Quarantuno anni fa (ero poco più che un ragazzo) ebbi l’inatteso dono di poter partecipare, ad Amsterdam, ad un Congresso europeo sull’evangelizzazione. Furono molti gli insegnamenti che il Signore lasciò nella mia mente e nel mio cuore in quei giorni, ma, fra i tanti, uno l’ho sempre ricordato in modo particolare. Un anziano fratello finlandese, nel riproporre il valore della centralità della chiesa locale nella formazione e nell’evangelizzazione, esemplificata negli Atti ed insegnata nella lettere apostoliche, usò questa splendida metafora: “La pesca non si fa con i transatlantici ma con i pescherecci!”. Oggi che i transatlantici, quelle enormi navi che una volta trasportavano i passeggeri da una sponda all’altra degli oceani, non esistono più, la metafora dovrebbe essere aggiornata sostituendo ai transatlantici le navi da crociera che ogni giorno portano qua e là in giro per il mondo migliaia di persone in cerca di riposo, ma molto più spesso di divertimento e di avventure. Nella prospettiva della pesca (metafora che si sovrappone, traendone spunto, a quella usata da Gesù con la promessa fatta ai discepoli di trasformarli in “pescatori di uomini”) il confronto fra il peschereccio e la nave da crociera è improponibile perché, con quest’ultima, nessuno penserebbe di andare in giro per i mari a pescare. Qui non mi interessa ricordare (anche perché non lo ricordo) a cosa volesse riferirsi quell’anziano fratello evocando “i transatlantici” (organizzazioni paraecclesiali? chiese storiche e nazionali pachidermicamente strutturate? chissà…). Mi piace piuttosto concentrarmi sulla metafora dei pescherecci che è comunicativa, se in essa vediamo la funzionalità e l’efficacia della chiesa locale nella testimonianza. Infatti dai pescherecci si vede il mare da vicino, se ne godono le bonacce e se ne soffrono le tempeste. Così una chiesa locale è chiamata ad operare nel territorio, a contatto diretto con la gente (nella Parola “il mare” non è forse proprio immagine delle genti?); è chiamata a gettare la rete nei momenti favorevoli e a proseguire il cammino della testimonianza anche quando i venti non sono favorevoli e le onde si alzano minacciose. I pescherecci richiedono un gioco di squadra, fra persone ben affiatate, che condividono le stesse motivazioni e che perseguono gli stessi obiettivi, ciascuna delle quali competente per svolgere uno specifico compito: senza quest’affiatamento non è possibile gettare le reti e non è possibile neppure ritirarle con il pesce pescato. Così nella chiesa locale, per essere insieme “pescatori di uomini”, è necessario accettare di svolgere, ciascuno, il compito affidatogli dal Signore e di integrarlo con i compiti degli altri “pescatori”, vivendo con loro in piena sintonia. Infine, nei pescherecci si suda, si fatica, si soffre, si lotta. La pesca richiede impegno, energie, sacrificio per raggiungere l’obiettivo comune: riportare a casa del pesce! Così dev’essere nella chiesa locale: senza sudore, senza sofferenza e lotta non è possibile “pescare” gli uomini intorno a noi. Paolo scriveva al giovane Timoteo: “Sopporta anche tu le sofferenze… lotta come atleta… fatica come un lavoratore…” (2Ti 2:1-6). Se oggi la nostra pesca non dà buoni frutti non è forse perché abbiamo trasformato le chiese locali da pescherecci, quali dovrebbero essere, in navi da crociera, preferendo una navigazione comoda e tranquilla che non ci faccia sentire la puzza del mare e le sue agitazioni e che non ci esponga troppo alla lotta e alla fatica?