Valore e dignità a ogni donna
Nei cortei femministi spesso si udivano degli slogan che accusavano il cristianesimo di avere relegato le donne a un ruolo subalterno. No, posso dirlo con sicurezza e fermezza: non il cristianesimo, non Cristo, sicuramente una chiesa che ha frainteso il Maestro e i suoi discepoli. Se per femminismo intendiamo il ricupero della dignità della donna, Gesù è stato sicuramente un grande femminista, senza quegli eccessi che conosciamo. Nel pensiero cristiano emerge la figura femminile, indubbiamente diversa dall’uomo, ma con la stessa dignità e valore.
“Vi erano pure delle donne che guardavano da lontano. Tra di loro vi erano anche Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore e di Iose, e Salomè, che lo seguivano e lo servivano da quando egli era in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mr 15:40-41).
“In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunziando la buona notizia del regno di Dio. Con lui vi erano i dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, l’amministratore di Erode; Susanna e molte altre che assistevano Gesù e i dodici con i loro beni” (Lu 8:1-3).
“Ma il primo giorno della settimana, la mattina prestissimo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparati. E trovarono che la pietra era stata rotolata dal sepolcro. Ma quando entrarono non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre se ne stavano perplesse di questo fatto, ecco che apparvero davanti a loro due uomini in vesti risplendenti; tutte impaurite, chinarono il viso a terra; ma quelli dissero loro: “Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò quand’era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare”. Esse si ricordarono delle sue parole. Tornate dal sepolcro, annunziarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri. Quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria, madre di Giacomo, e le altre donne che erano con loro. Quelle parole sembrarono loro un vaneggiare e non prestarono fede alle donne” (Lu 24:1-11).
Per poter parlare del rapporto tra Gesù e le donne, occorre fare qualche premessa: quale idea della donna emerge dalla Sacra Scrittura? In altre parole, qual è il modello di donna che la Parola di Dio indica? Quali sono le differenze dall’uomo e quali le affinità? Come in tanti altri casi occorre andare alle origini, agli albori della storia umana, così come ci è stata presentata dalla Bibbia. Vogliamo dichiarare la nostra totale fiducia in ciò che il libro della Genesi afferma, anche se oggi va di moda pensare che siano tutte delle belle favolette religiose. Cogliamo l’occasione per parlare anche dell’uomo, così come la Parola di Dio lo definisce e della sua relazione con la donna.
L’uomo, maschio e femmina
Leggiamo alcuni passi del libro della Genesi:
“Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (1:27).
“Questo è il libro della genealogia di Adamo. Nel giorno che Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; li creò maschio e femmina, li benedisse e diede loro il nome di “uomo”, nel giorno che furono creati” (5:1-2).
Ciò che sorprende nei versetti citati è il passaggio dal singolare al plurale, definendo sempre lo stesso soggetto: “lo creò … li creò”. Il maschio e la femmina sono due entità distinte, ma insieme formano ciò che il testo definisce uomo. In altre parole l’uomo è sia maschio che femmina: nella nostra lingua è il termine umanità che indica sia l’uomo che la donna. In ebraico i termini per uomo e la donna sono molto simili: ‘ish e ‘ishshá (uomo e tratta-dall’uomo), sottolineando così la somiglianza più che la differenza.
Con la creazione dell’uomo, uso il termine in senso di umanità, appare il verbo ebraico barà, per la terza volta: la prima volta lo troviamo nel v. 1 e la seconda nel v. 21. Con l’uso del verbo creare sono indicate le tre tappe fondamentali dell’atto creativo di Dio. Questo verbo ha, nella lingua ebraica, una connotazione molto forte ed è utilizzato dagli scrittori biblici con parsimonia. Sotto questa forma, il verbo ha sempre come soggetto Dio e non è mai usato per indicare un’opera umana, ma esclusivamente come atto creativo di Dio che fa sorgere una cosa nuova, che porta all’esistenza ciò che prima non c’era. Interessante notare che esso è usato sia quando Dio chiama all’esistenza il mondo e le creature sia quando interviene nella storia con atti che appartengono al progetto redentivo.
L’uomo, perciò, è frutto di un intervento speciale del Creatore su qualcosa di già esistente, “Dio formò l’uomo dalla polvere della terra”, e fa di lui un essere nuovo, che prima non c’era. L’uomo appartiene al mondo creato (non è un dio), ma è distinto da esso (non è un animale).
La donna è l’altro-sé-stesso dell’uomo
Leggiamo attentamente altri due passi dello stesso libro biblico.
