“C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno di animo lieto? Canti degli inni. C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia. Elia era un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni, e pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia, e la terra produsse il suo frutto”
Giacomo 5:13-18
Pregare è molto più di quel che pensiamo
La Bibbia è il grande libro della preghiera. In essa ci sono numerose istruzioni pratiche sulla preghiera e molti esempi di uomini e donne che hanno pregato efficacemente.
Il cristiano, quando prega, dovrebbe essere animato dal-
lo stesso ardente desiderio di quel discepolo che, rivoltosi a Gesù, chiese:
“Signore, insegnaci a pregare …”
Lu 11:1
Il credente ha un urgente bisogno di imparare la preghiera perché, come ci ricorda l’apostolo Paolo:
“… non sappiamo pregare come si conviene”
Ro 8:26
Ci sono degli aspetti misteriosi nella preghiera che dovrebbero accrescere la nostra passione su questo punto fondamentale della vita cristiana.
Dio conosce ciò che diremo nelle nostre preghiere, eppure vuole che preghiamo e che lo facciamo con perseveranza. Egli può operare al di là delle nostre preghiere, e spesso lo fa, intervenendo negli scenari umani proprio in risposta alla preghiera.
Dio risponde presto alle preghiere dei suoi figli, ma può rispondere anche dopo molto tempo o in modo diverso da quello che avremmo voluto.
Attraverso la preghiera il Signore ci cambia, ci modella, orienta le nostre aspirazioni e le nostre scelte verso questioni più nobili. La preghiera ci rende migliori. C’è dunque molta teologia nella preghiera, molto più di quel che pensiamo. Le parole di Giacomo (Gm 5:13-18) ci aiutano a pregare in condizioni difficili.
Imparare dal fratello del Signore
Giacomo, l’autore dell’omonima lettera, è il fratello del Signore (Mr 6:3). Giacomo è un uomo di preghiera. La sua lettera comincia e si conclude con la preghiera (Gm 1:5-7; 5:13-18).
Egli viene menzionato nove volte nel Nuovo Testamento ed è stato un punto di riferimento per la chiesa di Gerusalemme e per le diverse assemblee di quel tempo (cfr. At 15:13-21). Ci sono almeno quattro grandi ragioni per cui Giacomo ha molto da insegnarci a proposito della preghiera.
- La prima ragione è che la sua conversione è stata una conversione radicale. Per un certo tempo non ha creduto in Gesù (Gv 7:5). Ma in 1Corinzi 15:7 leggiamo che Gesù risorto apparve proprio a Giacomo. La sua vita cambiò radicalmente e in modo visibile, anche se non ne conosciamo i dettagli.
- In secondo luogo, Giacomo ha ricoperto un ruolo di primo piano nel cammino della chiesa della prima ora. Egli veniva reputato con Cefa e Giovanni una colonna nella chiesa (Ga 2:9).
- Terzo: Giacomo conserva l’atteggiamento giusto per essere un ottimo insegnante. Egli si presenta all’inizio del suo scritto come “… servo [lett. schiavo] di Dio e del Signore Gesù Cristo” (Gm 1:1).
- Infine: troviamo una certa affinità fra il suo modo d’insegnare e quello di Gesù. Qualcuno ha contato nella sua lettera ben ventidue riferimenti al Sermone sul Monte. Dunque, vale la pena ascoltare un uomo del genere.
Pregare in ogni circostanza
Mi piace come scrive Giacomo. Le sue riflessioni sono brevi, semplici, pratiche e immediate. Uno studioso ha affermato con arguzia che “… l’Epistola di Giacomo è una raccolta di appunti per sermoni”. Se prendiamo dal verso giusto questa dichiarazione sarà per noi qualcosa di illuminante. I concetti espressi nella lettera di Giacomo meritano di essere approfonditi con gran cura.
Riguardo alla preghiera, senza preamboli e giri di parole inutili, il fratello del Signore dice:
“C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno di animo lieto? Canti degli inni”.
