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n primo pericolo è costituito dalla superficiale elaborazione di programmi non sufficientemente valutati, oppure dettati da motivazioni sbagliate. Questo genere di scelte ha un impatto diretto e uno indiretto sul lavoro. Per essere concreti, pensiamo al caso di un imprenditore che pianifica un incremento dei suoi affari attraverso investimenti non sostenibili e va incontro al fallimento, oppure al caso di un dipendente che, a causa di spese familiari spropositate rispetto al suo reddito, dovrà dedicarsi in modo estremo al lavoro per riuscire a pagare i debiti. Tutto questo accade e non è così raro vederne le tristi conseguenze.

 

Spesso si elaborano dei piani

dando come certi degli scenari che tali non sono,

e si sopravvalutano le proprie capacità e possibilità.

 

Dio ha una chiara parola di riprensione per chi pianifica con presunzione, escludendolo:

E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo»; mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro». Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo. Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato” (Gm 4:13-17).

La reazione di qualcuno a questo richiamo può essere: “Allora non dobbiamo pianificare nulla”. In realtà non si deve essere estremisti, perché ciò che Dio disapprova non è avere un’ambizione, ma come pensiamo di concretizzarla. Pensiamo di avere tutto sotto controllo? Pensiamo che niente ci potrà fermare dal raggiungere il nostro obiettivo? Se è così, siamo arroganti e pieni di un vanto cattivo.

Attenzione poi a non pianificare a nostra discrezione e dopo pretendere che Dio ci benedica, appianando la strada per raggiungere il “nostro” obiettivo. La nostra sottomissione a Dio deve essere completa, il “se Dio vuole” non deve essere una formula da recitare alla leggera ma deve corrispondere alla nostra reale resa alla volontà di Dio per noi.

 

Oltre a evitare la presunzione, non 
dobbiamo essere avventati e sprovveduti.

 

Gesù fece questo esempio:

Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno comincino a beffarsi di lui, dicendo: «Quest’uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto terminare»” (Lu 14:28-30).

È ovvio che non possiamo prevedere tutto nei dettagli, ma è sufficiente il buon senso per capire se un investimento è sostenibile oppure no. Facciamo qualche esempio concreto.

Oggi il cosiddetto “credito al consumo” dà la possibilità di diluire nel tempo il pagamento di varie spese per beni ordinari, così alcuni si illudono che sia possibile avere tutto facilmente… poi però le rate da pagare ogni mese si sommano…

Qualcuno si chiede se farà bene o no ad acquistare casa… se riuscirà a pagare un mutuo…

Ovviamente nella Scrittura non troviamo le indicazioni puntuali per queste scelte, ma abbiamo delle direttive di principio che ci richiamano alla saggezza e alla prudenza.

Per esempio, la saggezza divina che troviamo in Proverbi, molto pratica, ci dà quest’ordine di priorità: “Metti in ordine i tuoi affari di fuori, metti in buono stato i tuoi campi, poi ti fabbricherai la casa” (Pr 24:27).

Il principio generale che si ricava da queste esortazioni è il seguente: occorre prima accertarsi di avere una fonte di reddito (gli affari di fuori in ordine, i campi in buone condizioni), poi si può intraprendere un’impresa importante quale la costruzione della propria abitazione.

L’insidia dei programmi sconsiderati può riguardare tutti e produrre conseguenze davvero spiacevoli, per questo è più che mai importante non agire “con leggerezza” (Ef 5:17).

 

 

Pagare le imposte

 

Se non vogliamo cadere nell’ipocrisia, dobbiamo riconoscere che anche questo è un tema controverso e spinoso, nella società in genere e anche tra i credenti.

Credo che dobbiamo approcciare la questione evitando, prima di tutto, le contrapposizioni frontali che di solito si formano. In genere, lavoratori dipendenti e titolari sono su due fronti opposti: i primi lamentano di essere obbligati a pagare le imposte fino all’ultimo centesimo perché vengono loro trattenute alla fonte e vedono di cattivo occhio chi ha un’attività in proprio. Al contrario, gli imprenditori giustificano la possibilità di evadere asserendo che la tassazione è insostenibile e che un subordinato fa presto a sollevare obiezioni solo perché percepisce uno stipendio costante tutti i mesi, senza sapere quanto sia complicato gestire in prima persona un’azienda. Si può dire che ognuno ha le sue ragioni, certo non infondate.

Come figli di Dio non possiamo chiudere gli occhi davanti alle difficoltà di nessuno. A complicare le cose c’è una tassazione davvero gravosa, riconosciuta tale anche da parte di chi è in posizione di autorità, ma che continua a rimanere pesante.

 

 

Come credenti, quale comportamento Dio vuole per noi?

 

Abbiamo già detto che sono molti a giustificare l’evasione con il tema dell’ingiustizia. Probabilmente i farisei e gli erodiani che vennero a chiedere a Gesù il suo pensiero sulla questione delle tasse, cercavano giustificazioni in base allo stesso ragionamento di tanti nostri contemporanei: “È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Dobbiamo darlo o non darlo?» Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro, ché io lo veda». Essi glielo portarono ed egli disse loro: «Di chi è questa effigie e questa iscrizione?». Essi gli dissero: «Di Cesare». Allora Gesù disse loro: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Ed essi si meravigliarono di lui” (Mr 12:14-17).