“Poi Dio il Signore disse: «Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui»” (2:18).
“Allora Dio il Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo. L’uomo disse: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo” (2:21-23).
L’uomo si trova in una posizione privilegiata rispetto a tutto il resto del creato: egli è il signore vassallo al quale tutto è stato sottoposto. Ma è un signore solo! Dio dichiara la solitudine dell’uomo sebbene tra loro vi sia perfetta armonia. La sua solitudine è la conseguenza dell’essere creatura speciale. Infatti, la Bibbia ci illustra la sostanziale differenza che c’è tra l’uomo e il mondo animale, raccontando la ricerca dell’uomo di un aiuto a lui adatto in questo mondo, ma senza trovarlo.
Nelle parole «non è bene che l’uomo sia solo» c’è un’aperta dichiarazione: l’uomo non è stato concepito dalla mente di Dio per la solitudine; egli è un essere destinato alla comunione: solo nella relazione con l’altro la vita umana raggiunge la sua pienezza. L’uomo non è un’isola, ma è stato creato per vivere nella relazione, sia con Dio sia con gli esseri a lui simili. L’unione di un uomo con una donna, sia fisica che spirituale, è la più alta espressione di comunione, addirittura adottata da Gesù per esemplificare il suo rapporto con la Chiesa. Purtroppo, però, sappiamo che in questa “zona” il diavolo ha lavorato parecchio e oggi sono in pochi ad affermare che il matrimonio è una specie di Paradiso.
La misantropia, ossia l’avversione per gli uomini che si manifesta nel desiderio della solitudine e nel rifiuto dei rapporti umani, è frutto del peccato e la comunione è un bisogno, non un accessorio che rende la vita umana più bella. L’atto di separarsi dagli altri, magari con l’intenzione di avere più comunione con Dio, non rientra nei piani del Creatore, salvo casi e momenti particolari.
L’aiuto adatto
Adamo, conscio della sua solitudine, cerca un aiuto tra gli animali, ma non lo trova. Dio opera mentre lui dorme: si sottolinea in questo modo la gratuità del dono. L’esclamazione di Adamo esprime la sua gioia e il suo stupore nel trovarsi di fronte a qualcuno nel quale poteva vedere riflessa la sua immagine.
Mi domando perché per creare la donna Dio non abbia usato la stessa procedura adottata per l’uomo. La donna è l’essere da lui tratta e in vista di un suo bisogno: ella è a lui complementare. Può esserci complementarità solo quando le due parti sono abbastanza simili ma diverse. La più marcata differenza tra l’uomo e la donna è rappresentata dagli organi sessuali: essi, così come sono strutturati, sono anche l’evidente segno della complementarietà. L’uomo e la donna tornano a fondersi come un solo essere, attraverso un’intima unione di cui il rapporto sessuale è il corollario. Con la creazione della donna, l’uomo non è più solo. L’aiuto adatto che la donna rappresenta è soprattutto da collegarsi a questo aspetto della vita. La solitudine rappresenta un problema risolvibile con la comunione. Eva è l’aiuto adatto (eb. Keneghdo = che gli è di fronte, gli corrisponde). La donna non è un orto dove l’uomo può seminare e raccogliere i suoi frutti, un oggetto da usare per soddisfare i suoi appetiti. La donna non appartiene all’uomo, anche se è stata tratta da lui. Essere aiuto non implica inferiorità. Essere aiuto, inoltre, non significa sottomissione passiva, ma la capacità e la responsabilità di dire “no”, quando l’uomo sbaglia.
È nota la frase di Tommaso d’Aquino: “Dio non ha fatto la donna dalla testa dell’uomo perché lo dominasse, né dai suoi piedi perché fosse calpestata, ma dal suo fianco perché fosse sua eguale”.
Dall’incontro allo scontro
“L’uomo rispose: «La donna che tu mi hai messa accanto, è lei che mi ha dato del frutto dell’albero, e io ne ho mangiato». Dio il Signore disse alla donna: «Perché hai fatto questo?» La donna rispose: «Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato». Alla donna disse: «Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te»” (Ge 3:12, 13, 16).
L’incanto si è rotto! Il peccato ha fatto a pezzi l’idilliaco rapporto uomo-Dio, uomo-donna e uomo-creato. In questo rapporto subentrano quattro elementi disgreganti: la vergogna, la paura, lo spirito accusatorio e il desiderio di dominio.
