Sol A Fede
Introduzione
Post tenebras lux
“Luce dopo le tenebre”.
Queste parole sintetizzano la forza motrice della Riforma che confluirà poi nei cinque “Sola” che stiamo esaminando. Le tenebre cui si riferisce la Riforma sono l’eclisse del Vangelo durante il tardo medioevo. Si era arrivati al momento peggiore del graduale offuscamento del Vangelo, e la luce della dottri-
na del Nuovo Testamento della giustificazione per “Sola Fede” era quasi completamente spenta. La chiesa, già in passato, aveva dovuto affrontare delle forti crisi, soprattutto nel 4° e 5° secolo, quando era stata messa in discussione la natura stessa di Cristo. Ma nessuna disputa dottrinale è stata mai così fortemente contestata, con conseguenze anche a lungo termine, come quella della giustificazione. Gli studiosi descrivono la “giustificazione per sola fede” come la “causa materiale” della Riforma. Il punto in questione era: In che modo la grazia Dio diventa efficace e giustifica? Fu la risposta a questa domanda che portò alla più grave spaccatura che la storia della chiesa abbia mai sperimentato.
Dunque il principio di “Sola fede” è strettamente legato a quello di “Sola grazia”, infatti la grazia mediante la fede, per Lutero, è un principio unico sul quale si regge la chiesa.
La fede non è il credere fermamente in concetti, dogmi o assunti in base alla sola convinzione personale o alla sola autorità di chi ha enunciato tali concetti. Questa è la tipica risposta religiosa ed è anche quella della dottrina cattolica.
La vera fede si presenta come “sì umano” alla Parola di Dio, in quanto questo assenso è reso possibile dalla stessa Parola nella potenza dello Spirito Santo. La fede, quindi, è il luogo esistenziale nel quale la grazia viene accolta: questo è il significato essenziale di questo principio basilare della Riforma.https://www.ilcristiano.it/2017/08/01/sola-fede
Giustificati per fede
Quando affiggeva le 95 tesi, il 31 ottobre del 1517 sulla porta della chiesa di Ognissanti a Wittenberg, Lutero era già in possesso di quelle intuizioni su cui avrebbe costruito il suo programma di Riforma. Al centro c’era la dottrina della “giustificazione per sola fede”, pertanto è importante capire che cosa ciò significhi. Il concetto di giustificazione lo abbiamo già esaminato con il principio di “Sola grazia”, cioè Dio dà gratuitamente al peccatore ciò di cui ha bisogno per essere giustificato, includendo il perdono e la riconciliazione. Ma cosa si intende per “Sola fede?”. Lutero risponde da monaco agostiniano:
“
Non significa che la persona che ha peccato sia giustificata perché crede, cioè a motivo della sua fede, in tal caso infatti la fede sarebbe un’azione o un’opera umana meritoria, una condizione per la giustificazione”
(M. Lutero, Il monaco ribelle di Marco Benati, pag. 77).
Tale idea della giustificazione però non lo soddisfaceva: la riscoperta di Lutero consiste nel riconoscere che è Dio a fornire tutto ciò che è necessario per la giustificazione, di modo che ciò che rimane da fare per il peccatore è semplicemente riceverla. Nella giustificazione Dio è attivo, gli esseri umani sono passivi. L’espressione paolina:
“è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò
non viene da voi; è il dono di Dio”
(Ef 2:8)
esprime più chiaramente il senso di questa dottrina. La giustificazione del peccatore si fonda sulla grazia ed è ricevuta per mezzo della fede. Secondo Lutero Dio offre e dà, uomini e donne ricevono e se ne rallegrano.
La dottrina della giustificazione per sola fede afferma che Dio fa tutto quanto è necessario per la salvezza. La fede stessa è un dono di Dio e non dipende da alcuna opera umana, se c’è un’opera umana è sola quella di “credere e far agire la fede”. Pertanto la giustizia di Dio non è una giustizia che giudica se rispondiamo o no alle condizioni per essere giustificati, ma è la
“giustizia che ci è data affinché possiamo rispondere a quelle condizioni”
(A. McGrath, Iustitia Dei, vol. 2°, pp. 10-20).
