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Premesse

 

Apro queste riflessioni, che occuperanno più di un articolo su questo mensile, con due semplici premesse.

 

La prima, in merito alla fonte di istruzione dalla quale attingere. Come cristiani, la Bibbia è e deve restare per noi l’unico insegnamento normativo a cui riferirci. Per questo la nostra ricerca rimarrà esclusivamente nel suo ambito per analizzare, pur nei limiti di questi articoli, il pensiero di Dio sul lavoro.

 

Del resto, se riconosciamo in Dio il nostro Creatore ed il nostro Redentore, non può che essere così! Immersi in un contesto in cui “ognuno fa quello che gli pare meglio” (parafrasi di Giudici 21:25), spero che, al contrario, siamo mossi dallo stesso atteggiamento avuto, sempre al tempo dei giudici d’Israele, dal padre di Sansone quando pregò Dio per poter capire come comportarsi (Gc 13:8).

 

C’è una seconda premessa che ritengo necessaria. Parlare di “lavoro” potrebbe spingere qualcuno a pensare: “Questo argomento non mi riguarda perché io non ho un lavoro”.

Questa potrebbe essere la reazione naturale di uno studente, di una casalinga, di un pensionato o di un disoccupato.

Invece questo argomento riguarda proprio tutti!

La ragione la scopriremo presto esaminando il piano creazionale di Dio per le sue creature più speciali, cioè l’uomo e la donna.

 

 

CREATI PER LAVORARE

 

Andiamo alle origini

 

Osservando i vari passaggi della Scrittura che trattano il nostro argomento, mi sembra logico iniziare questo studio guardando al modo in cui Dio creò l’uomo e poi al compito che gli affidò. Riporto di seguito qualche passaggio delle primissime pagine della Bibbia.

 

• “Poi Dio disse:

«Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro:

«Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra»” (Ge 1:26-28).

 

• “Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato. Dio il SIGNORE fece spuntare dal suolo ogni sorta d’alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Ge 2:8-9).

 

 “Dio il SIGNORE prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (Ge 2:15).

 

• “Poi Dio il SIGNORE disse: «Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui»” (Ge 2:18).

 

Dio creò l’uomo a sua immagine e gli affidò il compito di lavorare responsabilmente il giardino di Eden. Osserviamo che le due cose (creazione a immagine di Dio e lavoro) sono strettamente collegate. Infatti, a nessuno degli animali il Creatore affidò un compito così importante, solo all’uomo, dal momento che questi soltanto è stato creato a sua immagine e somiglianza.

Un essere umano non lavoratore avrebbe diffuso male l’immagine del suo Creatore, che lo ha reso forte, intelligente e creativo.

 

Tutto questo presuppone il fatto che Dio stesso lavora.

A qualcuno può sembrare irrispettoso o riduttivo parlare del Creatore in questi termini, eppure tutto dimostra che è proprio così. Tra l’altro, troppo spesso concepiamo il lavoro in termini così negativi dal trovare difficile l’idea che esso possa riguardare anche Dio, colui il quale “parlò e la cosa fu” (Sl 33:9).

 

Il Dio Creatore in sei giorni fece “i cieli e la terra e tutto l’esercito loro” (Ge 2:1).

Dio è colui che “non si affatica e non si stanca” (Is 40:28), che “non sonnecchierà né dormirà” (Sl 121:4).

Come ha affermato Gesù: “Il Padre mio opera fino ad ora, e anch’io opero” (Gv 5:17).

 

Previsto nel programma iniziale

 

Quindi, Dio ci ha creati per lavorare. Non ci ha creati per vivere in una perenne vacanza, come a volte idealizziamo l’Eden.

Del resto, anche i nuovi cieli e la nuova terra dove abiterà la giustizia e dove i salvati vivranno insieme a Dio, non sarà luogo di ozio e di passività.

Le religioni hanno spesso idealizzato così il paradiso, condizionati dall’esperienza terrena, come anche la televisione che in alcune pubblicità ci presenta il cielo come luogo dove incontrarsi per prendere un caffè insieme.

 

Al contrario, l’eternità dei figli di Dio nella gloria sarà caratterizzata dal servizio.

