Non gli diciamo niente?!?
Oggi nascondere la verità ad un malato è quasi impossibile. La prassi della firma del “consenso informato” ogni volta che ci si sottopone ad una procedura medica o ad un intervento prevede due cose fondamentali: con la firma si dichiara che si è consenzienti, ma anche che il consenso viene dato dopo una adeguata informazione. Questa prassi mira a valorizzare l’autonomia del malato nella scelta di procedure e terapie, che non gli devono essere imposte da terzi.
Nella pratica di tutti i giorni l’informazione al paziente è spesso percepita come una minaccia per lui, specie dai familiari. Di fronte ad una diagnosi di malattia, con una prognosi infausta, che non dà speranza e non lascia scampo, si vuole evitare al malato il tormento di questa verità scomoda. Lo si vuole proteggere dall’idea dell’inevitabilità e della vicinanza della morte
“Non gli diciamo niente…!!”
è spesso la prima reazione dei familiari, e da qui inizia un percorso fatto di lontananza e di tante bugie. La mia grande sorpresa è stata constatare che questo approccio è spesso presente anche tra i credenti. La notizia della “morte imminente” è dura da sopportare sia per il malato che per la famiglia. Tuttavia la morte fa parte della vita e per questo motivo va vissuta pienamente, riconoscendo in essa anche una opportunità e quindi questa verità non va negata né rimossa.
La vicinanza della morte è un momento importante della nostra vita. Ci sono tante cose da mettere a posto, cose materiali, come un patrimonio da dividere, dei debiti da saldare, dei contratti o una ditta da chiudere.
Ma ci sono anche altre cose più importanti da fare per il credente, che non si farebbero mai, se non proprio in quel momento. In un certo senso ci si “deve mettere a posto” con noi stessi e con gli altri per prepararci all’incontro col nostro Signore.
Voglio subito premettere che questo “mettersi a posto” non ha il significato di un’opera meritoria e non aggiunge nulla alla nostra salvezza.
È vero che un credente dovrebbe vivere tutta la vita “a posto col Signore” e questi passi dovrebbero essere quotidiani per ognuno di noi.
La verità però è che non sempre è così, e spesso ci portiamo dietro conflitti, incomprensioni, mancanze d’amore. Ed anche se Paolo insegna che il sole non deve tramontare su queste cose (Ef 4:26), spesso viviamo portando sulle spalle fardelli di cose non chiarite, per tutta la nostra vita. Mettersi a posto almeno all’ultimo momento può alleggerire il peso per chi se ne va e anche il suo ricordo resterà pulito, un esempio da seguire e una testimonianza di vita cristiana. Nel momento della morte si potrà dire veramente che la morte di un credente è preziosa (Sl 116:15) quando non lascia dietro di sé alcuna cosa in sospeso, alcuna macchia che intorpidisce la testimonianza.
Vediamo quindi tre passi importanti.
“Scusami!”…ovvero: cercare la pace
“Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” Romani 12:18
Spesso ci portiamo dietro colpe che non abbiamo mai riconosciuto, a causa del nostro orgoglio, e sappiamo benissimo che dovremmo scusarci per una nostra parola sbagliata, per un nostro comportamento, che hanno fatto del male all’altro, rompendo la pace che dovrebbe unirci.
Davanti alla morte è benefico avere un sentimento di pace con tutti quelli che ci circondano. In primo luogo con i familiari che più di altri possono subire torti nella routine della quotidianità, che forse nemmeno ci accorgiamo di fare. Anche nella chiesa quante parole di troppo diciamo. E poi i nostri giudizi facili, sempre sicuri di farli nel nome di Dio, generano sofferenza ed hanno conseguenze che nemmeno conosciamo.
Ci sono poi i vicini di casa, gli amici, i colleghi di lavoro e tutte le persone con le quali siamo entrati in contatto ed abbiamo condiviso esperienze di vita.
Oggigiorno siamo tutti molto boriosi, prepotenti, imponiamo le nostre idee senza ascoltare gli altri.
Le logiche che fanno funzionare il mondo entrano anche in noi, e senza accorgercene entriamo in competizione con gli altri, dimenticando spesso l’amore che ci dovrebbe distinguere. Bisogna riconoscere i nostri errori, davanti a Dio e davanti agli uomini.
La morte imminente ed il nostro imminente incontro col Signore fanno sì che in questo momento diventa più facile ammettere che non siamo stati perfetti, come pensavamo di essere, e che la santità che talvolta mostravamo, in realtà era un autocompiacimento, col quale abbiamo ferito gli altri e non li abbiamo aiutati in nessun modo.
Solo davanti alla morte diventiamo veramente umili e possiamo vedere chiaramente il nostro vero valore secondo i parametri divini.
