Anche nel nostro Paese, così come in molte realtà del mondo, il servizio svolto da Associazioni di volontariato e dalle cosiddette ONG (Organizzazioni Non Governative) è essenziale e, in certi contesti, indispensabile per andare incontro con interventi di aiuto e di soccorso a persone o ad intere popolazioni che vivono momenti di particolare difficoltà. Cosa succederebbe in Italia se fermassero le loro attività le varie Misericordie, AVIS, Croce Rossa, Croce Bianca, Croce Verde e via dicendo? E quali ulteriori drammatici disagi dovrebbero affrontare le migliaia di persone in fuga dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione politica e religiosa, se di colpo cessassero le loro attività organizzazioni come ‘Medici senza frontiere’, ‘Emergency’, ‘Save the Children’? La nostra epoca è sempre più impregnata di umanesimo, di esaltazione dell’uomo e delle sue capacità di fare del bene. A livello politico e religioso si dà un grande valore al volontariato, inteso come “attività di aiuto e di sostegno, svolta non a scopo di lucro, ma con motivazioni di altruismo, di generosità e più genericamente di interesse per gli altri”. Davanti a questo quadro, come non rimanere sorpresi e sconvolti dall’affermazione dell’apostolo Paolo, ripresa da un antico Salmo: “Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno!” (Ro 3:12)? Ma, vogliamo scherzare? Come è possibile sostenere in modo categorico che non c’è nessuno che faccia del bene? Neppure i tanti uomini e le tante donne che sono impegnati, giorno e notte, a curare e a salvare vite umane in pericolo? Quando certe affermazioni della Parola di Dio ci sconcertano e ci appaiono in netto contrasto con la realtà, dobbiamo non soltanto accettarle, ma anche cercare di comprenderle. Paolo stava insegnando ai credenti di Roma (e lo Spirito Santo, attraverso di lui, sta insegnando a noi oggi) che “il giusto per fede vivrà” (Ro 1:17). Stava insegnando cioè che anche l’attività più generosa e più lodevole compiuta dall’uomo non sarà mai in grado di renderlo giusto davanti a Dio, di liberarlo cioè dalla condizione di peccato che tanto male provoca in lui e intorno a lui. Dio ci ricorda che “tutta la nostra giustizia è come un abito sporco” (Is 64:6). Dedicarsi con tutte le nostre forze ad aiutare e a soccorrere il prossimo susciterà sentimenti di riconoscenza e di stima da parte degli altri, forse anche di autocompiacimento, ma non ci aiuterà per nulla a risolvere il nostro problema con la giustizia di Dio. Il solo mezzo per essere salvati, per essere dichiarati giusti e per ricevere il dono della vita eterna non è costituito dalla nostra “bontà”, ma dall’accettare per fede quello che Gesù ha fatto per noi alla Croce:
“…tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Ro 3:23-24).
Penso con tristezza al motto con il quale le Misericordie d’Italia ringraziano chi in qualche modo abbia contribuito alle loro attività: “Dio te ne renda merito!”. In parole povere: “Hai fatto qualcosa di buono, ora Dio ti ricompenserà”. Vi è dietro la logica umana e religiosa del “do ut des”, cioè del “ti do con lo scopo di ricevere da te un contraccambio”. Ma Dio è Amore proprio perché non ci chiede nulla in cambio; la sua Giustizia è stata totalmente soddisfatta da Gesù sulla Croce (“È compiuto”). Paolo ci ricorda: “È per grazia che siete stati salvati… Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Ef 2:8-9). La vera bontà è quindi quella che scaturisce dalla logica divina della Grazia: noi non dobbiamo dare per ricevere, ma dobbiamo dare perché abbiamo già ricevuto. Infatti in Cristo possiamo diventare creature nuove e “fare le buone opere che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Ef 2:10).