Una piccola parola: padre!
Padre è una di quelle parole che si ritrovano in tutte le lingue del mondo e ha una notevole importanza infatti, se siamo venuti al mondo, è perché abbiamo avuto un padre. Purtroppo non sempre i padri sono quello che dovrebbero essere e, ancora peggio, non tutti i padri riconoscono i loro figli e alcuni li abbandonano. E poi ci sono gli orfani che non hanno avuto modo di conoscere i loro padri perché morti prematuramente.
Nella Scrittura questa parola si trova a proposito dei padri terreni e, oltre al suo uso comune, in qualche caso può voler significare anche nonno o bisnonno o anche il padre di una tribù o di un popolo (Ge 2:24; 28:13; 1Re 15:11; Ge 10:21; De 26:5). Nei tempi dell’Antico Testamento la figura del padre è descritta come il genitore che esercitava l’autorità e a cui si doveva rispetto. Uno dei dieci comandamenti è molto chiaro intorno all’onore che andava dato ai genitori, e questo avrebbe portato una benedizione nella propria vita (Es 20:12). Il padre andava obbedito e l’esempio più noto di questo fondamentale atteggiamento lo si ritrova nell’episodio del sacrificio di Isacco (De 21:18; Pr 23:22; Ge 22:1-14).
Leggendo la storia dei patriarchi, e non solo, si può dire che in Israele il padre aveva un grande potere nella vita dei membri della propria famiglia. Nel caso in cui un figlio avesse tentato di sviare il padre (ed altri familiari) per adorare “altri dèi”, questi doveva esercitare per primo il giudizio su di lui con una punizione estremamente pesante, cioé mettendolo a morte con la lapidazione (De 13:6-12). Il giudizio era lo stesso se il figlio fosse stato “senza freno”, un libertino, un dissipatore che sperperava i beni o fosse stato un ubriacone; il padre avrebbe dovuto portarlo dagli anziani della città per farlo lapidare (De 21:18-21). A questo proposito assume un grande significato il perdono del padre della parabola del figlio prodigo (Lu 15:11-24). Il padre poteva anche togliere il diritto di primogenitura per un’offesa seria (Ge 49:34) e, in quanto capo famiglia, aveva autorità anche su coloro che sposavano i suoi figli, si veda l’episodio di Giuda e Tamar, sua nuora, alla quale il suocero decretò la morte: “sia bruciata!” (Ge 38:24). Così come il padre avrebbe anche potuto vendere la propria figlia come schiava (Es 21:7).
Al di là di questi aspetti di enorme autorità, il padre aveva anche grandi responsabilità verso i figli e la famiglia. Intanto non poteva avere favoritismi in una situazione difficile (De 21:15-17). Poi doveva amare, curarsi dei e proteggere i propri figli (Sl 103:13). E, compito molto importante, doveva educare e istruire i propri figli negli aspetti della vita esercitando una sana disciplina (Pr 22:6; 13:24). Infine aveva la responsabilità della loro istruzione spirituale (De 6:7-9). In quest’ultimo testo c’è l’ingiunzione a istruire i propri figli in un modo speciale.
Il verbo “inculcare” deriva da una parola ebraica che significa “affilare, fare la punta”. Nel libro del Deuteronomio, questo termine ha il significato di “insegnare in modo incisivo” ma contiene anche la nozione della ripetizione. Il padre avrebbe dovuto incidere nella vita del proprio figlio non solo in tutti gli aspetti della vita umana ma avrebbe dovuto dargli anche delle istruzioni specifiche intorno ad aspetti spirituali. Il Signore Gesù ha dichiarato con forza la validità del comandamento di onorare i genitori così come ha scritto anche l’apostolo Paolo (Mr 7:9-13; Ef 6:1-3). Ciò premesso, sono quattro gli aspetti che la Scrittura insegna sul concetto della Paternità di Dio.