Molti critici di Lutero considerarono scandalosa questa idea. Sembrava insinuare che Dio disprezzi la morale, non abbia interesse per le buone opere. Lutero fu identificato come ‘antinomista’, cioè come colui che non lascia alcun posto alla legge (greco: nomos) nella vita religiosa. In realtà Lutero diceva semplicemente che le opere non sono la causa della giustificazione, ma il risultato. In altre parole, considera le opere come il risultato del fatto di esser stati giustificati, anziché come la causa di quella giustificazione. Il credente opera nell’ambito della grazia e dopo averla ricevuta come atto di riconoscenza a Dio che lo ha perdonato e non come un tentativo di ottenere il perdono di Dio. È la morale della gratuità e non del calcolo!
Come è arrivato Lutero alla riscoperta del principio di “Sola fede”?
Stranamente egli usò i metodi della Teologia Scolastica per liberarsi dalla sua matrice scolastica. Il metodo in questione è dato dal modo di interpretare la Scrittura, molto diffuso nel medioevo e noto come quadriga, cioè “quadruplice significato della Scrittura”. Questo metodo permetteva di identificare quattro significati diversi:
1. Senso letterale.
2. Senso allegorico.
3. Senso tropologico.
4. Senso anagogico.
Lutero si concentra soprattutto sul primo e sul terzo, riuscendo a conquistare quella sua particolare intuizione della giustizia di Dio.
Nel senso letterale la giustizia di Dio non può riferirsi che alla punizione del peccatore, ma nel senso tropologico (interpretazione come fonte di indicazioni etiche per i cristiani) si riferisce al conferimento della giustizia di Dio che si esercita come giustizia donata, quindi intesa in modo dinamico come ‘dono’ che, tuttavia, non può essere separato dal ‘donatore’.
La giustizia donata non diventa mai possesso dell’essere umano, ma resta legata all’azione di Dio, come dice anche Paolo:
“di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede”
(Fl 3:9)
Dunque secondo la Riforma, Dio dona una giustizia che non solo non può diventare “propria” dell’essere umano, ma anzi ne è l’esatto contrario:
“ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio”
(Ro 10:3)
La giustizia propria dell’essere umano è quella in base alle opere, cioè derivante da ciò che fa, ed è “propria” in quanto l’opera determina la qualità di chi la compie. Allo stesso modo la giustizia di Dio qualifica l’identità di Dio, ma in quanto relazionale, essa è comunicata all’essere umano come Iustitia aliena (giustizia “altra”). In questo consiste la giustificazione, nel fatto che Dio comunica, dona all’uomo una giustizia che non è propria dell’uomo. Lo spazio esistenziale e teologico nel quale la giustizia di Dio diviene giustizia donata all’uomo è costituito dalla fede.
La fede che giustifica
Per i Riformatori, il principio di “Sola fede” significa la giustificazione in virtù di Cristo e della sua giustizia. “Sola fede” dichiara, pertanto, che il fondamento della nostra giustificazione è soltanto la giustizia di Cristo. Una delle controversie con la chiesa di Roma furono le cause strumentali della giustificazione. Infatti la chiesa cattolica riteneva che ce ne fossero due:
1. il sacramento del battesimo;
2. il sacramento della penitenza.
La giustificazione avviene sì per fede, ma si riceve dai e mediante i sacramenti, questi sono i mezzi per i quali si riceve la grazia giustificante.
La Riforma risponde con la formula “giustificazione per sola fede”, dove la preposizione semplice “per”, coglie l’idea e comunica la nozione che la causa strumentale della giustificazione è per fede e non per i sacramenti. La fede è lo strumento per mezzo del quale siamo legati a Cristo e riceviamo la grazia della giustificazione.
Lutero non fu l’unico a ritenere la giustificazione per sola fede di così singolare importanza. Anche Giovanni Calvino vi attribuiva grande rilievo:
“
La giustificazione per fede è la dottrina della religione cristiana, affinché ognuno metta maggior impegno e diligenza per conoscerne il contenuto”
(Istituzione della Religione cristiana, 2° vol.).
