Tutti missionari
“Com’egli saliva sulla barca, l’uomo che era stato indemoniato lo pregava di poter stare con lui. Gesù non glielo permise, ma gli disse: «Va’ a casa tua dai tuoi e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te». Ed egli se ne andò e cominciò a proclamare nella Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatte per lui. E tutti si meravigliavano”
(Marco 5: 18-20)
Gesù ordina ad un uomo che voleva seguirlo di restare nel proprio ambiente d’origine, lì dove quest’uomo viveva. Molte volte mi sono chiesto cosa vuol dire essere un vero missionario.
Ci possono essere vari modi come Gesù chiama una persona: per esempio a diverse persone ha detto
“Lascia tutto e seguimi”.
Oppure, come in questo caso, dice
“Va’ in mezzo ai tuoi e racconta ciò che Dio ha fatto per te”.
Che differenza c’è tra “lascia tutto e seguimi” oppure “va’ in mezzo ai tuoi e racconta ciò che Dio ha fatto per te”? C’è una missione di serie A e una di serie B? Che differenza c’è se io parto per un paese lontano e sperduto oppure se vivo in una città europea svolgendo una vita apparentemente simile agli altri? Qual è il nostro compito come missionari per Gesù?
Secondo la Bibbia ogni credente è missionario, visto che Gesù ha detto:
“Andate e fate discepoli”.
Ma… torniamo al racconto di Marco. Un uomo, posseduto da molti demoni, aveva ricevuto guarigione da Gesù. La vicenda si svolge nella regione dei Geraseni, che si trovava sulla riva sud-orientale del lago di Tiberiade, in un territorio chiamato Decapoli, che vuol dire letteralmente “dieci città”, perché inizialmente questo territorio di Israele era nato dall’alleanza politico-commerciale di dieci città. A seguito delle conquiste di Alessandro Magno, in questa zona si erano insediati gruppi di coloni greci. Con l’arrivo dell’Impero Romano in questo territorio continuavano a vivere Greci ed Ebrei. Furono proprio le legioni romane a portarsi dietro i maia-
li, che divennero poi fonte di guadagno come tante altre cose per tutti. Alla fine si era raggiunto nella Decapoli un equilibrio tra le due popolazioni giudea e greca, che convivevano avendo scambi e relazioni commerciali reciproci. Il maiale era un animale impuro e abominevole per la legge rituale ebraica, ma questo sembrava non disturbare molto i Giudei che convivevano in quella regione con la gente di cultura ellenistica. Anche da questa regione, subito dopo l’inizio della predicazione pubblica di Gesù, molta gente partiva per accorrere a lui e cercare guarigione, luce, conforto (vedi Matteo 4:23-25).
Dopo la guarigione dell’indemoniato Gesù torna volutamente nel centro della Decapoli (Marco 7); ricordiamo che anche i miracoli delle moltiplicazioni dei pani sono avvenuti in questa regione. Quindi si tratta di un territorio dove Gesù non ha fatto mancare la sua presenza.
È in questo tipo di ambiente, caratterizzato da un miscuglio etnico, culturale e religioso, che l’uomo guarito da Gesù è chiamato a dare la sua testimonianza, a raccontare di Gesù e di ciò che aveva fatto per lui.
Essere luce per vivere
in modo straordinario!
Quest’uomo guarito obbedisce a Gesù e va a raccontare le grandi cose che il Signore aveva fatte per lui. Qual è la reazione di chi lo ascolta? “Tutti si meravigliavano”, così ci dice il testo. Questo vuol dire che i suoi racconti erano una testimonianza autentica di una vita completamente trasformata. Questo ha un riscontro pratico anche per ogni credente oggi. In ogni persona che ha accolto Gesù nel cuore è avvenuto un cambiamento, la sua vita cambia. Se la testimonianza è autentica, verace, se l’atteggiamento non è solo un parlare pio e preconfezionato di chi ha abbracciato una nuova filosofia o religione, allora questo lascerà un segno in chi sta intorno.
