le parole di Davide: “Sì, tu sei la mia lampada, o SIGNORE, e il SIGNORE illumina le mie tenebre” (2Sa 22:29). Davide poteva testimoniare in modo potente che il Signore era la sua lampada, la sua luce. Egli sapeva che solo il Signore poteva guidarlo e condurlo correttamente, mediante la sua luce. È quando si riceve e si segue questa luce che si realizzano in noi le parole di Gesù: “Voi siete la luce del mondo”.
“La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi” (Sl 119:105-106). Riconoscere che il Signore è la nostra luce significa riconoscere che lo è anche la sua Parola. Il cristiano potrà mostrare di essere luce del mondo, nel momento in cui la sua condotta sarà caratterizzata da un’ubbidienza costante alla Parola di Dio. Questo perché la sua Parola è la sua “lampada”.
Inoltre, “la luce dei giusti è gaia, ma la lampada degli empi si spegne” (Pr 13:9). Mai potrà spegnersi la luce del giusto, in quanto abbiamo visto da dove essa deriva. Per contro quella degli empi si spegnerà ed in modo definitivo, in quanto non è vera luce. Il mondo nel suo orgoglio pretende di poter far passare le sue idee, i suoi motti, i suoi principi iniqui come “luce”. Ma in realtà l’uomo si accorge e si accorgerà che sta inseguendo solo una chimera. Solo la luce del giusto è stabile, in quanto segue il Signore che è Luce.
È significativa per noi l’immagine del candelabro: «Ordina ai figli d’Israele di portarti dell’olio di oliva puro, vergine, per il candelabro, per tenere le lampade sempre accese. Aaronne lo preparerà nella tenda di convegno, fuori della cortina che sta davanti alla testimonianza, perché le lampade ardano sempre, dalla sera alla mattina, davanti al SIGNORE. È una legge perenne, di generazione in generazione. Egli le disporrà sul candelabro d’oro puro, perché ardano sempre davanti al SIGNORE” (Le 24:2-4).
La nostra lampada va posta sul candeliere in modo tale che la luce possa essere sempre vista. Interessante osservare nel testo di Levitico i vari ordini del Signore intorno al candelabro. Ogni israelita doveva portare olio d’oliva vergine per il candelabro, affinché le lampade del candelabro rimanessero sempre accese. Aaronne doveva prepararlo con ogni scrupolo: per ben tre volte viene sottolineato che il candelabro doveva ardere continuamente. Questa è una bella lezione per noi. Come luce del mondo siamo chiamati ad essere come questo candelabro che arde del continuo, che mostra sempre la sua luce.
Che il candelabro possa rappresentare anche i credenti è chiaro: “Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi” (Ap 2:5). Queste parole sono rivolte alla chiesa di Efeso, che ricevette certamente degli elogi inerenti alla sua fatica, alla sua fedeltà dottrinale ed alla sua costanza. Ma purtroppo aveva abbandonato “il primo amore”. Il Signore Gesù non era più la priorità per questa chiesa. Perciò il Signore lancia un solenne avvertimento: “rimuoverò il tuo candelabro se non ti ravvedi”. Quando si abbandona il primo amore non si risplende più come candelabri. Si diviene in un certo qual modo inutili.
Essere luce attraverso le “buone opere”
Perciò il Signore Gesù ci incoraggia: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. Vi è un chiaro riferimento alle buone opere che il figlio di Dio è chiamato a compiere.
È un tema che nella Scrittura troviamo molto spesso e che va approfondito.
L’autore della lettera agli Ebrei afferma: “Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere” (Eb 10:24). Dobbiamo accogliere questa importante esortazione. Non vi è spazio per la superficialità. Dobbiamo fare attenzione ed impegnarci ad esortarci a vicenda nel praticare le buone opere non per meritare la salvezza, ma per dimostrare di essere dei figli di Dio fedeli.
Ricordiamo le parole di Paolo a Tito: “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha sparso abbondantemente su di noi per mezzo di Cristo Gesù, nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna. Certa è quest’affermazione, e voglio che tu insista con forza su queste cose, perché quelli che hanno creduto in Dio abbiano cura di dedicarsi a opere buone. Queste cose sono buone e utili agli uomini” (Tt 3:5-8). È chiara la contrapposizione. Le opere dell’uomo sono assolutamente inutili ai fini della salvezza, perché la sua giustizia è come “un abito sporco”. Non possiamo salvarci mediante le opere, in quanto la nostra salvezza è basata solo sulla Grazia di Dio. Ma le opere non perdono di valore dopo la salvezza, perché ne sono la dimostrazione: per questo come cristiani dobbiamo compiere le “buone opere”.
Nella lettera agli Efesini troviamo lo stesso insegnamento: “Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Ef 2:9-10).
Le opere non possono essere motivo di vanto per noi, in quanto, come detto, siamo salvati per la Grazia di Dio. Ma nello stesso tempo quali figli di Dio, siamo chiamati a compiere non le nostre opere, ma quelle che “Dio ha precedentemente preparato affinché le pratichiamo”.
Lo scopo è che gli uomini, vedendo queste opere possano “glorificare il Padre che è nei cieli”. Il verbo glorificare rivolto al Signore non significa che si aggiunge qualcosa alla sua gloria, ma indica la celebrazione ed il fatto che egli è degno di ricevere l’adorazione.
“Fermatevi e riconoscete che io sono Dio. Io sarò glorificato fra le nazioni, sarò glorificato sulla terra” (Sl 46:10). È il Signore che ci esorta a fermarci e a riflettere sulla nostra condotta, in quanto è proprio con il nostro comportamento che il suo Nome potrà essere glorificato.
“Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia; ma ero sconosciuto personalmente alle chiese di Giudea, che sono in Cristo; esse sentivano soltanto dire: «Colui che una volta ci perseguitava, ora predica la fede, che nel passato cercava di distruggere». E per causa mia glorificavano Dio” (Ga 1:22-24).
Paolo racconta di essere andato nelle regioni della Siria, della Cilicia e che era sconosciuto agli abitanti del posto. Non solo però: era giunta anche la notizia della sua trasformazione, della sua conversione, del suo servizio ed a motivo di questo“glorificavano Dio”. Sì, con il nostro comportamento possiamo o essere motivo di scandalo, o motivo di ringraziamento e glorificazione al Signore.