Nel graduale ritorno alla normalità in atto ormai da qualche mese, c’è chi non ha il desiderio di rivivere gli incontri in presenza, di tornare a provare quanto sia edificante e incoraggiante vivere in mezzo agli altri, godendo il dono prezioso della comunione. È possibile – mi sono chiesto – che si stia vivendo, più che un distanziamento fisico, un distanziamento nell’amore? Dobbiamo seriamente chiederci se quest’affievolirsi del desiderio di stare insieme sia davvero un frutto della pandemia o abbia origini più lontane e sia un affievolimento pre-pandemico. Infatti è possibile e realistico supporre che esistesse già prima e la pandemia non ha fatto altro che renderlo anche fisicamente evidente. Così dal “quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli vivano insieme” (Sl 133:1) si è passati al “quant’è buono e quant’è piacevole”starsene tranquilli a casa propria, lontani da tutti e autogiustificandosi col fatto che la tecnologia ci consente comunque di vedere e ascoltare.
La pandemia ha messo in evidenza la tendenza all’individualismo che è ben presente nella società intorno a noi e che è una diretta conseguenza di quello che Gesù risorto, scrivendo alla chiesa di Efeso, denunciò come l’abbandono del “primo amore” (Ap 2:4). L’aggettivo “primo” non si riferisce soltanto alla cronologia dell’amore, ma anche alla sua intensità. Il “primo amore” rappresenta infatti la relazione nuova che sperimentiamo al momento della nostra conversione, quando ci sentiamo investiti dall’amore di Cristo e quando, sospinti dalla gioia della salvezza, sentiamo il bisogno di trasmettere intorno a noi l’amore che è stato trasmesso a noi: “Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui… Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello” (1Gv 4:16, 21). Il “primo amore” incontra spesso delle difficoltà a conservare la propria intensità e, se non sappiamo (o non vogliamo!) superarle, diventa meno viva la nostra relazione con Cristo e, di riflesso, la nostra relazione con gli altri. L’abbandono dell’amore costituisce la perdita più grave per la vita cristiana soprattutto perché, quando ci distanziamo dagli altri nell’amore, ciò accade come conseguenza del nostro esserci distanziati dal Signore. Dio mi ricorda che, se non ho amore, non valgo nulla: non hanno valore i miei doni, non ha valore la mia conoscenza, non hanno valore neppure il mio servizio e l’eventuale consacrazione della mia vita (1Co 13:1 e segg.). L’amore è la prima manifestazione del frutto dello Spirito, dalla quale dipendono tutte le altre (“Il frutto della Spirito è amore, gioia…”, Ga 5:22).
Quale è la strada che Gesù indica alla chiesa di Efeso per ritornare all’amore e per godere nuovamente della sua spinta dinamica (“dinamica” nella crescita personale, nell’edificazione della chiesa e nella testimonianza)? Non indica un cammino che preveda compromessi o sforzi di buona volontà! Davanti a un peccato così grave come l’abbandono del primo amore, c’è un solo rimedio, c’è una sola cura che inizia con il ripensare al passato, al tempo in cui l’amore era vivo, attivo, operante nella relazione con il Signore e nelle relazioni fraterne. Questo aiuterà a comprendere quali benedizioni sono state perse per la strada, quante ricchezze non sono state godute venendo meno nell’amore per il Signore e per la chiesa. Gesù usa l’espressione “sei caduto”, perché il venir meno nell’amore non è una semplice mancanza nel cammino cristiano, ma è una vera e propria caduta, è un venir meno a quello che il Signore desidera da noi. Gesù prosegue poi con l’invito al ravvedimento: quando la Parola di Dio mette in evidenza una nostra condizione di peccato, non siamo chiamati a nasconderlo, a minimizzarne la gravità, a cercare giustificazioni coinvolgendo spesso altre persone. Siamo piuttosto invitati a riconoscerlo, a confessarlo e a lasciarlo! In ultimo Gesù incoraggia a compiere “le opere di prima”, che non significa ritornare al passato, ma piuttosto ritornare all’amore perché ad aver valore è soltanto “la fede operante nell’amore” (Ga 5:6).
Siamo pronti a riconoscere che è la mancanza d’amore la causa vera di ogni distanziamento fisico?