Sol A Fede
La dottrina della giustificazione per fede dopo Lutero
Abbiamo detto, nella prima parte di quest’articolo (vedi IL CRISTIANO n. 8/agosto 2017; pagg. 358-363), che la dottrina della giustificazione per fede fu la causa materiale della Riforma, cioè la questione reale e centrale del dibattito. Fu questa dottrina che 500 anni fa portò a una spaccatura della Chiesa.
Come è possibile che una disputa su un’unica dottrina abbia causato una divisione e tante ostilità? Noi sappiamo come la pensava Lutero riguardo a questa controversia:
considerò la grazia mediante la fede, il principio unico con e per il quale la Chiesa si regge, e senza il quale la Chiesa cade.
Alla Dieta di Worms (1521), il conflitto tra Lutero e la chiesa di Roma divenne sempre più aspro. All’improvviso i punti in discussione proliferarono e andarono al di là della sola questione delle indulgenze, concentrandosi principalmente sulla questione della giustificazione per fede. Lutero giunse alla conclusione che il cardine principale della controversia era la “Sola fede”. Ecco cosa disse a riguardo (1):
“L’articolo della giustificazione è maestro, capo, signore, guida e giudice su ogni genere di dottrine; preserva e determina ogni dottrina ecclesiastica ed eleva la nostra coscienza al cospetto di Dio. Senza questo articolo, il mondo è solo morte e tenebre”.
Convocato per ritrattare le sue tesi, Lutero parlò davanti all’assemblea ma, invece di negare, difese la sua riforma del cristianesimo. Da precisare che un anno prima, precisamente il 15 giugno 1520, Leone X aveva emanato la bolla “Exsurge Domine” con la quale dava a Lutero sessanta giorni di tempo per ritrattare, pena la scomunica. Per tutta risposta Lutero, il 10 dicembre 1520, diede pubblicamente fuoco ai suoi volumi di diritto canonico, nonché alla stessa bolla papale. Alla fine della Dieta fu emanato l’Editto di Worms (fine maggio 1521), con il quale Lutero veniva posto al bando, era definito un eretico, un fuorilegge e un nemico della Chiesa, chiunque poteva ucciderlo sicuro dell’approvazione dell’autorità civile e religiosa.
Perché rinfrescare questi eventi storici della Riforma? Perché pare che a distanza di 500 anni Lutero non sia più un eretico, un fuorilegge e un nemico della Chiesa.
La città di Augusta (tedesco: Augsburg) ha dato il nome alla Confessione Augustana, una sintesi della fede riformata proclamata ufficialmente il 25 giugno 1530, scritta da Melantone (amico personale di Lutero) con l’intento di mostrare che quanto i riformatori insegnavano era conforme alla Scrittura. I cattolici non accettarono quella Confessione, anzi risposero il 3 agosto con una Confutazione della Confessione Augustana.
Alla firma che i cattolici hanno rifiutato di mettere 500 anni fa alla Confessione Augustana, sta in parallelo la firma che i rappresentati della chiesa di Roma, assieme ai rappresentanti della Federazione Luterana mondiale, hanno messo ad Augusta il 31 ottobre 1999 alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. Dichiarazione congiunta perché i firmatari, che rappresentavano Cattolici e Luterani, accettavano la dottrina della giustificazione, a motivo della quale il concilio di Trento (che era durato ben 18 anni dal 1545 al 1563) aveva lanciato la scomunica a Lutero e ai suoi seguaci. La Dichiarazione congiunta affronta lo spinoso problema che fu la causa di scomunica a Lutero: cioè, cosa rende giusto l’uomo peccatore: la grazia di Dio (“Sola grazia” e “So-
la fede” di Lutero) o la grazia e le buone opere
(I meriti umani secondo la chiesa di Roma)?
Le affermazioni centrali del testo di consenso sono:
“Insieme confessiamo che soltanto per grazia e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, e non in base ai nostri meriti, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere”.
I due punti del contenzioso, fede e opere, sono risolti con le espressioni: diventiamo giusti “per grazia e nella fede”, lo Spirito “ci chiama a compiere le buone opere”. Sulla base di tale consenso (su verità fondamentali della dottrina della giustificazione) l’insegnamento delle Chiese luterane, presentato in questa Dichiarazione, non è colpito dalle condanne del concilio di Trento. Le condanne delle Confessioni luterane non colpiscono l’insegnamento della chiesa cattolica romana così come esso è presentato in questa Dichiarazione. Vengono dichiarate inesistenti le scomuniche per l’attuale coscienza dottrinale delle chiese.
Il 27 giugno 2016, Papa Bergoglio ha affermato a sua volta: “Oggi protestanti e cattolici siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto così importante Lutero non si era sbagliato”. Eppure fu proprio questa questione della giustificazione che vide in opposizione Lutero e i teologi romani e che occupò una buona parte dei lavori del Concilio di Trento.