Il cristiano è colui che prega in ogni circostanza. Ci possono essere nello stesso individuo degli stati d’animo completamente diversi. Ma anche nella chiesa la sofferenza e la gioia, a volte, sono strettamente legate fra loro.
Mentre un fratello è alle prese con la sofferenza, una sorella sta vivendo un momento di gioia molto intenso.
L’esortazione della Parola, in questi casi, porta serenità nel cuore di tutti, così come ricorda l’apostolo Paolo:
“Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono”
Ro 12:15
Persino in situazioni così opposte fra loro l’amore altruista è la soluzione migliore per il bene di tutti i credenti.
“C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi”.
La sofferenza può avere molte sfaccettature. Si può soffrire a causa di un malanno fisico, ma si può soffrire anche a motivo di alcuni disturbi psicologici o spirituali. Le sofferenze dell’anima sono in grado di paralizzare anche il corpo, o possono debilitarlo fortemente. Determinate sofferenze demotivano il credente a tal punto da frenarne il cammino e la crescita.
La soluzione propostaci dal fratello del Signore è semplice, non banale: “C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi”.
Ci sono delle situazioni in cui la preghiera rimane per il credente la sola via d’uscita.
La preghiera fiduciosa è l’antitodo che il Signore ha voluto lasciarci per respingere la ribellione o la rassegnazione quando prendono il posto della fede.
La lettera di Giacomo è un severo ed amorevole avvertimento per quelli che soffrono e per quelli che sono nella gioia.
I fratelli sono un aiuto per noi
Non è facile pregare in condizioni difficili. La solitudine può giocare brutti scherzi. Certo, abbiamo il Signore, abbiamo lo Spirito Santo e non è poco tutto questo, ma in determinate circostanze queste verità sembrano aiutarci poco: appaiono distanti, irraggiungibili. Dio sa che può succedere questo ed anche Giacomo lo sa.
Nei versi 14 e 15 si passa a qualcosa di più specifico e, soprattutto, scopriamo che nelle nostre preghiere non siamo soli, possiamo contare sui fratelli:
“C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà…”.
La frase “Chiami gli anziani della chiesa” implica che ci sia in questa richiesta un’urgenza che il lettore dovrebbe saper cogliere, così come deve essere stato per i primi destinatari di questo scritto. Di solito, invece, la nostra attenzione di lettori occidentali viene richiamata dall’unzione fatta con l’olio. Questo non è esegeticamente corretto.
Così facendo corriamo il rischio di perdere di vista ciò che il Signore vuole insegnarci in questo passaggio biblico. Non è sull’olio che dovremmo concentrarci ma sulla preghiera.
In Giacomo 5:13-18 troviamo sette riferimenti chiari alla preghiera, più altre allusioni. Il ruolo della preghiera è l’aspetto predominante di questo insegnamento.
Nel Vangelo di Marco leggiamo che i dodici apostoli mandati in missione da Gesù
“ungevano d’olio molti infermi e li guarivano”
Mr 6:13
L’olio non aveva in sé nulla di magico, ma assumeva un valore simbolico. Era, in altri termini, un segno visibile dell’opera invisibile e soprannaturale del Signore.
Ciò che realmente guariva quegli infermi era la potenza del nome di Gesù Cristo, non l’olio.
Giacomo segue lo stesso principio. Anche se l’olio a volte veniva usato per scopi terapeutici (cfr. Is 1:6; Lu 10:34), è probabile che qui abbia semplicemente un valore simbolico. L’azione degli anziani nei confronti del credente malato prevedeva l’unzione con l’olio – secondo l’uso simbolico del tempo – fatta “… nel nome del Signore”.
Versetto 15, “… la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà” (v. 15). Quel che conta davvero in questa prescrizione biblica è la preghiera. A tal proposito mi piace molto il commento di Alexander Strauch:
“Ciò che Giacomo ci descrive qui è una riunione ufficiale di preghiera al capezzale della persona malata, una riunione in cui gli anziani fungono da rappresentanti ufficiali della chiesa”.