La Paternità di Dio nella creazione
La dottrina della tri-unità comprende l’unità, ma anche i ruoli diversi delle tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Pur essendo un dato certo che tutt’e tre le Persone abbiano avuto parte nella creazione e governino tutti gli esseri viventi, il Padre ha avuto una parte determinante come afferma l’apostolo Paolo: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome” (Ef 3:14-15). Qui l’insegnamento è molto chiaro perché tutte le creature angeliche e umane sono presentate come facenti parte della famiglia creazionale di cui Dio è il Padre. Anche se c’è un solo versetto esplicito (un altro testo è implicito, visto che si parla di “figli di Dio”, riferito agli angeli, Gb 38:4-7), tuttavia sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento la paternità di Dio è affermata. “Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha creati uno stesso Dio?” (Ml 2:10).
L’apostolo Paolo ha espresso questo pensiero nel suo discorso all’Aeròpago di Atene (At 17:26-29), in cui la frase “essendo discendenza di Dio” implica paternità. E scrivendo ai Corinzi egli afferma “… per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose…” (1Co 8:6). Altri due testi sono “Padre degli spiriti” (Eb 12:9) e “ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento” (Gm 1:17).
C’è quindi un insegnamento scritturale che evidenzia come la prima Persona della tri-unità, il Padre, lo sia di tutta la creazione e di tutte le sue creature. Questo però non significa affatto, come afferma in modo errato il cattolicesimo-romano, che tutti siamo figli di Dio, come non è ugualmente corretta la posizione teologica dell’universalismo che ritiene che tutti gli uomini alla fine saranno salvati.
La Paternità di Dio nei confronti di Israele
A parte i diversi paragoni con i padri terreni (Pr 3:12), la descrizione di Dio come Padre nell’Antico Testamento si riferisce esclusivamente alla sua relazione con il suo popolo (De 32:6), o nei confronti del re (1Cr 17:13). Questa paternità non è di tipo creazionale o biologico ma spirituale e collettivo. In quest’ultimo senso il popolo è considerato come un figlio di Dio e non in quanto alla sua condizione naturale o alle sue qualità, come è dichiarato nelle parole che Mosè doveva pronunciare al faraone: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito” (Es 4:22), o quelle che sempre Mosè ha rivolto davanti alle pianure di Moab a tutto il popolo “Voi siete figli per il Signore vostro Dio” (De 14:1), o l’affermazione di Dio in Osea “Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d’Egitto” (Os 11:1). In Geremia ritroviamo l’unica invocazione non di un individuo (questa sarà la novità dei Vangeli) ma del popolo nel suo insieme rivolta a Dio come Padre. Dio fa scrivere al profeta: “Mi hai appena gridato: ‘Padre mio…” e sempre Dio afferma: “Tu mi chiamerai: ‘Padre mio’!” (Gr 3:4).
Dio non si considerava semplicemente creatore del popolo d’Israele ma suo Padre per via di questo rapporto affettivo che aveva istaurato con esso. Bisogna comunque osservare che non tutto Israele aveva una vita spirituale florida e tanti lo contrastavano; si vedano, ad esempio, le varie ribellioni nel deserto, o i re d’Israele, tutti malvagi.
La Paternità di Dio nella relazione con il Figlio
È sicuramente l’argomento centrale, il punto culminante di tutta la rivelazione biblica; infatti la prima Persona della tri-unità viene descritta come “il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (Ef 1:3). L’argomento, può essere riassunto così.
1. Gesù è stato generato dal Padre (Sl 2:7) ed è Figlio non perché abbia avuto un inizio dal momento che, per natura, egli è l’eterno Figlio di Dio che “era con Dio” ed “è diventato carne” (Gv 1:1, 14). Il termine “generato” è usato in riferimento alla sua umanità. Ad Antiochia Paolo, riprendendo quanto scritto nel Salmo 2:7, pose l’enfasi sulla risurrezione che non ha reso Gesù Figlio, perché egli lo era da ogni eternità, ma è stata una “dichiarazione pubblica” della sua Figliolanza (At 13:32-33; si veda anche Ro 1:4).