Se “Lutero non si era sbagliato”, allora è Roma e il Concilio che si sono sbagliati?
La questione si baserebbe solo su un malinteso ormai chiarito? E Lutero sarebbe di colpo “uno dei più grandi geni religiosi di tutti i tempi” come dichiarava il cardinale Congar a Jean Puyo nel 1975?
Lutero “tradito” dai… luterani?!?
Purtroppo non è affatto così! Anche se la Dichiarazione congiunta, tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale circa la dottrina della giustificazione, rappresenta un progresso notevole nella mutua comprensione e nell’avvicinamento delle parti in dialogo, la chiesa cattolica ritiene tuttavia che non si possa ancora parlare di un consenso tale che elimini ogni differenza fra i cattolici e i luterani nella comprensione della giustificazione. La stessa Dichiarazione fa riferimento ad alcune di queste differenze. In realtà in alcuni punti le posizioni sono ancora divergenti.
Le difficoltà più grandi per poter affermare un consenso totale tra le parti sul tema della giustificazione si riscontrano nel paragrafo 4.4 “L’essere peccatore del giustificato”. Pur tenendo conto delle differenze, in sé legittime, risultanti da approcci teologici diversi al dato di fede, già il titolo suscita perplessità. Secondo la dottrina della chiesa cattolica nel battesimo viene tolto tutto ciò che è veramente peccato, e perciò Dio non odia niente in quelli che sono nati di nuovo. Ne consegue che la concupiscenza che rimane nel battezzato non è propriamente peccato. Pertanto nella Dichiarazione viene affermato che il peccatore “è del tutto giusto, poiché Dio, attraverso la Parola e il sacramento, gli perdona i peccati e gli accorda la giustizia di Cristo” (4.29).
Inoltre nella Dichiarazione si legge che la chiesa cattolica sostiene che le buone opere del giustificato sono sempre frutto della grazia. Ma allo stesso tempo, e senza nulla togliere alla totale iniziativa divina, esse sono frutto dell’uomo giustificato e trasformato interiormente. Perciò si può dire che la vita eterna è, allo stesso tempo, sia grazia che ricompensa data da Dio per le buone opere e i meriti (4.29). Un gioco di parole che solo un lettore attento non può non rilevare. A questo punto è logico domandarsi:
1.Se la giustificazione è per fede, senza meriti e senza condizioni, che ruolo possono avere ancora l’indulgenza, i giubilei, l’assoluzione dei peccati e i sacramenti, il ministero petrino e sacerdotale?
2. Essere d’accordo sulla giustificazione gratuita, immeritata e incondizionata del peccatore da un lato, e dall’altro non sedersi insieme alla mensa dei peccatori perdonati (l’eucaristia) è una incongruenza che non potrà durare a lungo. In effetti pur avendo firmato la Dichiarazione congiunta, la dottrina della chiesa di Roma non è mai cambiata, piuttosto è la chiesa Luterana che ha tradito le battaglie e le aspettative di Lutero.
La storia conferma che, date le eresie contro i princìpi della fede cattolica, Lutero è stato dichiarato eretico dalla chiesa di Roma, la quale crede di detenere il deposito della vera fede. Che dialogo e che intese si possono avere allora con chi da sempre è stato dichiarato eretico?
Lutero ha sostenuto con forza “Sola grazia” e “Sola fede”, mentre Roma sostiene anche la necessità dei sacramenti e delle buone opere.
Lutero sosteneva che “chiunque è illuminato da Dio può sviluppare una conoscenza completa ed esatta delle Scritture attraverso la grazia divina” (“Sola Scrittura”), mentre Roma sostiene che è l’insegnamento della chiesa (il magistero) che aiuta il cristiano nel discernimento della Parola di Dio. Nessuno è nato maestro e nessuno può aver la presunzione di prendere in mano la Parola di Dio.
Lutero ha difeso il “sacerdozio universale dei credenti”, essendoci un contatto diretto tra Dio e gli uomini tutti possono essere sacerdoti, anche le donne, mentre Roma sostiene il clero, un ruolo distinto dal semplice credente e applicato esclusivamente agli uomini che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine.
Lutero ha contestato l’infallibilità papale vedendo nel papa l’anti-Cristo, mentre Roma sostiene che il papa, in virtù dell’autorità che gli è stata conferita da Gesù Cristo, può confermare una dottrina, una verità di fede o di morale contenuta nella Bibbia che merita particolare attenzione, quando parla ex cathedra.
La chiesa luterana ogni 31 ottobre festeggia l’anniversario della Riforma, ma quest’anno i festeggiamenti saranno grandiosi in quanto la Riforma compie 500 anni. Ma cosa c’è da festeggiare? Cosa possono festeggiare insieme Luterani e Cattolici? Cosa c’è da festeggiare se Lutero cinquecento anni fa ha descritto come un “usurpatore”, addirittura come un “anticristo” il papa? Allora la Riforma protestante fu un caso di molto rumore per nulla? Frutto di un equivoco?
