Dio e uomo
Quando dunque Gesù seppe che i farisei avevano udito che egli faceva e battezzava più discepoli di Giovanni (sebbene non fosse Gesù che battezzava, ma i suoi discepoli), lasciò la Giudea e se ne andò di nuovo in Galilea. Ora doveva passare per la Samaria. Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe; là c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del cammino, stava così a sedere presso il pozzo. Era circa l’ora sesta” (Gv 4:1-6).
Prima di parlare di questo incontro, Giovanni ci offre un importante quadro storico-geografico, quasi volesse sottolineare che ciò che sta raccontando non è frutto della sua fantasia, ma un fatto realmente accaduto: non dobbiamo mai dimenticare che la fede cristiana è intrecciata alla realtà storica e non è avulsa da essa. L’incontro è avvenuto vicino a un pozzo posto in un terreno acquistato dal patriarca Giacobbe (Ge 33:19). Al tempo del nostro episodio, come del resto ancora oggi, questo luogo è oggetto di venerazione da parte dei Giudei. Il luogo si trova ai piedi del monte Garizim e il suo attuale nome è Djebel et-Tur, dove tuttora i Samaritani offrono il loro sacrificio pasquale.
Dopo il lungo e faticoso cammino Gesù stanco si riposa vicino al pozzo (i discepoli se ne erano andati a comprare del cibo). Questa nota dell’evangelista ha una sua ragione: sappiamo che in tutto il suo scritto Giovanni presenta Gesù come il Figlio di Dio e questa sua insistenza potrebbe portare il lettore a dimenticarsi che egli era anche un uomo; la nota sulla sua stanchezza e sulla sua sete ce lo ricorda. È l’ora sesta, ossia mezzogiorno. Gesù e i discepoli avevano camminato, probabilmente, per circa sei ore. C’era, infatti, l’usanza di partire all’alba quando dovevano intraprendere dei viaggi di una certa lunghezza.
L’incontro e il dialogo
“Una Samaritana venne ad attingere l’acqua. Gesù le disse: «Dammi da bere». (Infatti i suoi discepoli erano andati in città a comprar da mangiare). La Samaritana allora gli disse: «Come mai tu che sei Giudeo chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». Infatti i Giudei non hanno relazioni con i Samaritani”
(Gv 4:7-9)
Mentre Gesù si stava riposando arriva una donna per attingere l’acqua: era una Samaritana. Il dialogo tra Gesù e la donna parte proprio da una sua richiesta che suscita una reazione della donna stupita e imbarazzata. La domanda della donna nasce dal rilievo di una triste realtà: il problematico rapporto tra i Giudei e i Samaritani. Oltre l’odio, frutto della storia passata[1], tra i due popoli c’era il disprezzo razziale a causa del fatto che essi erano considerati una razza mista; inoltre erano considerati degli eretici e degli scismatici. Eretici perché accettavano solo l’autorità del Pentateuco e rifiutavano gli altri libri che compongono la Bibbia ebraica. Scismatici perché avevano costruito un loro personale luogo sacro sul Garizim, diverso da quello dei Giudei (il tempio a Gerusalemme), dove presentavano i sacrifici al Signore[2]. Inoltre questa donna non sembra essere stata uno “stinco di santo”: aveva avuto cinque mariti e ora aveva una relazione con un uomo senza essere sposata. Oltre a tutto ciò occorre aggiungere l’esistenza di una legge che proibiva a un uomo (soprattutto se un rabbi) di parlare da solo con una donna in pubblico (credo che tra gli Ebrei ortodossi esista ancora questa regola).
Ancora una volta il Maestro scandalizza i benpensanti e supera tutti gli steccati eretti dagli uomini: rivolge la parola a una persona che aveva il triplice “difetto” di essere donna, concubina e Samaritana.
Prima parte del dialogo: un’acqua diversa
Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: ‘Dammi da bere’, tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva”. La donna gli disse: “Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo; da dove avresti dunque quest’acqua viva? Sei tu più grande di Giacobbe, nostro padre, che ci diede questo pozzo e ne bevve egli stesso con i suoi figli e il suo bestiame?” Gesù le rispose: “Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. La donna gli disse: “Signore, dammi di quest’acqua, affinché io non abbia più sete e non venga più fin qui ad attingere”
(Gv. 4:10-15)
Non c’è dubbio che Gesù in quel momento abbia bisogno di bere, ma c’è qualcosa di più urgente da fare, parlare con la donna di cose che vanno oltre il proprio bisogno. Il dialogo, poi, si fa così serrato che a un certo punto la donna lascia la secchia e torna nel suo paese ad annunciare ciò che le era successo.