2. Gesù è venuto, inviato dal Padre: “il Padre ha mandato il Figlio” (1Gv 4:14) affinché il Figlio potesse rivelare il Padre; cosa che egli ha fatto in quanto unigenito (Gv 1:18) ovvero “unico nel suo genere”; e questo sia con le sue parole sia con le sue opere (Gv 14:10; 15:15; 5:36). Questa rivelazione è stata molto chiara: “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo” (Gv 17:6), “per essere il Salvatore del mondo” (1Gv 4:14) e l’unico tramite per giungere al Padre (Gv 14:6).
3. In occasione del suo battesimo, Gesù è stato riconosciuto come Figlio dal Padre quando questi ha autenticato la perfetta santità dei primi trent’anni di vita del Figlio (Mt 3:17). In occasione della trasfigurazione il Padre, sempre con la sua voce dal cielo, ha autenticato il perfetto servizio del Figlio (Mt 17:5; Lu 9:35).
4. Durante tutto il suo ministero terreno, Gesù, nella sua umanità, ha glorificato e obbedito fedelmente il Padre come attestano le sue affermazioni verso la fine del suo ministero: “Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuta l’opera che tu mi hai data da fare” (Gv 17:4) e, durante l’estrema agonia nel Getsemani quando, con un accorato appello, si è rivolto al Padre sottomettendosi alla sua volontà: “Padre mio… sia fatta la tua volontà” (Mt 26:39, 42). L’apostolo Paolo confermerà questa obbedienza totale (Fl 2:8) così come l’autore agli Ebrei con questa affermazione molto forte: “Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì” (Eb 5:8).
5. Il Figlio di Dio ha parlato ampiamente del Padre insegnando la perfetta uguaglianza con lui: “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10:30) e dimostrandolo con le sue opere (Gv 5:36-37).
6. È molto interessante notare come i Vangeli ci presentino il modo in cui Gesù abbia parlato del Padre. Egli non ha mai chiamato e non si è mai riferito a Dio come al Padre di Israele. E poi ha parlato di Dio come di suo Padre, “mio Padre” e come il Padre dei discepoli, “vostro Padre” (Gv 20:17) operando una chiara distinzione, e non si è mai associato a loro in un’espressione come “nostro Padre”. Quest’ultima espressione conferma in modo inequivocabile che Gesù non abbia mai insegnato la verità che Dio sia il Padre di tutti gli uomini e di conseguenza che costoro siano tutti suoi figli.
7. Nel brano di Giovanni 5:17-27 ci sono diversi elementi portanti della dottrina che spiegano il rapporto particolare tra il Padre e il Figlio. Per Gesù il Padre è la sorgente di tutta la vita e del potere che gli ha elargito senza misura. Egli ha rivelato il suo scopo al Figlio e gli ha dato il potere di salvare e l’autorità nel giudicare.
8. Nei Vangeli, includendo i passi paralleli, sono diciotto le volte in cui Gesù si è rivolto a Dio chiamandolo Padre con l’unica eccezione del grido lacerante in croce “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mt 27:46). E nel Getsemani si è rivolto a lui in questo modo: “Abbà, Padre”! Al tempo in cui visse Gesù, abbà era usato in modo colloquiale dai figli nei confronti dei padri e il significato indicava intimità e potrebbe essere reso con “caro Padre”!
Nel momento della profonda agonia, Gesù si è rivolto al Padre con Abbà evidenziando così da un lato la sua intimità con lui, il suo amore e il fatto che il Padre volesse il meglio per lui. Dall’altro lato, però, Gesù, stava dando al Padre la dimostrazione della propria obbedienza come Figlio.