È possibile che ci sarà gente che si farà beffe o sarà ostile, ma tanti daranno gloria a Dio per quello che vedono. Infatti Gesù diceva:
“se hanno perseguitato me,
perseguiteranno anche voi”,
ma diceva anche:
“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché
vedano le vostre buone opere
e glorifichino il Padre vostro
che è nei cieli”
(Mt 5:16)
Cosa vuol dire allora essere un vero missionario? Ecco la risposta: far risplendere la luce, che il Signore ha messo in noi davanti a tutti gli uomini che hanno bisogno di Dio e della sua salvezza. Gesù chiama alcuni discepoli ad andare, altri a restare. In entrambi i casi però siamo chiamati a far risplendere questa luce, ovunque siamo.
Che effetto fa, se io parlo parlo e parlo di Gesù, ma la gente vede in me semplicemente un uomo dall’atteggiamento pio, impegnato in cose religiose ma nella pratica non vede niente di che? Si meraviglierà di Dio? Sarà stimolata a cercare Dio? Se io parlo di Gesù, ma sono affannato e appesantito come gli altri, se sgomito come gli altri, se i miei scopi principali della vita non si distinguono gran che da quelli degli altri, se le mie reazioni, il mio parlare, la mia attitudine di vita non si distingue gran che da quella di chi ho intorno, cosa vedrà la gente in me?
Magari le persone sanno che sono una persona che fa parte di una certa chiesa, che si impegna a fare certe cose, in un certo senso sono ‘catalogato’. Essere catalogati in questo modo spesso nel mondo non crea grossi stupori, si è uno dei tanti che crede o che è convinto di qualcosa, ma finisce lì. Tanti dicono:
“È bello e importante credere
in qualcosa, essere impegnati.
L’importante è credere in qualcosa
ed esserne convinti”.
Ma è questa la luce che dobbiamo far risplendere di fronte agli uomini? È questo ciò a cui Gesù ci chiama? No, ecco che deve avvenire qualcosa di veramente diverso. Deve avvenire che noi ci comportiamo da vera luce. Dobbiamo chiedere ogni giorno al Signore di metterci in grado di compiere quelle azioni straordinarie che lui ha preparato per noi; non intendo ‘straordinarie’ nel senso di grandiose dal punto di vista fisico o materiale, bensì ‘straordinarie’ nel senso di ciò che l’essere umano non rigenerato da Dio non può fare.
Nel sermone sul monte disse Gesù:
“Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?
E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?”
Se la mia vita non si distingue dallo standard comune, cosa sto facendo di straordinario? E questo è un problema. Non basta avere dei buoni principi o una sana religione: il mio standard deve essere ben più alto.
Gesù ci dà tanti esempi delle azioni che lui intende come straordinarie: annunciare il suo nome, amare i nostri nemici, benedire coloro che ci maledicono, pregare per coloro che ci perseguitano, porgere l’altra guancia, fare due miglia con chi ci chiede di farne uno, dare anche la tunica a chi ci fa causa per toglierci il mantello. E molte altre. Nel loro insieme ci insegnano che dobbiamo mettere da parte il nostro amor proprio e orgoglio e compiere qualcosa che va al di là dei limiti carnali. Un figlio di Dio, una persona che ha accolto Dio nel proprio cuore, non si trova più limitato come lo era prima senza Dio. I limiti carnali possono manifestarsi ancora, ma non ci dominano più. Chi domina è l’amore di Dio. Amare un nemico ci sembra una cosa impossibile, eppure che difficoltà abbiamo già solo ad amare per esempio una persona che non ha atteggiamenti troppo amichevoli nei nostri confronti o che semplicemente non ci sta troppo simpatica? E come possiamo pregare per queste persone? Ma è proprio questo che Gesù vuole da noi!
Missionari… restando!
L’indemoniato è stato guarito, ha raccontato tra i suoi le grandi cose che il Signore aveva fatto per lui, e tutti si meravigliavano. La stessa cosa deve avvenire con noi. Il Signore non mi chiama semplicemente a convincere o indottrinare gli altri, perché questo sarebbe una pura propaganda. Il Signore vuole che, tramite quello che lui ha fatto per noi e col nostro esempio di vita, le persone che stanno intorno a me possano lodarlo e andare a lui. La nostra testimonianza avviene mediante le parole, ma anche con una vita autentica. L’uomo guarito ha mostrato le grandi cose che il Signore aveva fatto per lui. E tutti si meravigliavano.
In questa storia troviamo due tipi di testimonianze: la testimonianza dell’uomo guarito e la testimonianza dei guardiani dei porci, che avevano assistito alla guarigione.