L’urgenza di parlare di cose spirituali fa sì che Gesù sposti subito il discorso su un piano superiore: “Se tu conoscessi…”. La donna, un po’ impertinente, ricorda a Gesù quale fosse la relazione tra Giudei e i Samaritani, perché ignora il fatto che egli non è un normale Giudeo. Gesù è sicuramente ebreo, ma non appartiene al popolo ebraico in esclusiva: Gesù è di tutti, è per tutti. Nel dialogo che segue c’è proprio questa idea, enfatizzata con forza.
Gesù apre un discorso che alla donna appare strano: i due sono su due piani diversi. Ma è già successo qualcosa: “Giacobbe, nostro padre”. La donna, pur essendo ancora su un piano diverso da quello di Gesù, ha fatto un primo passo: riconosce l’origine comune. Chi gli è di fronte non è uno straniero, né tanto meno un nemico: è addirittura un “fratello”. Se ogni uomo riconoscesse l’origine comune! Se riconoscesse che in Adamo siamo tutti “fratelli”… Piuttosto capita di evidenziare le differenze: razziali, sessuali, culturali, campanilistiche. Siamo così bravi a differenziarci. Una cosa che caratterizza tutte le sètte: si sentono assolutamente diversi da tutti gli altri, gli unici depositari della verità, gli unici ad aver capito tutto.
La donna è ancora confusa. Gesù vuole portarla su un piano superiore, ma lei è saldamente ancorata a ciò che conosce, alla sua realtà vissuta. In modo provocatorio pone una domanda a Gesù con la quale lo accusa, anche se velatamente, di presunzione: “Sei tu più grande di Giacobbe?”. Tramite quale sortilegio tu potresti attingere l’acqua senza l’ausilio di un secchio? Mi sembra di scorgere un sorriso beffardo sul volto della donna. Il suo discorso assomiglia stranamente a quello di Nicodemo, anche se tra i due c’è un abisso, dal punto di vista sociale.
Profondamente diversi, ma con una reazione molto simile. C’è un insegnamento da cogliere: di fronte alle cose di Dio siamo tutti ignoranti e se non intervenisse la sua grazia che illumina la nostra mente, rimarremmo tutti in questa ignoranza. È come se la nostra mente fosse tarata solo per le cose legate alla nostra realtà ancorata alla dimensione tempo-spazio: aldilà di questo ambito occorre l’intervento di Dio.
Gesù non raccoglie la provocazione e continua il suo discorso, ma sempre per immagini. Egli parla di un’acqua strana, che toglie la sete definitivamente. Anzi, non solo toglie l’arsura, ma fa diventare fonte la stessa persona che la beve. Quest’acqua è diversa ed è per una sete diversa. Ancora la donna non sa cogliere l’aspetto simbolico del discorso di Gesù (eppure è piuttosto evidente) e continua a rimanere con i piedi in terra: rifiuta di spiccare il salto che la porterà su un piano superiore. Gesù, però, non demorde; nel suo discorso sono presenti tre affermazioni.
- (v. 13) L’uomo non può essere mai completamente soddisfatto se si ferma sul piano fisico; egli è un essere che possiede una componente spirituale e come tale ha bisogno di cose che trascendono il piano fisico. Dante ci ricorda:
“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
- (v. 14) C’è un’acqua diversa, che può veramente dissetare e questa può darla solo Gesù. L’uomo è generalmente insoddisfatto e, a causa di questa insoddisfazione, è spesso aggressivo, violento o abbattuto e problematico (le dipendenze varie, droga, alcool, fumo, sono spesso frutto di questa insoddisfazione).
Un vero, profondo appagamento si trova solo in Cristo! Tante altre cose soddisfano nella vita, ma sono passeggere e superficiali: Cristo è colui che rimane lo stesso nel tempo e così è la soddisfazione prodotta dalla comunione con lui. Quante circostanze negative deve attraversare il credente, ma il senso di pace prodotto dal fatto che Gesù ci ha dato la sua acqua, può rimanere anche in queste circostanze. Ne abbiamo bisogno, tremendamente bisogno.
