Udire, vedere, contemplare, toccare
Come avete avuto modo di sapere, anche perché l’ho ripetuto diverse volte, il titolo di queste riflessioni è “Vieni a vedere Gesù”. Adesso vogliamo andare oltre e approfondire la nostra relazione con lui. Per rendere la nostra testimonianza simile a quella dell’apostolo Giovanni, noi vogliamo toccare Gesù:
“Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato … ne rendiamo testimonianza” (1Gv 1:1,2).
Giovanni offre le sue credenziali come testimone di Cristo: egli ha udito, visto, contemplato e toccato. Le credenziali servono” “a dar credenza, ossia invogliare a chi le riceve di credere a quanto stiamo affermando. Queste credenziali fanno di lui un testimone attendibile. C’è un episodio nella vita di Gesù in cui una donna tocca la sua veste per essere guarita. Leggiamo la cronaca di questo fatto così come Luca ce l’ha trasmessa.
“Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni [e aveva speso tutti i suoi beni con i medici] senza poter essere guarita da nessuno, si avvicinò di dietro e gli toccò il lembo della veste; e in quell’istante il suo flusso ristagnò. E Gesù domandò: “Chi mi ha toccato?” E siccome tutti negavano, Pietro e quelli che erano con lui risposero: “Maestro, la folla ti stringe e ti preme”. Ma Gesù replicò: “Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me”. La donna, vedendo che non era rimasta inosservata, venne tutta tremante e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò, in presenza di tutto il popolo, per quale motivo lo aveva toccato e come era stata guarita in un istante. Ma egli le disse: “Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace” (Luca 8:43-48).
Una donna, il suo problema e la sua fede
La coprotagonista del racconto (il protagonista è sempre Gesù) è una donna con un grave problema: aveva perdite di sangue da dodici anni. Per questa sua patologia aveva speso tutto il suo gruzzoletto, ma i risultati non c’erano stati. Ci troviamo perciò di fronte a un problema umanamente irrisolvibile. Un bel problema, non c’è che dire! Malata da dodici anni, con la speranza di guarigione ormai azzerata. Oltre a ciò non dimentichiamo che il suo male la rendeva impura, secondo le regole cerimoniali ebraiche, e di conseguenza le alienava la possibilità di frequentare il Tempio e le persone. Nel libro del Levitico, troviamo queste disposizioni:
“Quando una donna avrà perdite di sangue per le mestruazioni, la sua impurità durerà sette giorni; e chiunque la toccherà sarà impuro fino a sera (…) La donna che avrà un flusso di sangue per parecchi giorni, fuori del tempo delle sue mestruazioni, o che avrà questo flusso oltre il tempo delle sue mestruazioni, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni” (Le 15:19-25)
Certo, sono prescrizioni difficili da comprendere per noi, perché lontane dal nostro modo di ragionare. Sta di fatto che le cose andavano così. Oltre al suo malessere fisico, c’erano anche tutte le conseguenze che questa malattia comportava. Ora comprendiamo il perché questa donna abbia avvicinato Gesù alle spalle e gli abbia toccato di soppiatto la veste senza dire nulla. La calca intorno a Gesù era davvero pressante e chissà quante persone avevano toccato inavvertitamente questa donna. Tutte queste persone, sapendolo, non avrebbero potuto assistere ai riti religiosi per sette giorni. Anche Gesù.
Oltre il lato social-religioso, c’era anche quello economico. L’evangelista ha cura di ricordarci che la donna “aveva speso tutti i suoi beni con i medici”. Oltre la malattia, sicuramente fastidiosa e debilitante, oltre l’emarginazione sociale, questa donna era ridotta sul lastrico. Il suo problema, che oggi sarebbe anche facilmente risolvibile, allora era un serio e grosso problema.
La donna, dopo aver provato tutte le terapie del tempo, senza nessun giovamento, ricorse a Gesù, la sua ultima speranza. Non poteva chiedere apertamente di essere guarita perché, a causa delle conseguenze di ordine sociale, si sarebbe esposta all’ira dei presenti. Per questo lo fece di nascosto: toccò un lembo della sua veste con la convinzione che solo quel gesto sarebbe bastato. Questo tocco fu avvertito da Gesù, perché – come egli stesso disse – una “potenza” era uscita da lui. Non vogliamo soffermarci sulla questione della “potenza” uscita: primo perché non è questo il punto, secondo perché troviamo questa espressione solo qui e non possiamo avanzare ipotesi non suffragate da altri passi della Scrittura, sarebbero semplici speculazioni. Una cosa è certa: la donna pensava di passare inosservata, ma è impossibile quando si a che fare con Dio.
Nel bellissimo salmo 139, leggiamo:
“Signore, tu mi hai esaminato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando riposo, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, Signore, già la conosci appieno” (Sl 139:1-4).