E, soprattutto, Lutero avrebbe firmato questa dichiarazione congiunta con la chiesa cattolica?
“Sola fede” senza opere?
In generale la posizione cattolica è caratterizzata come la “giustificazione per opere”, in riferimento a Giacomo, mentre la posizione riformata come la “giustificazione per fede”, in riferimento a Paolo. Non solo si è voluto creare un conflitto inesistente tra Giacomo e Paolo, ma in generale si tende a concludere che la chiesa di Roma non è interessata alla fede e che i Riformatori non sono interessati alle opere. In verità è un falso problema.
Lutero insisteva sul fatto che la fede che giustifica è una fede viva che porta il frutto delle opere. La giustificazione è per “Sola fede”, ma questa fede non è mai “solitaria”. I tre termini legati alla salvezza (fede, opere, giustificazione) sono presenti sia nella chiesa cattolica che in quella riformata ma con una differenza nell’ordine:
Posizione cattolica: |
Fede + Opere à Giustificazione |
Posizione riformata: |
Fede è Giustificazione + Opere |
Nella formula di Roma le opere sono una precondizione necessaria per ottenere la giustificazione, nella posizione Riformata, invece, le opere sono un frutto necessario della giustificazione.
Il concilio di Trento non esitò a condannare la posizione protestante:
“Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata davanti a Dio con le buone opere, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento, sia anatema” (2).
Calvino fece sentire la sua voce dicendo che Roma non capisce né la natura del concetto biblico della giustificazione, né la sua causa. Non si trattava dunque di un semplice malinteso, le due parti erano coinvolte in un conflitto inconciliabile tra posizioni incompatibili, riguardanti la natura e la causa della giustificazione.
Rifiutando il principio di “Sola fede” della Riforma, la chiesa di Roma contestò l’uso del termine “Sola”. Certo la giustificazione è per fede, ma non per sola fede.
La posizione di Roma si basava su due constatazioni:
1.La parola “sola” non si trova nel Nuovo Testamento quando si parla di giustificazione.
2. Secondo Giacomo ripudia in modo specifico la giustificazione per sola fede: “Dunque vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto” (2:24).
La prima obiezione fu risolta senza tanti problemi, la Scrittura afferma come un peccatore può essere salvato, anche se il vocabolo “sola” non è espresso.
La seconda obiezione, in riferimento a Giacomo e in particolare alla sua dichiarazione di 2:24, fu più problematica. Infatti sembra essere una dichiarazione, almeno a prima vista, in netta contraddizione con quanto insegnato da Paolo. Il problema è reso ancora più complesso da un’altra dichiarazione precedente di Giacomo: “Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare?” (2:21). Lutero, pur convinto che la fede che salva è una fede viva, si trovò molto in difficoltà davanti alla lettera di Giacomo. Nella sua introduzione alla Bibbia, pubblicata a Wittemberg nel 1552, la definisce una “lettera di paglia”, cioè di poco conto e inconsistente, sia perché priva di cristologia, sia perché si pone in apparente rotta di collisione con Paolo circa la questione, sentita e vissuta da Lutero, della dottrina della giustificazione.
Resta il fatto che Giacomo afferma che l’uomo è giustificato per opere e non per fede soltanto. Complica ulteriormente il problema il fatto che sia Paolo che Giacomo si rifanno al patriarca Abramo per sostenere le loro tesi. Paolo sostiene che Abramo fu giustificato, quando (Genesi 16) credette a Dio, mentre Giacomo sostiene che Abramo fu giustificato quando (Genesi 22), offrì Isacco sull’altare. Entrambi si rifanno ad Abramo, ma per ragioni diverse e in momenti differenti della sua vita, usano le stesse parole greche per fede e giustificare. Resta il problema: quando usano questi termini stanno esponendo lo stesso concetto?
Paolo e Giacomo non stanno affrontando lo stesso problema. Paolo è interessato alla questione teologica della fede, come un peccatore possa essere giustificato davanti a Dio. Giacomo invece è interessato alla questione pratica della fede, come un peccatore possa dimostrare di essere giustificato: “mostrami la fede”. Giacomo fa capire che la sola professione di fede non porta alla salvezza, perché una professione di fede che non produce opere non giova a nulla. Egli infatti sta rispondendo alla domanda: “Di che genere è la fede che salva?”, e chiede specificamente: “Questo genere di fede può salvarlo?”. La risposta è ovviamente no! Una fede priva di opere non solo è morta, ma è una fede che non salva. Se la fede fosse in grado di salvare chi la possiede, allora anche i demòni sarebbero salvati perché, come precisa Giacomo, credono in Dio e tremano (2:19). Se la fede salvasse, allora tutti i religiosi che hanno una fede sarebbero automaticamente salvati; ma dato che la Scrittura afferma che non è sufficiente avere solo fede per ottenere la salvezza, la fede di conseguenza non salva; dato che chi salva non è la fede, ma il soggetto nel quale è riposta la fede: Cristo. Non c’è disaccordo su questo punto tra Paolo, Giacomo e i Riformatori.
