Quando ero bambino, non c’era incontro della chiesa nel quale non venisse evocato nel canto, nelle preghiere o nelle letture bibliche il ritorno del Signore.
Perché ancora oggi la comprensione dell’incarnazione del Figlio di Dio è il fondamento irrinunciabile della nostra fede cristiana? Quali sono gli aspetti essenziali dell’incarnazione che devono attirare la nostra attenzione e sui quali dobbiamo fondare la nostra identità cristiana? In quale modo il fermarsi a considerare particolari irrilevanti dell’incarnazione ha prodotto diversi fraintendimenti teologici?
Siamo certi di aver capito la libertà in Cristo? La nostra fede è dimostrata con comportamenti sinceri dettati dalla legge di libertà o da atteggiamenti opportunistici dettati dal giudizio che altri possono avere? È possibile avere le proprie convinzioni ma avere paura di esternarle in presenza di fratelli che la pensano diversamente? La vera libertà del credente si attua nella conformità a Cristo o nella tradizione religiosa?
Provvedere ai propri bisogni attraverso un lavoro manuale è una scelta umiliante oppure è una scelta nobile e dignitosa? Cosa ci insegna in proposito l’esempio dell’apostolo Paolo che, nonostante fosse uomo di elevata cultura, non si tirò indietro davanti alle necessità della vita? Quali insegnamenti possiamo raccogliere dalla vicenda di Filemone ed Onesimo, per vivere le relazioni all’interno dell’ambiente di lavoro?
Il titolo ricorda una triste guerra di qualche decade fa. Questa è una di quelle nazioni in cui è quasi impossibile sapere il numero esatto di Assemblee. Sappiamo che molte delle chiese, non registrate, si radunano e vivono secondo i princìpi del Nuovo Testamento nei quali si riconoscono le Assemblee. In ogni caso, nonostante difficoltà varie, il numero dei credenti aumenta. E di questo ci rallegriamo.
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