I Riformatori non considerarono il problema solo come fondamentale, ma anche come sistematico. Ciò che ebbe inizio con una disputa sulle indulgenze, si allargò ben presto a molte altre questioni, e questo indica il carattere sistematico del problema. La chiesa di Roma e i Riformatori non si trovarono in disaccordo sulla semantica o su punti di dottrina tecnici. Piuttosto il conflitto era e rimane di carattere sistematico. Le dispute sul ruolo dei sacramenti, su Maria, sulla Messa, sul purgatorio, sull’autorità papale non possono essere separate dal dottrina biblica di “Sola fede”.
La domanda che si pone ora è: quale fede giustifica? La risposta di Lutero è molto chiara: la fede che salva non è una fede morta, ma viva. Durante la Riforma emerse una definizione triplice della fede che salva:
1. Conoscenza.
2. Assenso.
3. Fiducia.
1. Sebbene la fede non sia identica alla “conoscenza”, non è sprovvista di conoscenza.
La fede che salva non si verifica in uno stato di vuoto intellettuale, cioè non è l’ignoranza o la superstizione che si spacciano per fede. Vi è una differenza cruciale tra la fede autentica e la credulità popolare. Il Nuovo Testamento non è ignaro del potere seduttivo dell’ignoranza: “Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano” (At 17:30). La conoscenza ha a che fare con il contenuto della fede che ha un soggetto chiaro e razionale: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17:3). Ciò che crediamo ha delle conseguenze eterne.
2. Il secondo elemento della fede che salva è il “consenso” che implica la sicurezza o la convinzione della veridicità di una determinata affermazione. Quando diciamo di credere in Dio intendiamo confermare la veridicità di tale affermazione. Nel mondo religioso c’è una grande confusione su questo punto. La decisione di credere è considerata spesso come una virtù spirituale, mentre in realtà è un tentativo perverso di manipolazione. Dire a un cieco che può vedere, quando in realtà non può farlo, è insensato. La fede che salva implica un consenso a ciò che è vero e non a ciò che è falso: “perché essi stessi raccontano quale sia stata la nostra venuta fra voi, e come vi siete convertiti dagl’idoli a Dio per servire il Dio vivente e vero” (1Te 1:9).
3. Il terzo elemento della fede che salva è la “fiducia”. Senza questo ultimo elemento i primi due sono inutili. I demoni furono i primi a riconoscere la vera identità di Gesù: “Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, si gettavano davanti a lui e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio»!” (Mr 3:11). Avevano la conoscenza e l’assenso alla veridicità dell’affermazione. Tuttavia non avevano la fede che salva, perché mancava loro l’elemento della fiducia che salva. Perciò sono pertinenti le parole di Giacomo: “Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano” (2:19). Giacomo sottolinea che conoscenza e assenso non garantiscono la salvezza, danno alla persona soltanto i requisiti per essere un demone. Dunque conoscenza, assenso e fiducia sono le uniche condizioni da cui si sprigiona la fede che salva.
Al centro dell’evento della fede dunque c’è l’azione di Dio in Gesù Cristo. Questa non smentisce i tre elementi basilari della comprensione che la Riforma ha della fede. Credere significa porre ogni fiducia nell’ascolto della Parola che viene da Dio e che afferma che io sono perdonato, indipendentemente da quello che vedo e sento riguardo a me stesso. La fede accetta che Dio operi in Gesù Cristo per grazia soltanto, detto in altre parole: accetta con fiducia che Dio sia Dio. Dunque la giustificazione per “Sola fede” coincide con la persona di Cristo e il suo messaggio, cioè il Vangelo, la buona notizia.
Lutero capì, dunque, che tutti i suoi sforzi che aveva fatto da monaco per essere giustificato da Dio, cioè i digiuni, le preghiere, le veglie, erano stati inutili perché bastava solo la fede per ottenere la giustificazione. Dio aiuta miracolosamente il peccatore a ottenere la propria giustificazione. Il Dio del Vangelo non è un giudice inflessibile che ricompensa individualmente ciascuno secondo i suoi meriti, ma un Dio misericordioso e benevolo che dà ai peccatori qualcosa che essi non avrebbero mai potuto avere con i propri sforzi: la grazia e la fede in Cristo. Perciò il cristiano deve fissare “lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta” (Eb 12:12).