9. Gesù, agli inizi del suo ministero, ha insegnato ai suoi come pregare. Il suo insegnamento, che consta di sei affermazioni che costituiscono una sintesi del tutto nuova per la nostra vita, è introdotto dalla frase: “Padre nostro che sei nei cieli”. Con la parola “Padre”, che mai nessun pio israelita aveva pronunciato individualmente rivolgendosi a Dio (vd. il primo punto), Gesù dava la possibilità di una grande intimità con lui, introducendo la grande novità del Vangelo. Subito dopo, però, sottolinea l’autorità del Padre: “che sei nei cieli” (Mt 6:9).
10. In nessun’altra parte dei Vangeli è descritto in modo così vivido il rapporto filiale di Gesù con il Padre come nella preghiera “sacerdotale”: Gesù prega per sé, per i suoi discepoli e per i futuri credenti (Gv 17:1-5; 6-19; 20-26) rivolgendosi al Padre per ben sei volte e il suo interesse è in particolare verso i bisogni dei discepoli.
11. In ultimo, prima di ascendere in cielo, ha inviato i suoi facendo un paragone molto forte: “Come il Padre mi ha mandato (qui c’è l’idea dell’identificazione con il mondo, la sua nascita, l’idea della vita nel mondo, il suo ministero, e quella della morte per il mondo, il suo sacrificio), anch’io mando voi” (Gv 20:22).
La Paternità di Dio nei nostri confronti
Questo aspetto dottrinale assume un certo rilievo nell’insegnamento degli apostoli. A eccezione delle tre citazioni che si riferiscono a Dio come Padre sopra la creazione, i loro scritti a questo proposito sono sempre strettamente collegati alla dottrina di Cristo (Ef 2:18; 1Gv 1:3) – e la sua negazione è bollata in modo tremendo (1Gv 2:22-23) – o sono collegati alla dottrina della salvezza (Cl 1:12; 1P 1:3). E, in effetti, gli autori del Nuovo Testamento mettono in evidenza come egli sia il Padre di quanti credono in Cristo per la fede e fanno parte della famiglia giusta: quella di Dio, quindi non sono più “figli d’ira” perché “il Padre (dà loro) di essere chiamati figli di Dio” (Ga 3:26; Ef 2:19; 2:3; 1Gv 3:1).
L’uso del nome Padre si ritrova quasi sempre negli esordi delle epistole (ad esempio 1Co 1:3; 1P 1:2; 1Gv 1:3; Gd 3), nelle preghiere di Paolo (Ef 1:15-23) e nelle dossologie (gloria e parola), in cui è menzionata la lode da esprimere al Padre (Ro 15:6; Ef 1:3). Ogni volta che Paolo usa l’espressione “Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (Ro 15:6; 2 Co 1:3; 11:31), pone l’enfasi sul fatto che Dio ha rivelato sé stesso come Padre in Gesù Cristo e che, quindi, può essere riconosciuto come tale solo in lui.
L’insegnamento sul Padre presenta ancora la verità della garanzia e sicurezza della salvezza, perché nessuno ci può rapire dalla mano del Padre (Gv 10:29). E quando pecchiamo, “abbiamo un avvocato presso il Padre” (1 Gv 2:1) che presenta il suo sangue; e questo garantisce il perdono da parte del Padre. Inoltre facciamo parte del corpo in cui “Dio è il Padre di tutti” (Ef 4:6), il cui contesto ci fa capire che “tutti” si riferisce solo ai credenti. Infine, siccome lo Spirito Santo ci porta ad avere un’intima relazione con il nostro Padre celeste, in qualsiasi momento, di gioia come di difficoltà, possiamo rivolgerci al nostro Dio, per lo Spirito, gridando: “Abbà! Padre!” (Ro 8:15) sapendo che egli ci ascolta sempre e si prende amorevolmente cura di noi perché siamo veramente e realmente suoi (Ro 8:15). E non potrebbe essere altrimenti, visto che egli è il “Padre misericordioso” (2Co 1:3).
Possiamo semplicemente concludere affermando che Dio è un Padre meraviglioso! E, nell’attesa della gloria con Lui, è bello sapere che non siamo orfani!