I guardiani dei porci che hanno assistito a tutta la scena corrono in città e chiamano gente per venire a vedere. Questa gente arriva e vede la persona guarita e forse i cadaveri dei porci in acqua. Il racconto dei guardiani non causa meraviglia, bensì paura e rifiuto. Non sappiamo esattamente cos’hanno detto, ma non doveva essere sicuramente una testimonianza positiva: un pazzo che prima urla, poi la legione, e poi i porci che impazziscono. La perdita economica è grande, 2000 porci, tutto va in rovina in pochi secondi. Lì per lì questo deve aver causato parecchio fastidio e rabbia. E poi come poteva un uomo, che non si poteva frenare neanche con le catene, ora essere vestito e sano di mente? Per questo motivo la prima reazione nei confronti di Gesù è di paura e rifiuto.
Vediamo invece la reazione della stessa gente a seguito della testimonianza autentica della persona guarita. L’uomo guarito è tornato tra i suoi, come Gesù gli ha comandato. E l’uomo guarito ha testimoniato loro di Dio. È scritto che tutti si sono meravigliati, questa meraviglia esprimeva gloria a Dio e voglia di conoscere veramente questo Gesù. E infatti Gesù sarebbe tornato in seguito nel cuore della Decapoli.
Nonostante il primo rifiuto da parte dei Gadareni, Gesù ritorna: aveva lasciato lì un suo discepolo per raccontare le grandi cose che Dio fa. Ecco un tipo di missionario: un uomo la cui vita è stata cambiata riceve il comando di rimanere lì tra i suoi e raccontare le grandi cose che Dio ha fatte per lui. L’uomo ha ubbidito e Dio è stato glorificato.
La stessa cosa deve anche avvenire per ciascuna persona che è stata trasformata da Dio. Se Dio ha fatte grandi cose per noi, se ha cambiato la nostra vita, questo dobbiamo testimoniare a chi è intorno a noi. Dobbiamo raccontare cosa Dio ha operato in noi, come Dio ha avuto pietà di noi. Se Dio non ci chiama ad andare lontano o a servirlo a tempo pieno, ciò non vuol dire che la nostra missione sia minore. Gesù ci chiama a testimoniare lì dove viviamo, dove lavoriamo, con le parole e soprattutto con ciò che dimostra la realtà di queste parole: integrità, rettitudine, fuggire il male in ogni sua possibile forma.
L’ex-indemoniato voleva seguire Gesù, ma Gesù gli ha ordinato: “Va’ in mezzo ai tuoi”. La stessa gente che, a seguito della testimonianza dei guardiani dei porci aveva rifiutato Gesù, ha glorificato Dio per mezzo delle parole dell’uomo guarito.
Il mondo, anche quando non è totalmente perso nella malvagità, è disilluso, cinico, pensa che non valga la pena pensare e fare il bene, ormai è convinto e rassegnato che il bene non esista, e neanche Dio. E si lascia andare. Se Dio ha fatto grandi cose nella nostra vita, abbiamo tutto a disposizione per andare e parlare di Dio e delle grandi cose che egli ha fatto per noi. Possiamo mostrarlo chiaramente e concretamente. E ci vuole ubbidienza. Inoltre molto spesso la testimonianza costa, certe scelte costano. Ma pensiamo alle parole di Gesù:
“Se amate solo quelli che vi amano, se salutate (avete relazioni) solo con quelli che vi salutano,
cosa fate di straordinario?
Non teologi, ma testimoni semplici e genuini
Non voglio certo dire che la teologia o la dottrina non servano a niente, tutt’altro. Ma da sole non bastano. Cosa deve raccontare ognuno di noi riguardo il suo rapporto con Dio? Sicuramente quello che era prima e quello che ora invece è. Senza questo cambiamento personale la dottrina serve a poco. Se non siamo in grado di prendere coscienza e testimoniare ciò che Gesù ha veramente fatto per noi, di come ha avuto pietà di noi, se non è successo veramente un dietrofront nella nostra vita per cui siamo stati beneficiari della pietà di Dio, di cosa si potrebbe meravigliare il mondo intorno a noi? La teologia e la dottrina si imparano, ma una testimonianza imparata non ha l’impatto di una testimonianza basata sul vissuto. La teologia si impara, e va bene, ma la vera conoscenza di Dio va oltre. La vera realtà della teologia viene fuori da come parliamo e agiamo.
