Il desiderio di cantare
Perché la Chiesa canta? E perché dovrebbe desiderare farlo continuamente, settimana dopo settimana, includendo tutti senza distinzione di età, provenienza, conoscenza musicale e doti naturali?
È vivo questo desiderio e primario insieme ad altri elementi essenziali della vita comunitaria di cui la Scrittura ci insegna?
Che la nostra mente sia particolarmente predisposta a ricordare una melodia o il ritornello di una canzone più di un discorso pronunciato o di un testo letto è un dato di fatto, di cui ognuno di noi può essere testimone. La musica e il canto spontaneo segnano, hanno segnato e segneranno sicuramente molti momenti delle nostre giornate. Questo ci porta anche a dire, sulla scorta della fede nel Dio Creatore, che siamo stati creati e progettati… anche per cantare!
Possiamo però affermare, con le medesime convinzioni sopra espresse, la stessa cosa circa l’atto del cantare insieme “salmi, inni e cantici spirituali”, del cantare gli uni gli altri “di cuore a Dio”? (Cl 3:16).
Del cantare, quindi, non tanto singolarmente e qualsiasi cosa ma, invece, del cantare di Dio e su Dio insieme ad altri, quando ci incontriamo, quando viviamo le numerose espressioni comunitarie, siano esse formali e nei canoni previsti (riunioni, convegni, agapi, etc…) siano esse fuori dai normali standard (all’aperto, al chiuso, nelle visite agli ammalati, ai carcerati, etc…).
Da qui nasce la domanda guida di questa riflessione all’interno della rubrica “NOI CANTIAMO”, iniziata nel mese di giugno: perché la Chiesa canta?
Perché dovrebbe desiderare farlo continuamente, includendo tutti senza distinzione di età, provenienza, conoscenza musicale e doti naturali?
È vivo questo desiderio e primario insieme ad altri elementi essenziali della vita comunitaria che la Scrittura ci insegna?
Cercheremo di dare delle risposte guardando a tre personaggi biblici, molto conosciuti, ai quali però, probabilmente, non viene naturale abbinare l’idea del canto, e del canto insieme (possiamo così escludere da questa terna il re Davide, a cui accenneremo solo brevemente!).
Abramo: adorazione
La Scrittura ci riporta che ogni qualvolta Abramo si stabiliva in un’area della terra di Canaan, ma non solo, e per un periodo più o meno breve, compiva sempre la stessa azione: “… e invocò il nome del Signore” (Ge 12: 7-9; 13: 1-4; 13: 18; 21: 33).
Non troviamo scritto in questi passaggi biblici ciclici, avvenuti nel corso degli anni e dei vari spostamenti, che Abramo cantasse, bensì che invocava il Signore e che probabilmente non era da solo (e nessun elemento può far escludere che a lui si unissero altri, tra cui sua moglie Sara di cui poi parlerà l’autore dell’epistola agli Ebrei in merito alla sua fede in Dio).
Alla luce di tutta la rivelazione biblica, però, troviamo diversi passaggi nei quali si rende evidente che il canto è uno dei veicoli attraverso i quali il nome del Signore viene invocato, viene celebrato e lodato: “Davide diede l’incarico di cantare le lodi al Signore: «Lodate il Signore, invocate il suo nome…»” (1Cr 17: 7-8). Motivo per cui quando leggiamo oggi questi brani nel loro contesto più ampio, possiamo vedere nell’invocazione e adorazione del Signore ciclica e continua di Abramo anche lo strumento del canto e del canto insieme.
La fede di Abramo era segnata, scandita e rinnovata, di passaggio in passaggio, dall’adorazione, e l’adorazione alimentava la sua fede, avvenimento dopo avvenimento, settimana dopo settimana, anno dopo anno così da suscitare un circolo virtuoso. Questo esempio di fede (Eb 12:1) ci ricorda che Dio desidera, attraverso lo strumento pratico del canto, alimentare la nostra fede.
Ancor di più questo può essere sperimentato nel canto comunitario, quando si è insieme per lodare il Signore: desideriamo cantare e cantare insieme, numerose saranno le benedizioni divine!
Paolo e Sila: testimonianza
Anche secoli dopo Davide, il canto rimane uno degli strumenti per invocare il nome del Signore e per lodarlo. Ce ne dà prova tutto il Nuovo Testamento, sconfinando in situazioni nelle quali potremmo ritenerlo non idoneo, non opportuno. Probabilmente questo sarà stato il pensiero nel carcere di Filippi dei compagni di cella di Sila e di Paolo, che si trovava nel vivo del suo secondo viaggio missionario.
Leggiamo che “verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano” (At 16: 22-34). Quello non era un luogo preposto per cantare, non era la casa di Lidia nella quale alloggiavano e per giunta non se la stavano passando bene: era la mezzanotte di una giornata drammatica nella quale avevano subito un duro attacco venendo non solo incarcerati ma ricevendo una severa sorveglianza, un “41bis” per dirla ai giorni nostri.
Tutto ciò, però, non impedì loro, insieme, di cantare inni a Dio: e ciò produsse cose straordinarie e immediate pensando anche al loro carceriere, senza poi conoscere quali possibili altri risultati la potente liberazione dalle catene produsse in quei compagni di cella che poco prima li stavano ascoltando. Non c’è quindi un posto, una situazione, una condizione in cui non sia “idoneo” cantare; anzi, Dio vuole e può usare il canto non solo per ricordarci le sue promesse alimentando la nostra fede ma anche per testimoniare di lui agli altri e manifestare così la sua potenza. Desideriamo cantare e cantare insieme, Dio ci userà lì dove siamo e verso il nostro prossimo, chiunque esso sia.
Gesù: l’esempio
Sì, avete letto bene: anche Gesù cantava! Può sorprenderci questa affermazione se non abbiamo mai letto nel Vangelo di Matteo che “dopo che ebbero cantato l’inno uscirono per andare al monte degli Ulivi” (Mt 26: 30). Eppure si trattava dell’inizio della fase che da lì a poco lo avrebbe portato a essere crocifisso, a conoscere cioè l’ora più buia; ma Gesù non volle negarsi per l’ultima volta la gioia di cantare un inno, prima di dare sé stesso per l’intera umanità. E non solo: le parole di un Salmo (il 22) furono le ultime pronunciate prima di rendere l’anima al Padre nonostante la melodia fosse svanita e non ci fosse più alcun suono piacevole in quel momento.
Non è possibile sapere quale inno abbia cantato Gesù con i discepoli, rimane però questo straordinario esempio che solo Matteo riporta nel suo Vangelo, come una primizia che ci viene trasmessa per evidenziare l’importanza e la straordinaria potenza del canto anche in queste circostanze.
Anche noi dobbiamo cantare e cantare insieme: così facendo, seguiremo l’esempio perfetto di Gesù!
Perché allora, in conclusione, la chiesa dovrebbe desiderare vivamente di cantare? Questi tre esempi biblici ci dicono tanto al riguardo e ci ricordano che Dio ci ha creati anche per cantare e cantare insieme al fine di alimentare la nostra fede, di testimoniare di lui agli altri, di seguire l’esempio di Gesù!