Prima di tutto, la fede non è una unità assoluta, ma una unità composta. Per capire la differenza basti pesare alla pagina e al libro: la pagina è una unità assoluta, mentre il libro è una unità composta. Così, la fede per essere tale non è solo conoscenza, assenso e fiducia, ma deve essere composta anche di opere. Se la fede che salva è un’unità composta, diventa evidente che essa, per essere efficace, debba contenere le opere; non perché queste salvino, ma perché sono semplicemente la componente della vera fede.
“Ogni dichiarazione o professione di fede che non si esprime in una vita fruttifera, è una falsa dichiarazione” (3).
E il capitolo 11 della lettera agli Ebrei è la conferma di questa affermazione: al principio “per fede”, segue un verbo di azione:
“Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio… Per fede Noè preparò un’arca… Per fede Abraamo ubbidì, offrì Isacco… Per fede attraversarono il mar Rosso su terra asciutta…”.
Inoltre, a livello umano, il credente mostra una vera fede per mezzo di azioni visibili. La Scrittura ci ricorda che: “ogni albero si riconosce dal proprio frutto” (Lu 6:44), dunque noi riconosciamo il credente dai suoi frutti, ma anche che vediamo l’apparenza, mentre Dio ha la capacità di leggere il cuore (1Sa 16:7). Quindi per sapere se nel cuore è presente una fede autentica, Dio non ha bisogno di osservare le azioni esterne. Le nostre opere “giustificano” agli occhi degli uomini che osservano la nostra dichiarazione di fede. Tale “giustificazione” per Dio non è necessaria.
Conclusione
Il principio di “Sola fede” della Riforma si può sintetizzare in questo modo:
“Solo la fede giustifica, ma la fede che giustifica non può mai essere da sola” (4).
La fede salvifica deriva da Dio e non dalle opere compiute. Essa non è una virtù dell’uomo, non è un atteggiamento meritorio di ricompensa, la fede è la scoperta di Dio, è l’accettazione della sua grazia. Lutero in questo modo sgombera il campo da ogni possibile dubbio sulla reale conversione dell’uomo. Il vero cristiano, colui che accetta Dio come sua guida, non accetta Dio per averne un guadagno (la fede non dà ricompense), l’uomo accetta Cristo per vivere nella gioia del suo messaggio.
L’uomo è sia peccatore che giusto (simul iustus et peccator), vive allo stesso tempo la condizione di peccatore e di salvato da Cristo, questo equilibrio tra peccato e fede nella salvezza è il significato ultimo della condizione umana. Secondo Lutero la salvezza dipende solo dalla fede cieca in Dio che perdona e rende giusto l’uomo, indipendentemente dalle opere che questo compie.
Siamo dunque salvati non per nostra iniziativa, ma per l’iniziativa di Dio, non per le nostre buone opere o meriti presunti, ma per la grazia e l’amore di Dio, non perché siamo stati giusti, ma perché Dio ci rende partecipe della giustizia di Cristo. La giustificazione si attua concretamente in una persona già nel momento in cui crede, cioè quando pone la sua fiducia in Cristo e nell’amore di Dio. Le opere dell’uomo vengono dopo, perché certamente la fede cambia l’uomo, mettendolo in una relazione nuova con Dio e quindi con il mondo. I riformatori, riprendendo Agostino, definirono il peccatore come “uomo incurvato su se stesso”, quindi come uomo che, basando la sua esistenza sul proprio io e sulle proprie capacità, rimane chiuso nel riferimento a se stesso. Le opere non sono condizione per la giustificazione, ma sono frutto di essa. Ma fu proprio questo il principio che ha prodotto la più grande spaccatura nella storia della Chiesa: la fede operante giustifica, anche se le opere non sono la base della fede che ha invece come unico e incrollabile fondamento la Parola di Dio, la sua promessa di salvezza, cioè il vangelo della giustificazione del peccatore per sola grazia.
(1) Martin Luther, What Luther Says: An Anthology, ed. Ewald M. Plass, 3 vol. St Luois: Concordia, 1959, 2:7014 n. 5.
(2) Decisioni dei Concili Ecumenici, a cura di Giuseppe Alberigo, pag. 555.
(3) Samuele Negri, Commentario alla lettera di Giacomo, MBG, pagg. 70-71.
(4) Battista Mondin, Storia della teologia: Epoca moderna, vol. III, pag. 218.