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    1. Due Salmi significativi

      • “Se il SIGNORE non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori; se il SIGNORE non pro­ tegge la città, invano vegliano le guardie. Inva­ no vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare e mangiate pane tribolato; egli dà altrettanto a quelli che ama, mentre essi dor­ mono(Sl 127:1­2).
      • “Beato chiunque teme il SIGNORE e cammina nelle sue vie! Allora mangerai della fatica del­ le tue mani, sarai felice e prospererai. Tua moglie sarà come vigna fruttifera, nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come piante d’olivo intorno alla tua tavola. Ecco così sarà benedet­ to l’uomo che teme il SIGNORE” (Sl 128:1­4).

        È molto interessante notare che tra i Salmi inti­ tolati ciascuno “Canto dei pellegrinaggi” (Salmi 120­134) ve ne siano due consecutivi, da cui sono ripresi gli stralci riportati sopra, che parla­ no delle condizioni per vedere una famiglia benedetta. Questi canti venivano intonati dai pellegrini d’Israele durante i viaggi intrapresi da tutte le città e i villaggi della Palestina per recar­ si a Gerusalemme in occasione delle feste.


        È evidente che in questi canti sono contenute non soltanto parole di lode a Dio, ma anche testimonianze, promesse e verità educative per il popolo. Dunque l’inserimento tra questi testi di insegnamenti che hanno per oggetto la
        famiglia dimostra quanto sia importante, agli occhi di Dio, il tenere in considerazione la vita familiare al fine di godere il massimo delle benedizioni divine.

        Prestando attenzione alle parole riportate, dobbiamo constatare che in esse non si parla della vita familiare in maniera generica, ma ci sono riferimenti precisi alla vita lavorativa messa in relazione alla famiglia. È chiaro, infat­ ti, che il lavoro dei membri della famiglia ha del­ le ripercussioni che producono felicità o insod­ disfazione all’interno del focolare domestico. Ciò che farà la differenza sarà la scelta delle priorità da seguire. Infatti, come spesso trovia­ mo nella Parola di Dio, anche in questo caso la benedizione è subordinata al rispetto di deter­ minate condizioni.

        Se il Signore non costruisce la casa…

        Nel Salmo 127 si fa un parallelo tra il costruire la casa ed il proteggere la città: in entrambi i casi se l’azione umana non viene accompagnata dal­ l’intervento divino, il risultato sarà l’insuccesso. Il discorso qui è da intendersi non solo in senso strettamente letterale, pensando alla casa come cantiere edile e alla città come agglome­ rato urbano: la casa richiama sempre la fami­ glia e la città richiama la società, la nazione.
        Ma il secondo esempio (proteggere la città)

        pare essere soltanto il supporto per evidenzia­ re la tematica del primo, visto che poi si conti­ nua a parlare di famiglia. Mi pare non casuale l’uso della parola “invano”, che ricorre tre volte in due versetti, e fa pensare a quanto scriveva l’Ecclesiaste sulla vanità della fatica. Mi permet­ to di parafrasare il testo sintetizzandone il pen­ siero centrale: “Se non è Dio a costruire la fami­ glia, allora tutte le fatiche dei suoi membri non godranno risultati soddisfacenti e la vita quoti­ diana sarà dal mattino alla sera una corsa senza pace”. Per rafforzare il concetto si parla di per­ sone amate da Dio che ricevono altrettanto (cioè: quanto ricercato con affanno dagli altri ma non ottenuto) mentre dormono, cioè men­ tre non fanno nulla. È un modo estremo per far capire il concetto: lasciare che Dio faccia la sua parte è così importante che, al limite, potrem­ mo non fare niente noi e vedere il risultato, mentre non sarebbe vero il contrario (con que­ sto nessuno deve pensare di essere passivo perché Dio pensa a tutto…).

        Alzarsi presto, andare a dormire tardi, ripetere giorno dopo giorno una corsa senza meta pre­ cisa e quindi senza sapere mai a che punto si è arrivati: avete mai provato questa sensazione? Avete visto persone che vivono così? Il risulta­ to è il vuoto, l’aridità nell’anima. Magari tutto il lavoro svolto ha determinato ottimi risultati professionali, successi e profitti, eppure si rimane vuoti e insoddisfatti. Perché? Perché Dio è escluso, oppure è incluso soltanto quan­ do e come decidiamo noi, impedendogli di “edificare la casa” perché nei fatti lo facciamo noi, pensando anche di farlo bene perché per questo dispieghiamo il massimo delle nostre energie.
        Allora, fissiamo nella mente tre concetti che emergono da questo salmo:

        • per costruire la casa, cioè la famiglia, la cosa più importante non è la quantità di cose che facciamo e il lavoro che svolgiamo;
        • il nostro lavorare in ogni caso è strettamente connesso alla vita familiare, favorendone la serenità o contribuendo al turbamento;
  • Dio deve essere al primo posto, in modo che la famiglia si sviluppi secondo il suo progetto.