Il parlare è importante ma non siamo chiamati a diventare i moralisti di turno o polemizzare con tutte le cose che nel mondo o nel nostro ambiente non vanno; quando arriva il momento è possibile che possiamo testimoniare con rispetto quello che c’è in noi.
Mi piace ricordare la testimonianza dell’uo-
mo nato cieco e poi guarito perché spiega chiaramente cosa vuol dire la realtà dell’azione di Gesù in una persona (Gv 9:29-34).
I farisei in teoria sapevano tutto della Legge e di Dio, ma il loro cuore era talmente indurito che ignoravano l’evidenza: il nato cieco ci vedeva. Quest’uomo guarito non era un teologo, ma ha potuto dire in tutta chiarezza:
“Questo poi è strano: che voi
non sappiate di dove sia;
eppure mi ha aperto gli occhi!
Si sa che Dio non esaudisce
i peccatori; ma se uno è pio e fa
la volontà di Dio, egli lo esaudisce”.
Questo vale anche per la nostra testimonianza di cristiani. La teologia, la dottrina sono importanti, ma esse non portano di per sé la gente intorno a noi a glorificare Dio. Ma se mostriamo di avere pace e gioia nel Signore, queste verranno fuori, in maniera semplice come leggiamo nelle parole del cieco guarito: “Ero cieco, ora ci vedo! Se uno fa la volontà di Dio, Dio lo esaudisce!”. Se la nostra vita non contiene questa semplicità e genuinità, se non abbiamo il coraggio di ammettere e mostrare ciò che eravamo e ciò che ora siamo, di raccontare che Dio ha avuto pietà di noi, saremo solo come uomini del mondo che semplicemente parlano di religione, niente di più.
Confessare al mondo quello che Dio ha fatto nella nostra vita in alcuni casi può avere dei rischi. Nel caso del cieco guarito, la sua genuinità ha avuto un prezzo: è stato cacciato fuori dalla sinagoga.
Il nostro compito è essere autentici, obbedienti e di parlare. Quello che sarà il nostro cammino sarà il Signore a stabilirlo: potremo essere missionari lontani o tra la nostra gente, rifiutati o accettati.
“Va’ a casa tua dai tuoi, e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te”.
La fede non è solo trovare un qualcosa in cui credere oppure una filosofia utile a spiegare ciò che altrimenti sarebbe inspiegabile, come per esempio la morte e il senso della vita. La vita non ci potrà mai dare spiegazioni sufficienti se non ci affidiamo a Dio. L’amore di Dio porta oltre questo limite, e l’ha testimoniato tramite l’amore di Cristo che ha vissuto, che ci ha amato, è morto e risorto per noi. E Gesù ci chiama a essere suoi collaboratori nel far conoscere questa univoca realtà che è eterna e non si ferma a livello terreno.
Non accontentiamoci di essere catalogati come religiosi, come persone che fanno o non fanno certe cose, come quelli tra i tanti che hanno trovato qualcosa, non importa cosa o quale dio in cui credere per dare un senso alla vita. Tutto questo non salva nessuno e non apre le porte dell’eternità a nessuno.
Gesù ha detto:
“Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se
non per mezzo di me”
(Gv 14:6)
ma non ha imposto queste parole con violenza e costrizione, lo ha mostrato con la sua vita. Eppure oggi questa affermazione suona intollerante in un mondo fintamente tollerante. Chi è intorno a noi ha bisogno di confrontarsi con questa verità che Gesù ci mette davanti e vedere le grandi cose che il Signore ha fatte nella nostra vita e che è pronto a fare per ogni uomo che si rivolge al suo trono di grazia, di misericordia e d’amore.
Il territorio della Decapoli, come detto all’inizio, era un misto di cultura e religioni. Il mondo di oggi non è diverso. È in questo miscuglio e mancanza di ogni certezza o punto fermo che il credente è chiamato a testimoniare la verità del Vangelo. Usciamo dal nostro guscio di paure e di affanni della vita. Mostriamo chiaramente quello che il Signore ha fatto per noi e come ha avuto pietà di noi.