Pagare le tasse all’invasore straniero (i Romani) era davvero antipatico. Oltretutto gli addetti alla riscossione (i pubblicani) erano spesso disonesti e approfittavano dell’incarico per arricchirsi. Ma Gesù è assolutamente chiaro nella risposta: le tasse devono essere pagate sulla base del principio per cui chi è in autorità (Cesare) deve essere rispettato, come deve essere onorato Dio che è l’Autorità suprema. Lo stesso concetto è ribadito negli insegnamenti apostolici: “Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori… È anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché essi, che sono costantemente dediti a questa funzione, sono ministri di Dio. Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l’onore a chi l’onore (Ro 13:1, 6-7).

L’imperatore romano dell’epoca ed i suoi ministri non erano impeccabili nell’amministrazione dell’impero, in fondo erano simili alle autorità di oggi. Quindi a loro, in quanto “ministri di Dio” (a prescindere dal grado più o meno alto di onorabilità), spettava il rispetto e la sottomissione, compreso il pagamento di tasse e imposte.

Nella Scrittura non troviamo alcuna giustificazione all’evasione. Anche perché il praticarla metterebbe nella condizione di dover mentire per coprire la ‘scorciatoia’, qualora interrogati. E una volta stabilita la propria soggettività come metro di valutazione, qualsiasi richiesta di pagamento diventerebbe opinabile.

Possiamo anche vedere il problema come una questione di fede. Chi pensa che la propria attività o la propria famiglia non riuscirà ad andare avanti senza evadere, dovrebbe ricordare che Dio è pronto alla sfida per dimostrare che non è debitore verso chi lo vuole onorare fino in fondo: “Portate tutte le decime alla casa del tesoro, perché ci sia cibo nella mia casa; poi mettetemi alla prova in questo», dice il SIGNORE degli eserciti; «vedrete se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi tanta benedizione che non vi sia più dove riporla” (Ml 3:10).

Quando Daniele ed i suoi amici si trovarono alla corte di Nabucodonosor, potevano scendere a compromessi mangiando i cibi offerti dal re, ma non lo fecero e, pur nutriti attraverso una dieta povera, ebbero alla fine un aspetto migliore di tutti.

È la dimostrazione di come Dio premia sempre le scelte dettate dalla fede.

Non sarà invece a causa dei nostri compromessi a ribasso se abbiamo certi problemi, tensioni e insoddisfazione?

 

 

Le società

 

Anche questa situazione può diventare una grossa insidia. Un cristiano spesso deve fare scelte controcorrente rispetto alla maggioranza e per farle non deve avere legami condizionanti.

Ovviamente, vivere in mezzo al mondo significa avere tanti contatti con chi non conosce Cristo, altrimenti dovremmo “uscire dal mondo” (1Co 5:10). Si lavora quindi in mezzo a chi, di norma, è disposto ai compromessi e a vari generi di peccati senza alcuna intenzione di abbandonarli.

Senza estraniarci dalla società, credo però sia-
no da applicare all’ambito lavorativo queste esortazioni indirizzate ai Corinzi: Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il fedele e l’infedele? E che armonia c’è fra il tempio di Dio e gli idoli?” (2Co 6:14-16).

Il giogo è un attrezzo che costringe due animali a camminare insieme, fianco a fianco. Se uno dei due volesse andare in una certa direzione, non lo può fare se l’altro si oppone.

 

Questa immagine è davvero efficace

per metterci in guardia da relazioni

con “gli infedeli” che

ci renderebbero dipendenti da loro.

 

L’applicazione classica di questi versetti si riferisce al matrimonio e non c’è dubbio che il vincolo matrimoniale costituisca un “giogo”. Ciascuno dei due coniugi è condizionato dall’altro, in quanto entrambi camminano fianco a fianco e così determinano la direzione della famiglia. Non fa per il credente un giogo matrimoniale con un coniuge non credente!

Ma anche quando si condivide la propria attività lavorativa con uno o più soci, si può dare vita ad un “giogo” con gli infedeli. Le forme associative e societarie non sono tutte uguali ed anche i vari contesti non sono tutti uguali, ma occorre prestare la massima vigilanza prima di costituire una società.

Credo si dovrebbero prendere in considerazioni verifiche quali le seguenti: “Gli altri soci mi condizioneranno? Mi ritroverò a fare cose non corrette pur opponendomi? Da chi sarò rappresentato?

 

È impossibile camminare insieme

se prima non c’è accordo, se non c’è

la condivisione di una meta comune:

“Due uomini camminano forse insieme,

se prima non si sono accordati?”

(Am 3:3)

 

Pensiamo di poterci fidare di un collega e di intraprendere un’attività insieme? Non voglio emettere verdetti, ma stimolare una riflessione seria. Le persone sovente sono instabili, mutevoli. Appena si presenta l’occasione, sono pronte a percorrere le strade dell’inganno, della menzogna, del compromesso. Al verificarsi di tale evenienza, il credente sarà tentato di assecondare il socio non credente per non pregiudicare l’attività insieme.

 

Che ne sarà della franchezza

che ci dovrebbe caratterizzare

come discepoli di Cristo

(Eb 10:35)?

 

Dio ci ammaestra, e fa anche di più. Se avvertiamo il peso della difficoltà di qualche scelta, possiamo deporlo ai suoi piedi, e se qualche pericolo è già diventato per noi un’occasione di caduta, abbiamo la possibilità di trovare il suo perdono e di ricominciare il cammino.