“Grazie!”… ovvero: mostrare riconoscenza
“E la pace di Cristo, … regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti”
Colossesi 3:15
I nostri genitori ci hanno dato la vita, ma ancora più hanno dato anni della loro vita per farci diventare adulti. E poi ci sono quelle persone che sono state delle guide importanti nella nostra vita o che ci hanno aiutato materialmente o spiritualmente nei momenti di difficoltà.
Quante cose riceviamo da chi ci sta attorno! Il problema è che la vita è frenetica, non abbiamo o non troviamo tempo e non ce ne accorgiamo nemmeno. Talvolta poi sembra che tutto sia dovuto e siamo sempre molto avari di ringraziamenti sinceri.
Quanti “grazie” non abbiamo mai detto, per la nostra superficialità, ai nostri coniugi, che portano con noi i pesi della famiglia e spesso sono più virtuosi di noi. E poi dovremmo ricordare mille persone, dai colleghi di lavoro ai fratelli della chiesa, dal medico al postino, dagli insegnanti agli amici veri.
Quando diciamo “Io mi sono fatto da solo”, dobbiamo riconoscere che non è vero, e che dobbiamo gratitudine ad una moltitudine di persone. Ma per prima cosa dobbiamo ringraziare Dio che ci ha dato la vita, la famiglia e tutto quello che abbiamo… e poi perché ci ha amati ed ha voluto personalmente provvedere alla nostra salvezza morendo sulla croce.
La morte non deve indurci a sentimenti di risentimento verso Dio, come sono diffusi nel mondo.
“Ti perdono!”… ovvero: offrire la grazia
“…perdonate e vi sarà perdonato” Luca 6:37
Questo è il passo più difficile! Ci aspettiamo il perdono di Dio, e sappiamo bene che lo riceviamo nonostante i nostri sbagli, le nostre difficoltà, la nostra pochezza.
Lo riceviamo in modo gratuito in virtù del suo sangue, della sua morte in croce. Ma noi nella vita siamo invece giustizialisti, perdoniamo poco o niente, figurarsi quando la ragione è anche dalla nostra parte. E così siamo pronti a rovinare rapporti, e perfino le nostre chiese, nel nome della nostra verità, pronti a levare il dito contro i pubblicani e le prostitute, contro chi forse è solo in difficoltà ed ha bisogno di noi. Come il creditore spietato di Matteo 18 non siamo sensibili verso gli altri ai quali vogliamo fare pagare tutto, anche quello che potremmo condonare facilmente.
Quanti rancori portiamo dentro di noi, con la presunzione di avere sempre ragione. Abbiamo chiuso delle porte di comunicazione che, per la nostra caparbietà, non si sono più aperte. Aprire nuovamente quelle porte aiuterà l’altro a riconoscere anche la sue colpe, ed arrivare ad una vera riconciliazione.
Che opportunità abbiamo quando sappiamo che la nostra vita sta per finire. In quel momento siamo piccoli, piccoli, ma grandi allo stesso tempo. Perdiamo l’orgoglio, la presunzione di essere al centro del mondo. Ma anche chi ci sta di fronte prova compassione e sente cadere tutte le corazze di difesa e le armi per ferire. È il preludio per una vera riconciliazione con Dio e con chi ci sta vicino. È un abbraccio purificatore e riparatore.
Cercare la pace, mostrare riconoscenza ed offrire la grazia sono tre passi importanti che possono essere fatti alla fine della nostra vita, come fosse una “zona Cesarini”, un’ultima possibilità per riparare ad atteggiamenti sbagliati, ma al contrario di dare una testimonianza forte a coloro che, vedendo il nostro atteggiamento, possono a loro volta glorificare Dio.
Il ruolo della comunità cristiana
La verità inoltre non va nascosta al credente morente, anche perché apre uno spazio di dialogo veramente profondo tra il malato e chi lo assiste. È lo spazio della preghiera, della consolazione, del portare i pesi.
Morire è una grande fatica non solo per il morente ma anche per coloro (figli, parenti o altri) che assistono. Non si è mai preparati e si vorrebbe sfuggire.
Per questo oggi la morte è delegata alle terapie intensive, o comunque in luoghi lontani dagli occhi, in luoghi freddi, dove si è assistiti da personale anonimo.
La morte di un credente dovrebbe essere un evento “di chiesa” che mette a nudo i veri valori che ci uniscono.
I fratelli dovrebbero essere più presenti “prima” dell’evento per dare sollievo, conforto o anche aiuto pratico.
Il funerale in fondo è solo un fatto “religioso” e formale. Dopo, invece, abbiamo il compito, sempre poco praticato, di aiutare chi resta ad elaborare il lutto, in una prospettiva cristiana.