In questo salmo di Davide è posta in evidenza l’onniscienza e la preveggenza di Dio. Nulla di noi gli è nascosto; anche i nostri più intimi pensieri si presentano a lui in piena luce. Egli sa già cosa penseremo e che cosa faremo domani, fino all’ultimo giorno della nostra vita. Come ci sentiamo di fronte a un Dio simile? Pensiamo ancora di poter nascondere al suo sguardo qualcosa di noi? Quali sentimenti suscita in noi la realtà della sua onniscienza? Paura? Fiducia? Riconoscenza? In me ci sono tutti: il timore, la fiducia e la riconoscenza. Timore, perché sento di essere “sporco” di fronte alla sua santità, opaco di fronte alla sua vivida luce, una nullità di fronte alla sua immensa grandezza. Fiducia, perché lui sa meglio di me che cos’è bene per me; ciò che avviene nella mia vita, di bello o di brutto, è sotto il controllo della sua reale signoria. Sapendo che lui sa tutto, anche ciò che mi accadrà, rende reale l’espressione di Paolo:
“Dio fa tendere ogni cosa al bene di quelli che lo amano, perché li ha chiamati in base al suo progetto di salvezza” (Ro 8:28, versione TILC).
La strana domanda di Gesù
E Gesù domandò: “Chi mi ha toccato?” E siccome tutti negavano, Pietro e quelli che erano con lui risposero: “Maestro, la folla ti stringe e ti preme”.
Lo abbiamo più volte sottolineato: non sempre è stato facile per i discepoli capire il Maestro. Anzi, il più delle volte non lo hanno compreso. Infatti di fronte alla sua domanda, considerata senz’altro un po’ sciocca, visto la situazione in cui erano, lo stupore dei discepoli è evidente: “Maestro, la folla ti stringe e ti preme…”. Come puoi dire “Chi mi ha toccato?”, centinaia di persone ti stanno toccando! Anch’io avrei avuto la stessa reazione, semplicemente perché il nostro ragionamento è legato a certi schemi e non può uscire al di là di essi e questi sono formati dalle esperienze che facciamo. Spesso agiamo spinti dai riflessi condizionati. Avrete sentito parlare del cane di Pavlov. Ivan Petrovič Pavlov, premio Nobel per la medicina nel 1904, fece degli esperimenti sugli animali. Il più famoso è stato quello in cui, quando portava da mangiare al cane, suonava un campanello. Ha proseguito in questo modo per un po’ di tempo, facendo associare al cane il suono con il cibo. In seguito constatò che bastava far suonare il campanello e il suo cane muoveva gioiosamente la coda e gli aumentava la salivazione, la famosa “acquolina in bocca”. Questo cane, diventato poi famoso, è ora in bella mostra, naturalmente imbalsamato, in un museo dedicato allo scienziato nella città di Rjazan, in Russia.
Anche noi, spesso, abbiamo dei riflessi condizionati, ma, grazie a Dio, non siamo solo un impasto di istinti, il Creatore ci ha donato anche la capacità di ragionare. Dobbiamo ammettere, però, che anche il nostro pensiero è spesso condizionato dalle vicende che abbiamo vissuto.
Ritorniamo al nostro racconto. Spesso non riusciamo a capire il Maestro e il suo modo di pensare e di agire ci sorprende, ci meraviglia e ci spiazza. La fede ci aiuta a stare con Gesù, anche quando non lo capiamo. Sì, perché la fede è essenzialmente fiducia: io mi fido del Signore anche quando non riesco a capirlo. Ci sarebbe bisogno della fede, se fosse tutto facilmente comprensibile? È vero, tantissime persone avranno toccato Gesù in quella circostanza, ma solo il tocco della donna ebbe dei risultati miracolosi, perché il suo gesto era stato accompagnato dalla semplice, infantile fiducia che bastava poco per ottenere un miracolo.
La paura della donna
Udendo la domanda di Gesù, la donna si sentì scoperta e si avvicinò a lui tremante di paura. Perché? Pensava forse di aver preso di nascosto, in altre parole rubato, qualcosa al Maestro? Pensava forse che Gesù non se ne sarebbe accorto? O, forse, era tremante di paura perché nelle sue condizioni di impurità, aveva reso impuro anche lui? Difficile leggere nel cuore e nella mente della donna: probabilmente la sua paura era frutto di sentimenti diversi. Nonostante questo la donna confessò di essere lei la “colpevole” e dichiarò anche lo scopo che l’aveva spinta a compiere quel gesto. Ora questa donna con un notevole carico di problemi e angosciata dalla sua malattia, aveva risolto il suo dramma. In un istante si trovò guarita e alleggerita dal peso che si portava dietro da tanti anni. Era guarita, perché aveva toccato Gesù!