    Il marito e padre ha una responsabilità fonda­ mentale, come viene evidenziato nel Salmo successivo dove compare come soggetto prin­ cipale. A lui spetta di far capire anche agli altri della famiglia, dopo esserne lui stesso convinto, che il lavoro non è la cosa più importante della vita, che non si fanno le cose perché lui vuole o non vuole e nel modo che lui vuole, ma si fa ciò che vuole il Signore, per piacere a lui. A questo punto avviene un cambio al vertice: Dio è al pri­ mo posto e tutto il resto, lavoro compreso, passa in secondo piano.
    Diventano conseguenti alcune scelte che nomi­ no a titolo di esempio, ma potrebbero esserce­ ne molte altre. Se un lavoro è redditizio o una promozione è gratificante, ma in quel caso la famiglia ne risentirebbe negativamente in quanto trascurata, cosa si sceglierà? Se per por­ tarsi avanti si “porta il lavoro a casa” (oggi i mezzi informatici permettono di farlo e pratica­ mente “non si stacca mai”), ma così la casa diventa niente più di un hotel dove mangiare e dormire, che si farà? Che si farà nel caso in cui un successo professionale dovesse arrivare attraverso il compromesso di una menzogna, di un inganno, di una raccomandazione da non svelare a nessuno?
    In quale di questi casi si permette a Dio di “edi­ ficare la casa”? A ognuno che legge, la risposta.

    Temere il Signore e camminare nelle sue vie…

    Il Salmo 128 sembra affrontare in positivo la stessa situazione del Salmo precedente, indi­ candoci qualcosa di preciso per permettere a Dio di “edificare la casa”. È “beato”, cioè felice, l’uomo che manifesta questi due atteggiamen­ ti: teme il Signore e cammina nelle sue vie. Questo stile di vita diventa la condizione soddi­ sfatta che apre le porte alla benedizione per l’intera famiglia, dove si vedrà prosperità e

    unità e, oltre a questo, si raccoglierà felicemen­ te il frutto della fatica lavorativa (“allora man­ gerai della fatica delle tue mani”).
    Ma che significa temere il Signore?
    Il timore del Signore è un argomento molto ricorrente nella Scrittura e non vorrei banaliz­ zarlo in poche righe, ma è utile pensare agli aspetti che hanno un collegamento con il nostro tema in esame.
    Innanzitutto, essendo il timore del Signore il principio della saggezza (Pr 1:7; 9:10), dobbia­ mo dare ad esso la priorità su qualsiasi altro cri­ terio possa proporsi per determinare le nostre scelte e iniziative di vita e di lavoro. Succede tantissime volte che si presentano occasioni per dimostrarsi “furbi”, cioè di coloro che ottengono ciò che vogliono con artifici ed espe­ dienti, al limite o al di là del lecito.
    Non dobbiamo essere dei “furbi” ma dei saggi, e la differenza è proprio in questo: il saggio teme il Signore. Il timore ci frena nel momento in cui potremmo scivolare verso l’errore, ci fa avvertire il pericolo e il sentimento di Dio nei confronti di quella situazione. È ciò che provò Davide quando, avendo l’opportunità di liberar­ si del suo peggior nemico (Saul), non lo fece perché “il cuore gli battè” (1Sa 24:6).
    L’avvertire la presenza del male così da evitar­ lo, quando c’è il timore di Dio, diventa anche vera e propria repulsione per il peccato, odio nei confronti del male: “Il timore del Signore è odiare il male” (Pr 8:13). Se solo ripenso ad alcuni credenti che ci hanno preceduto, devo ammettere che in larga misura abbiamo perso il timore che dobbiamo avere. Troppo spesso ci avviciniamo pericolosamente al peccato giu­ stificandoci con frasi del tipo: “Che male c’è?”. Poi arrivano le cadute e si piange, ma è tardi, e tante conseguenze delle nostre cadute rimar­ ranno anche quando, ravvedendoci, avremo il perdono di Dio. Se avessimo timore del Signo­ re staremmo molto più lontani dai pericoli spi­ rituali.

    Poi, c’è la condizione di camminare nelle vie di Dio. Si tratta di qualcosa di concreto: è il com­

    portamento, la condotta. Le vie di Dio sono i modi di agire di Dio, i comportamenti che han­ no la sua approvazione, le strade in cui anche Dio cammina e nelle quali godremo la sua comunione perché lui camminerà con noi. Non sono le vie dell’uomo (Is 55:8­9), per cui spesso, per camminare nelle vie di Dio ci troveremo in contrasto con i modi di comportarsi della mag­ gioranza delle persone. Ma se anche qualcuno che sulla terra ha un ruolo di autorità ci chie­ desse di abbandonare le vie di Dio per cammi­ nare in quelle dell’uomo, noi dovremmo rima­ nere sottomessi a Dio.
    Chi cammina nelle vie di Dio rifiutando quelle percorse e proposte dagli uomini, ama la Parola di Dio e la medita continuamente (Sl 1:1­3). Que­ sta medesima Parola ci esorta ed avverte così: “Non entrare nel sentiero degli empi e non t’inol­ trare per la via dei malvagi; schivala, non passare per essa; allontanatene, e va’ oltre. Essi infatti non possono dormire, se non hanno fatto del male; il sonno è loro tolto, se non hanno fatto cadere qualcuno. Essi mangiano il pane dell’em­ pietà e bevono il vino della violenza” (Pr 4:14­17).

    Conclusione

    Quale attinenza hanno queste riflessioni con il tema del lavoro?
    Apparentemente sembrano marginali o impro­ prie, ma se esaminiamo bene i testi biblici da cui siamo partiti vediamo come la Parola ci pone davanti la chiave per evitare di ritrovarci affan­ nati e insoddisfatti. Potremmo infatti dedicarci moltissimo al lavoro e poi ritrovarci senza sere­ nità; potremmo anche ottenere grandi successi ma ritrovarci completamente vuoti. Dio ci porta a riflettere per stabilire le priorità giuste, e per evitare di isolare il lavoro dalle altre realtà che fanno parte delle nostra vita, tenendo anche conto che quanto riguarda il nostro lavoro avrà sempre un impatto sulla nostra famiglia.
    Ricordiamo le priorità che ci ha insegnato Gesù: “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tut­ te queste cose vi saranno date in più” (Mt 6:33).