Alcune parabole di Gesù mostrano che le possibilità attuali di servire Dio sono una preparazione ed un banco di prova affinché in futuro Dio possa affidarci altri compiti (vedi la parabola dei talenti e quella delle mine in Luca 19 e Matteo 25): non mi pare fuori luogo pensare che questi affidamenti futuri vadano oltre “il tempo presente”.

Dall’istante in cui Gesù tornerà per rapire la Chiesa noi “saremo sempre con il Signore” (1Te 4:17) e verremo coinvolti in diverse attività:

• giudicheremo il mondo (1Co 6:2),

• giudicheremo gli angeli (1Co 6:3),

• regneremo con lui sulla terra (2Ti 2:12; Ap 5:10)…

• e nella nuova Gerusalemme è scritto che: “i suoi servi lo serviranno” (Ap 22:3).

 

Il “paradiso eterno” riproporrà dunque alcune caratteristiche proprie del “paradiso terrestre”, cioè un ambiente di lavoro-servizio ideale.

 

Rispetto al contesto che conosciamo oggi, all’inizio il lavoro non era faticoso e stressante, ma si trattava pur sempre di lavoro.

Dio aveva piantato un giardino (Ge 2:8) di una freschezza e prosperità uniche. Il giardino era ubicato in una località di nome “Eden”, termine che significa “delizie”.

Tutto era buono e bello in quel giardino, e l’uomo e la donna avevano intelletto ed energie per lavorare e custodire quel luogo incantevole.

 

Quali erano le loro mansioni?

Forse dovevano irrigare le piante, raccogliere le foglie, allontanare alcuni animali, chissà… queste sono solo supposizioni.

Il punto è che Dio li aveva creati per lavorare.

Tra l’altro, qualunque fosse il modo in cui Adamo ed Eva dovessero espletare il loro compito, avevano l’intelligenza e le capacità di eseguirlo. Non possiamo escludere che con il tempo (prima e dopo la caduta) essi abbiano accresciuto le loro conoscenze e migliorato i risultati, ma da subito erano in grado di soddisfare le richieste del divino “datore di lavoro”.

 

Questo sconfessa la tesi della teoria evoluzionista secondo cui l’uomo sarebbe passato attraverso lunghe fasi di sviluppo sia fisico che mentale, durate molte generazioni, che da animale orientato dai propri istinti lo avrebbero fatto giungere alla stadio della sapienza che lo caratterizza. Dio non avrebbe affidato all’uomo, da subito, un compito che l’uomo non fosse all’altezza di svolgere!

 

Dobbiamo tenere nella dovuta considerare l’idea che l’impegno di lavorare non era, per l’essere umano, dovuto alla sua disubbidienza a Dio, al peccato, perché Dio assegna all’uomo il compito di lavorare prima della caduta.

 

Il lavoro, nel piano di Dio, non è una punizione. Capire questo concetto cambia radicalmente il nostro approccio al lavoro nella vita di tutti i giorni, perché smetteremo di avere una visione negativa e rassegnata delle cose sentendoci incoraggiati ad occupare quel piano che il Creatore ha previsto per noi fin “dal principio”.

 

Sapere che Dio ci ha creati per lavorare ci libera dal pericolo di scindere la vita lavorativa in modo netto rispetto a tutto il resto.

Ne consegue che dovrei sempre pensare, tanto se ho un’occupazione oppure no, che il mio Creatore mi ha dato la vita affinché fossi un essere attivo ed impegnato, qualunque sia la cosa da fare.

Per cui mi permetto di mettere in discussione il detto secondo il quale “bisogna lavorare per vivere e non vivere per lavorare”. In effetti, sembra proprio che Dio ci abbia creati per lavorare!

Questo non vuole dire passare tutta la vita sul posto di lavoro, non fraintendetemi. Si tratta piuttosto di avere un approccio alla vita quotidiana consono al mandato del Creatore impartito dal principio.

 

In questo qua_dro, trovo altresì sbagliata l’idea di alcuni di considerare il lavoro quasi una perdita di tempo dalla quale fuggire il prima possibile per dedicarsi “al servizio del Signore” nel tempo libero. Il pensare alla vita cristiana come ad un insieme di comparti stagni alcuni “secolari” e altri “spirituali” non ha una base scritturale. Al contrario, veniamo frequentemente invitati ad offrire tutto noi stessi (quindi tutto il nostro tempo e tutte le nostre attività) al Signore per una consacrazione totale!

