Scorrendo le pagine delle lettere di Paolo, soprattutto di quelle indirizzate a Assemblee locali, scopriamo che era presente al loro interno uno spirito di litigiosità. Basti ricordare il forte avvertimento rivolto ai Galati: “Ma se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate di non essere consumati gli uni dagli altri” (Ga 5.15); avvertimento preceduto dall’esortazione: “Non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell’amore servite gli uni gli altri” (5:13). L’amore espresso concretamente nel servizio era, per dirla con un richiamo all’attualità, il potente “vaccino” indicato da Paolo per limitare e annullare le conseguenze devastanti provocate dalla tendenza tutta carnale a mordersi e a divorarsi.
Spesso ci riferiamo alle Assemblee cristiane del primo secolo evocandole a modello ideale di quello che dovrebbero essere le chiese locali oggi: nella loro costituzione, nella loro organizzazione, nelle loro attività, nelle loro relazioni interne. È un’evocazione che non dovrebbe mai prescindere dal prendere in considerazione anche i limiti che esse esprimevano nel loro cammino e che gli insegnamenti, le esortazioni, gli avvertimenti degli autori delle lettere apostoliche (di Paolo sopra tutti) cercavano di arginare. Il perseguimento di un ideale infatti lo si può realizzare anche avendo consapevolezza degli ostacoli che ne impediscono il raggiungimento e delle strategie per rimuoverli.
Se è vero che i semi della litigiosità sono ben presenti nella natura di ciascuno di noi, tendenzialmente orientata dal desiderio di affermazione della propria personalità a scapito di quella degli altri, è altrettanto vero che oggi permettiamo che questi semi siano abbondantemente annaffiati dall’esterno. Penso alla deriva relazionale presente in tanti programmi televisivi, dove si discute e si litiga su tutto, dove si ricerca l’affermazione delle proprie idee alzando la voce e gridando a squarciagola per imporsi anche acusticamente sull’altro. Questa deriva della litigiosità trova la sua sublimazione sui social che, ahimé, la amplificano, rendendola universale. Qui le grida trovano la loro espressione nella violenza e nella volgarità di un linguaggio sempre più offensivo e distruttivo. Come i cristiani della Galazia del primo secolo, anche tanti cristiani di oggi si lasciano trascinare da questo devastante modo di vivere le loro relazioni, trasformando in questo modo i social non nell’Areopago della testimonianza cristiana, ma nell’arena dove trova ampio spazio la loro carnalità, che, per altro, ha ripreso ad avere occasione di provocare tanti guasti anche nelle relazioni in presenza.
“Camminare secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne” (Ga 5:16). Purtroppo “i desideri della carne” saranno presenti in noi, fino a quando cammineremo su questa terra, esprimendosi in “inimicizie, discordia, gelosia, ira, contese, divisioni, sétte, invidie” (Ga 5:20). Non illudiamoci: non ce ne libereremo! Ma ricordiamoci che potremo impedire loro di esprimersi, di trasformarsi da desideri in parole, in comportamenti, in azioni. Come? Camminando “secondo lo Spirito” e permettendo allo Spirito di produrre in noi il suo frutto: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Ga 5:22).
Impediamo ai semi della litigiosità di germogliare e di trasformarsi in piante dai frutti velenosi, ma potremo farlo soltanto se nel cammino ci lasceremo guidare dallo Spirito. Facciamo attenzione alle parole che pronunciamo nelle nostre relazioni con gli altri, anche ai toni della voce e alle posture del corpo. Impariamo con umiltà a stimare gli altri più di noi stessi e a non cercare soltanto l’affermazione di noi stessi.
Attraverso l’avvertimento di Paolo il Signore ci indica le conseguenze del mancato ascolto delle sue parole: “essere consumati gli uni dagli altri”. Quante chiese locali e quante opere di servizio si sono consumate o si stanno consumando o si consumeranno per il mancato ascolto di quest’avvertimento! Porgiamo allo Spirito il nostro cuore perché vi inietti, non una o due dosi, ma una dose continua di quell’unico vaccino del quale abbiamo da Cristo piena garanzia di efficacia: come lui ci ha amati, amiamoci gli uni gli altri (cfr. Gv 13:34).