Ricordo anni fa quando una giovane sorella colpita da un male incurabile convocò gli anziani per pregare in suo favore.
Fu un’esperienza profondamente spirituale. Ci sembrò di toccare il cielo con un dito. Ci fu una trasparenza nei pensieri, nelle preghiere e nelle relazioni che portò nei cuori di tutti i presenti tanta gioia e una pace difficile da descrivere con parole umane. L’atteggiamento del credente malato potrebbe essere espresso con parole simili a queste:
“In una condizione di estrema difficoltà vorrei tanto pregare con i fratelli e le sorelle. Non potendolo fare con la chiesa riunita, chiamo gli anziani affinché sia la chiesa stessa ad entrare in casa mia!”.
In quei momenti, per certi versi unici, si viene a creare un clima di forte intensità fraterna e spirituale. Dio rivelerà la sua presenza, indipendentemente se la guarigione avverrà o meno.
Ma che cosa si può dire quando il malato vive in una condizione di peccato? C’è ancora una speranza per lui? Sì, c’è ancora una speranza per lui!
Le parole che Giacomo aggiunge nel suo scritto offrono un’ulteriore possibilità alla nostra questione:
“… se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti”
(vv. 15b-16a)
Non è facile confessare certi peccati nascosti a qualcuno. In questo, i fratelli possono essere un aiuto per noi.
Il cristiano può imparare a pregare in condizioni difficili, anche quando è nella malattia o quando vive nel peccato. In quei momenti non c’è posto per la vergogna, per le critiche e i giudizi, o per la maldicenza. Il malato, il peccatore, gli anziani (anch’essi peccatori – cfr. Gm 3:1-2), tutti si trovano presso un Dio santo che è pronto ad intervenire con grazia. Ed è in questo preciso contesto che prende forma quella bella dichiarazione che spesso amiamo ricordare a noi stessi e agli altri:
“… la preghiera del giusto ha una grande efficacia”
16b
Ma ci pensiamo?
Il credente, il malato, il peccatore, i fratelli riuniti pregano e le loro preghiere giungono al Signore.
Ad avvalorare ulteriormente questa tesi viene riportato un esempio veterotestamentario tratto dai capitoli 17 e 18 del primo libro dei Re. Giacomo dice che il profeta Elia non era diverso da noi: “… era un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni”. Eppure, pregò intensamente più volte e Dio lo esaudì. La preghiera del credente è davvero efficace, anche quando le condizioni sono particolarmente difficili: nella malattia e persino nel peccato, se si affiderà al Signore e ai fratelli con cuore sincero.
Pregare è molto più di quel che siamo
Ci sono degli aspetti della preghiera che rimarranno incomprensibili per noi. Ma sappiamo che la preghiera è stata affidata a gente imperfetta.
Il paradosso è che questi santi imperfetti, i credenti, vengono considerati dal Signore come dei giusti: “… la preghiera del giusto ha una grande efficacia”.
Il Salmo 34:15 conferma questo pensiero con parole incoraggianti e stimolanti:
“Gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti al loro grido”.
È certamente utile promuovere una teologia della preghiera che allarghi i nostri orizzonti, affinché giungiamo ad una comprensione più profonda di questa fondamentale disciplina spirituale.
Ma è ancor più utile imparare a pregare con efficacia dal Signore stesso, così come ci ha insegnato nel cosiddetto “Padre nostro” (Mt 6:9-13) e dalla Parola.
Il testo di Giacomo 5:13-18 contiene un bellissimo esempio di un genere di preghiera spesso trascurato.
Possiamo pregare persino in condizioni particolarmente difficili: nella malattia e nel peccato. L’efficacia di questo modo di pregare dimostra che la preghiera è molto più di ciò che siamo. Essa ci fa vivere gioiosamente e in modo misterioso la grazia abbondante di Dio nella quale restiamo saldi.