 

Che dire poi delle opportunità di evangelizzazione proprio sul posto di lavoro? Ma non voglio soffermarmi adesso su questi aspetti.

 

 

Il lavoro per l’uomo e per la donna

 

Tornando a Genesi 1-2, dobbiamo considerare che il lavoro riguarda sia l’uomo (maschio) che la donna.

Dio affida all’uomo il compito di lavorare perché lui stesso lavora! E l’uomo è portatore dell’immagine e somiglianza di Dio nella sua completezza di maschio e femmina.

Basti notare in Genesi 1:27-28 due cose:

• anzitutto, il fatto che Dio dichiara il suo proposito di creare l’uomo nella sua tri-unità (“facciamo l’uomo”);

• poi, il passaggio da “creò” e “lo creò” (singolare) a “li creò” (plurale).

 

Così come il Creatore si fa conoscere come un unico Dio le cui Persone diverse sono armoniosamente in relazione (il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo), anche l’uomo riflette il divino nell’essere creatura espressa in persone distinte (l’uomo e la donna), che vivono una completa unità quando sono in relazione tra di loro (e ciò è meravigliosamente espresso nell’unione matrimoniale).

 

La donna viene creata come “aiuto adatto all’uomo”. È evidente che la moglie donata da Dio ad Adamo sarebbe stata sua coadiuvante anche nelle mansioni lavorative di Eden.

Anche la donna, magari in modi diversi e complementari rispetto all’uomo, lavora.

Arrivando al lato pratico, la storia e la varietà delle culture dei popoli ci fanno vedere che si è arrivati ad estremi opposti riguardo al differente impegno nel lavoro da parte del genere maschile e di quello femminile.

 

Ci sono culture in cui uomini pigri e violenti impongono alle mogli di lavorare mentre loro oziano tutto il giorno. In altri contesti, la donna deve essere esclusivamente casalinga e addetta alla cura dei figli. Il principio creazionale rimane valido sorpassando le tradizioni umane ed i preconcetti.

 

Tutti, uomini e donne, siamo creati per lavorare. Questo non significa necessariamente che tutti devono avere un posto di lavoro.

Saranno il contesto in cui viviamo, le necessità economiche del momento e l’equilibro familiare, i fattori da valutare attentamente per decidere se entrambi i coniugi devono cercare un’occupazione oppure no.

 

Non c’è dubbio sul fatto che il primo ambito lavorativo per una donna è quello domestico. Nulla vieta che i mariti e i figli maschi collaborino nelle faccende domestiche, ma la donna in questo settore ha una responsabilità peculiare evidenziata nei versetti che seguono:

 

• “… per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, a essere sagge, caste, diligenti nei lavori domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché la parola di Dio non sia disprezzata” (Tt 2:5).

• “Voglio dunque che le vedove giovani si risposino, abbiano figli, governino la casa…” 
(1Ti 5:14).

 

Quindi, all’interno della famiglia, mentre è responsabilità del marito il governo della famiglia, cioè delle persone (1Ti 3:5), è responsabilità della moglie il governo della casa in senso pratico.

Ma tutto ciò non esclude a priori che anche la donna, oltre al lavoro casalingo al quale è vocata, si dedichi ad altre attività lavorative che esulano dal focolare domestico.

Anche la descrizione della donna virtuosa di Proverbi 31:10-31 mostra che le attività di una donna approvata da Dio possono andare ben oltre le faccende comuni di una casalinga.

 

Accade sempre più spesso che entrambi i coniugi lavorino per poter mantenere la famiglia. A volte, anche se questo non sarebbe necessario, mogli credenti vedono nel lavoro il giusto impegno per la propria vita.

Non c’è dubbio che il lavoro di entrambi i coniugi determini una più difficile gestione dei figli, specie quando sono piccoli, e dell’espletamento delle altre incombenze familiari. In questi casi diventa necessario il ricorso ad asili nido, nonni e tate.

 

Ci sono ovviamente buone ragioni per preferire una soluzione o l’altra… credo di poter dire che ci troviamo in uno di quei casi che devono essere affrontati cercando in preghiera la volontà particolare di Dio, senza escludere a priori l’una o l’altra strada ed evitando giudizi sommari sulle famiglie che decidono in un modo piuttosto che nell’altro.