Il giusto vivrà per fede
Non solo il peccatore è giustificato o dichiarato giusto per fede, ma gli è anche richiesto di vivere per fede. Quando viviamo per fede, viviamo in una completa dipendenza da Dio. Come ci siamo rivolti a Lui per ottenere il perdono dei nostri peccati, così ora dobbiamo guardare a lui affinché egli soddisfi i nostri bisogni spirituali, materiali e fisici. Nessuno è stato mai salvato dai suoi tentativi. L’uomo è salvato quando crede che Dio compie per lui quello che egli non potrebbe mai fare da solo. Citando il profeta Abacuc, Paolo ha riassunto cosa significa essere un cristiano: “Il giusto vivrà per fede” (Ro 1:17). In questa semplice affermazione comprendiamo la differenza che c’è tra la religione e la fede che ha il potere di trasformare la vita.
La fede, dunque, è qualcosa di più che credere. È una fiducia completa in Dio accompagnata dall’azione. È qualcosa di più che desiderare. È qualcosa di più che restare semplicemente distesi ed esprimere il nostro assenso mediante un cenno del capo. Quando diciamo che “il giusto vivrà per fede”, vogliamo dire che la fede ci guida e ci dirige. Agiamo in modo coerente con la nostra fede, spinti non da un senso di ubbidienza superficiale, ma da un amore convinto e sincero per il nostro Dio e per la saggezza inestimabile che Egli ha rivelato su di noi.
Il “giusto vivrà per fede” significa che la giustificazione è legata alla “Sola fede” e quindi al vangelo stesso. La buona notizia del Nuovo Testamento comprende non solo l’annuncio della persona di Cristo e della sua opera a nostro favore, ma anche una dichiarazione di come i benefici dell’opera di Cristo vengono appropriati dal, nel e per il credente. L’insistenza di Lutero sulla “Sola fede” si basa sulla convinzione che la giustificazione è parte essenziale del Vangelo stesso e necessaria alla salvezza. Poiché il Vangelo sta al cuore della fede cristiana, Lutero e gli altri Riformatori ritennero che il dibattito sulla giustificazione per fede riguardasse una verità essenziale del cristianesimo, una dottrina non meno essenziale delle altre. Senza il Vangelo la chiesa crolla, anzi senza il Vangelo la chiesa non è più tale.
Pertanto la logica dei Riformatori fu la seguente:
F La giustificazione per sola fede è essenziale al Vangelo.
F Il Vangelo è essenziale al cristianesimo e alla salvezza.
F Il Vangelo è essenziale affinché una chiesa sia autentica.
F Rifiutare la giustificazione per sola fede significa rifiutare il Vangelo, quindi crollare come chiesa.
Naturalmente la chiesa di Roma non solo rifiutò il principio di “Sola fede”, ma lo condannò, perciò i Riformatori conclusero che essa condannava se stessa, cessando di essere una vera chiesa. Questo determinò la creazione di nuove denominazioni che cercarono di vivere il cristianesimo biblico e di costituirsi come chiese autentiche, come continuazione della chiesa apostolica, che non significava la successione apostolica tramite il “ministero petrino”, ma la predicazione fedele del Vangelo. Qualunque chiesa predicasse fedelmente le verità del Vangelo era la continuazione storica della chiesa apostolica.
La Riforma con il principio di “Sola fede” cercò di rimuovere quell’eclissi della chiesa del medioevo in modo che la luce del Vangelo potesse tornare a brillare in piena lucentezza ed essere vista con chiarezza. La vita della chiesa “Protestante” nel 16° secolo non fu perfetta, ma il risveglio di fede in quel periodo è un fatto accertato, che attesta la “potenza del vangelo per la salvezza di chiunque crede” (Ro 1:16).
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