- (14b) Chi è soddisfatto può generare soddisfazione; chi è in pace è solitamente un pacificatore; chi ama è di solito amabile; chi vive il senso della grazia diventa una persona graziosa, gentile e chi è benedetto diventa fonte di benedizione. Anzi, possiamo sapere di essere benedetti nella misura in cui siamo di benedizione.
Seconda parte del discorso: dove e come adorare?
“Gesù le disse: «Va’ a chiamar tuo marito e vieni qua». La donna gli rispose: «Non ho marito». E Gesù: «Hai detto bene: Non ho marito; perché hai avuto cinque mariti; e quello che hai ora, non è tuo marito; in questo hai detto la verità». La donna gli disse: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che a Gerusalemme è il luogo dove bisogna adorare». Gesù le disse: «Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità». La donna gli disse: «Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annunzierà ogni cosa». Gesù le disse: «Sono io, io che ti parlo!»” (Gv 4:16-26).
Gesù taglia corto, vuole arrivare al punto cruciale; per questo motivo fa alla donna una domanda che ha lo scopo di “stanarla”: “Va’ a chiamare tuo marito”. Sembra, a prima vista, una domanda banale, che non c’entra niente con il discorso che stavano facendo: che cosa c’entra il marito della donna con l’acqua di cui stavano parlando? Penso che Gesù abbia dato, più di una volta, ai suoi interlocutori, l’impressione di essere un po’ “strano”. È evidente, però, che con i suoi repentini cambi di argomento, egli vuole portare il discorso su un piano che va ben al di là delle solite banalità, legate alle piccole cose della vita. Gesù non è il tipo di persona descritta da questa poesia di cui cito il finale:
Col cervello in tasca
e il cuore tra i rifiuti,
si lanciano parole
per non restare muti.
Quando parlava con la gente del suo tempo, Gesù sicuramente non aveva né il cervello in tasca né il cuore tra i rifiuti: la sua mente scrutava nei recessi dell’anima dei suoi interlocutori e il suo cuore era aperto per accogliere le loro istanze, i loro dubbi, i loro interrogativi. Cinque matrimoni interrotti (per quale motivo? Non si sa!) e una convivenza non erano un problema da poco. Ora la donna comprende che quello strano Giudeo non è una normale persona: “Signore, vedo che tu sei un profeta”.
C’era un problema che angustiava la donna: chi aveva ragione? I Samaritani o i Giudei? Probabilmente per lei non era solo un problema di ordine teologico, ma comprendeva anche il contorno fatto di rivalità, odio, disprezzo. Tutto questo condito con una salsa religiosa, tutto questo fatto in nome di Dio. Quante guerre fatte in nome di Dio!
“Tu che sei profeta, dammi una risposta”. La risposta arriva, puntuale, precisa, sconvolgente: in questa troviamo cinque preziosi elementi.
- L’opera salvifica di Dio si è incarnata nella storia di un popolo e non è vaga, fumosa. È attraverso il percorso storico d’Israele che il Signore si rivela e attua il suo progetto. Gesù, ebreo, è la parte conclusiva di questa storia e le Sacre Scritture sono il racconto di questa. Per la mentalità post-moderna, la risposta di Gesù non sarebbe politicamente corretta: troppo diretta, troppo di parte e non tiene conto della sensibilità religiosa della donna. “La salvezza viene dai Giudei”: voi Samaritani state sbagliando! I Giudei avevano sicuramente una conoscenza più ampia di Dio, perché i Samaritani, come abbiamo già detto, accettavano come rivelati solo i libri del Pentateuco. E non c’è dubbio che il Salvatore del mondo fosse un Ebreo. La verità aveva per Gesù (e per noi) un valore maggiore del politicamente corretto.