Vorrei tornare per un attimo al versetto della lettera di Giovanni che abbiamo letto all’inizio:
“Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato … ne rendiamo testimonianza” (1Gv 1:1-2).
In questo passo l’apostolo fa riferimento alla sua esperienza vissuta con Gesù. Come sappiamo, Giovanni è stato uno dei primi a mettersi al seguito del Nazareno e con lui ha vissuto tre intensissimi anni di vita. Provo a immaginare che straordinaria esperienza può essere stata per lui e quale segno aveva lasciato nella sua vita!
I gradi di questa esperienza si sono sviluppati in questo modo: udito, vista, contemplazione, tatto (il toccare Gesù). L’aver toccato Gesù è l’apice: non era solo una voce da udire, non solo una visione da vedere e contemplare, ma un essere in carne e ossa da toccare. Un’esperienza totale e coinvolgente. Due noti studiosi offrono questo commento, al passo citato:
“L’evangelo non si occupa di qualche figura mistica simile alle vaghe forme dei misteri greci, ma di una genuina Persona storica. Egli è stato udito e veduto e toccato”.
“L’aver udito non era abbastanza; nel Vecchio Testamento gli uomini «udivano» la voce di Dio. L’aver visto era già più probativo, l’aver toccato era la prova conclusiva della realtà materiale della Parola che «è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi”» .
Giovanni, non è solo l’araldo di un messaggio ricevuto, un megafono attraverso il quale il messaggio si diffonde, ma è testimone di una realtà che lui stesso ha vissuto. I vangeli non sono solo bei discorsi di stampo etico-religioso, ma sono la testimonianza resa a dei fatti accaduti nella nostra comune realtà.
C’è una cosa che desidero approfondire. Anche noi siamo chiamati ad essere testimoni di Cristo. Gesù stesso ha detto: “Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (At 1:8). Ogni cristiano è chiamato a essere testimone di Cristo: questo è un dato certo. Un altro dato che emerge è che il testimone è colui che ha udito, visto, contemplato e toccato. Se questo è vero, come possiamo noi oggi essere testimoni?
Udito. “Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Ro 10:17). Noi possiamo oggi udire la parola di Cristo attraverso la lettura e l’ascolto della Bibbia. Anch’io posso dire di aver udito, e più di una volta, la parola di Gesù.
Visto e contemplato. Paolo, scrivendo ai credenti della Galazia, così si espresse: “O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso?” (Ga 3:1) Che cosa volle dire con queste parole? In pratica stava dicendo che con la sua predicazione è come se avesse loro presentato Gesù vivo, in carne e ossa. Una vera predicazione del Vangelo, sostenuta dallo Spirito Santo, non consiste infatti in discorsi noiosi e sconclusionati come qualche volta può capitare di ascoltare, ma deve rendere vivo il personaggio di cui parla permettendo così agli ascoltatori di “vedere Gesù”, se non fisicamente almeno con gli occhi del cuore. Questo è stato, fin dall’inizio, l’intento di queste meditazioni. Ci sono riuscito? Quanto ci sono riuscito?
Toccato. Se tramite la parole possiamo far udire e vedere Gesù, diventa problematico farlo toccare. Eppure è possibile, anche oggi. Toccare è un’esperienza tattile, chiaramente concreta, che lascia delle sensazioni. L’esperienza di fede è concreta, visibile e lascia dei profondi segni, non solo sulla nostra anima ma su tutto il nostro essere. Una fede che non lascia segni evidenti, è una non fede, o fede morta, come la definì Giacomo. In questo modo noi possiamo toccare Gesù, ossia avvertire la concretezza della sua presenza nella nostra vita. Così, anche noi, saremo dei testimoni attendibili.
Vorrei concludere con un’ultima nota, mettendo in rilievo le parole che Gesù rivolse alla donna: “Ma egli le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace»”. È stato forse il tocco della donna a causare la sua guarigione? No! Se Gesù chiama la donna a mostrarsi è proprio perché aveva una verità importante da comunicarle. Si rivolse a lei con l’appellativo “figliola” per comunicarle il suo affetto. In seguito le disse una cosa importante: “Non è stato il tuo tocco a salvarti, anche perché in tanti mi hanno toccato e non sono guariti. Sono io che ti ho guarito: sono io che ti ho sentito e ho voluto la tua guarigione. Non c’è niente di magico né di scontato nel tuo gesto: io ho voluto la tua guarigione perché ho letto nel tuo cuore e ho visto la tua fede”.
Toccare Gesù, ossia avvertire nel concreto della vita la sua presenza operante, è un’esperienza che sicuramente vale la pena di fare.