La vergogna. Un finale che sorprende: “erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna” (2:25). Perché questa conclusione strana? Cosa vuole comunicarci l’autore? La nudità è il segno di una totale libertà: uno di fronte all’altro senza coperture, senza ipocrisie, senza maschere; la nudità non era vista solo nella finalità di momenti in cui gli ormoni si scatenano. Solo in questo clima si realizza la totale comunione. Per avere comunione occorre essere “nudi”! Non ci sono peccati da nascondere, scheletri negli armadi. L’atto di coprirsi indica che un nuovo elemento, prima inesistente, è entrato nel rapporto uomo donna. Che cos’è? Se prima il loro rapporto era caratterizzato da una nudità-senza-vergogna, ora l’atto di coprirsi indica che la vergogna è presente ed è sintomo della spaccatura esistente. La vergogna nasce dove c’è un sentimento di colpevolezza, di mancanza. L’atto di coprirsi è dettato dal desiderio di nascondere il male fatto e la propria fragilità.
La paura. “Ho avuto paura e mi sono nascosto” disse Adamo al Signore; siccome l’atto di coprirsi è in qualche modo nascondersi, la paura è entrata anche nel rapporto uomo-donna. Il sentimento di paura è aumentato parallelamente alla diffusione del peccato (4:13). Per costruire un sano rapporto di coppia occorre anche affrontare il sentimento di paura, sempre presente, anche se camuffato da altri sentimenti.
Lo spirito accusatorio. “È stata la donna … è stato il serpente…”. Scaricare la colpa l’uno sull’altro, sembra essere lo sport preferito dell’uomo; anche in famiglia questo spirito è presente, qualche volta anche in dosi massicce. Quando mi arrabbio e in me nasce il desiderio distruttivo, non me la prendo con me stesso, perché sto facendo qualcosa che a Dio non piace, ma con chi ha provocato, anche involontariamente, la mia rabbia. La colpa è sempre di qualcun altro… e assumersi le proprie responsabilità non è mai semplice.
Il desiderio di dominio. “i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te”. Il dominio dell’uomo sulla donna non è frutto della volontà divina, ma una conseguenza del peccato. Dobbiamo dire che oggi, per rivalsa, questo desiderio di dominio sull’altro è palesemente presente anche nella donna. Questo desiderio, che si estende su tutta la realtà umana e comprende anche il dominio di una nazione sull’altra.
Questi elementi non si possono del tutto eliminare dalla nostra vita e pesano sui rapporti interpersonali, anche di coppia; occorre, perciò, affrontarli con l’aiuto del Signore.
Gesù e le donne
Nei tre testi citati all’inizio troviamo degli elementi importanti sui quali riflettere. Credo che gli autori, Matteo e Luca, nella loro narrazione dei fatti rispecchino il pensiero di Gesù che non aveva delle donne la stessa visione che permeava la società di quel tempo.
Dio ha stabilito che le donne fossero le prime a vedere Gesù risorto e le prime testimoni di questo straordinario evento. Citando anche i loro nomi, l’autore intende valutare l’importanza della loro presenza.
Le molte donne citate da Luca che svolgevano un fondamentale servizio per Gesù e i discepoli ha lo scopo di evidenziare l’importanza della loro opera svolta per il regno di Dio.
La reazione dei discepoli ricordata da Luca (“Quelle parole sembrarono loro un vaneggiare e non prestarono fede alle donne”) è un’evidenza dello spirito maschilista di quel tempo e così duro a morire.
Leggendo attentamente i Vangeli emerge in tutta evidenza che Gesù aveva un’alta considerazione del mondo femminile e il suo pensiero lo ha trasmesso ai suoi discepoli. La donna riacquista quella dignità perduta nel tempo.
Ricordate l’incontro tra Gesù e la Samaritana? Un incontro che fa stupire anche i discepoli. A questa donna, che oltre essere donna (non dimentichiamo che per la mentalità del tempo, piuttosto misogina, questo equivaleva a un handicap), era anche Samaritana e con seri problemi personali, Gesù le rivela delle verità importanti sulla natura di Dio e sul rapporto che l’uomo deve avere con lui, in particolare su quella che è da considerare la più alta espressione della fede, l’adorazione. Questo fatto rivela che Gesù considerava la donna capace di comprendere cose teologiche profonde, a differenza dei rabbini del tempo i quali affermavano che era meglio bruciare la Torah piuttosto che metterla in mano a una donna. Se per anni la chiesa ha considerato la donna un essere inferiore, ha tradito il pensiero del suo Maestro.