- “L’ora viene, anzi è già venuta”. Oggi, nell’era inaugurata da Gesù Cristo, il luogo ha un valore assolutamente relativo. Anzi, la religione stessa non ha più senso (vedi l’incontro di Gesù con Nicodemo): la religiosità fatta di luoghi, di riti e di elementi esteriori ha fatto il suo corso. Ora è un tempo diverso che tiene conto di ciò che è la natura essenziale di Dio. Gesù non contrappone il Tempio di Gerusalemme a quello del monte Garizim, ma afferma che ora né l’uno né l’altro hanno valore. Il valore del tempio di Garizim forse non c’è mai stato, ma ora non ha più valore nemmeno quello di Gerusalemme. La storia si ferma e ricomincia da capo: prima di Cristo, dopo Cristo.
- “Dio è Spirito”. È forse una nuova rivelazione? No, sappiamo benissimo che gli Ebrei non pensavano a Dio come un essere avente un corpo, una fisicità (i cenni che troviamo sulle mani, occhi, orecchie ecc. di Dio, sono degli evidenti antropomorfismi). L’espressione, però, non significa semplicemente che Dio non ha un corpo: egli non è semplicemente incorporeo, ma è di una natura diversa da quella umana, totalmente diversa. Dio è il totalmente Altro.
- “I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori”. Ciò che conosciamo di Dio, condiziona il nostro rapporto con lui e chi lo adora non può non tener conto di ciò che lui è. Parlando di adorazione vera è implicito pensare a un’adorazione falsa. Se la vera adorazione deve essere fatta in spirito e verità, la falsa adorazione è mancante di queste due componenti. Che cosa significa adorare in spirito e verità?
Nel dialogo di Gesù con Nicodemo è detto esplicitamente che solo chi è nato dallo Spirito può “vedere il regno di Dio”, ossia entrare in relazione con il Signore. Più in là, sempre nello stesso vangelo, è affermato che lo Spirito, definito Consolatore, “guiderà in tutta la verità” (16:12-15). Spirito e verità formano un binomio inscindibile. In altre parole Gesù sta dicendo che solo chi è nato di nuovo, per l’azione dello Spirito, può adorare adeguatamente il Signore.
Dove adorare? Chi ha ragione? Gesù, rispondendo alla donna, esorta a non pensare più secondo le vecchie categorie che creano differenze, steccati. La via per l’adorazione è aperta a tutti ed è la via inaugurata da Gesù sulla croce e resa possibile dall’azione dello Spirito.
- “La donna gli disse: «Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annunzierà ogni cosa». Gesù le disse: «Sono io, io che ti parlo!»”. Le parole del Maestro fanno venire in mente alla donna l’atteso Messia. Non sappiamo quanto fosse presente l’attesa messianica tra i Samaritani e neppure quale idea del Messia avessero, dato che avevano escluso tutti quei libri dell’Antico Testamento che hanno alimentato questa attesa e che hanno delineato la figura del Messia (in particolari i libri dei profeti). C’è, in maniera evidente, una nota di dubbio nelle parole della Samaritana; è come se avesse detto: “Noi stiamo attendendo il Messia, non sarai mica tu?”. In maniera esplicita, diretta Gesù risponde: “Sì, sono io”.
Epilogo
Colpita da questa rivelazione, la donna lascia la sua secchia e corre in paese ad annunciare, in forma interrogativa, l’arrivo dell’atteso Messia: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non potrebbe essere lui il Cristo?” (v. 29). Stranamente, pur conoscendo la donna, molte persone accolgono il suo invito e vanno a vedere Gesù. Lo vedono e… credono. Questa donna diventa testimone di Cristo nella Samaria, molto tempo prima dell’arrivo dei discepoli (At 8:1, 5). Ci chiediamo se il successo della predicazione di Filippo, in questa regione, non sia in qualche modo collegabile a questo episodio.
[1] Quando il popolo ebraico tornò a Gerusalemme, sotto la guida di Nehemia, e iniziò a ricostruire le mura della città, i Samaritani, capeggiati da Samballat, si opposero a questa ricostruzione. Questa loro aperta opposizione rimase come una macchia che il tempo non cancellò. C’è, inoltre, da aggiungere, che nel 7 d.C. alcuni Samaritani profanarono il tempio spargendo carogne di animali morti proprio nel luogo santissimo.
[2] C’è da aggiungere che tuttora, i pochi Samaritani rimasti, continuano a offrire sacrifici annuali, mentre gli Ebrei li hanno interrotti nel momento stesso in cui il Tempio fu distrutto, nel 70 d.C.