“Come Gesù fu sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mr 6:34).
Vari modi di guardare “la folla”
Le persone, anzi, i personaggi che in un modo o in un altro emergono, o vogliono emergere, dalla folla, hanno sempre avuto ed hanno vari modi di interpretare e valutare la folla stessa. Alcuni, religiosi come i Farisei di quel tempo, la disprezzano: “Questo popolo (popolino, o plebe) che non conosce la legge, è maledetto!” (Gv 7:49).
Ve ne sono altri che, pur senza disprezzarla, la osservano con distacco e con una certa insofferenza, magari sentenziando che nel gran numero è possibile e probabile, facendo una accurata ricerca, trovare alcuni pochi saggi, ma circondati e confusi se non sopraffatti da una enorme quantità di persone aride e poco intelligenti e da una folta schiera di sciocchi.
Per contro ve ne sono che non la sfuggono, anzi la cercano, e con adulazioni, lusinghe e promesse la coccolano e la seducono per poterla dominare e farne uno strumento pieghevole e manovrabile per fini di interesse personale, di gruppo o di casta.
E ve ne sono che rimangono indifferenti, refrattari di fronte ad essa.
La folla, noi diciamo: la società, si muove con azioni variegate sovente scomposte, ha clamori e fremiti che in alcune circostanze si mutano in deliri ed ansie gridate a fronte di miserie morali coniugate a quelle esistenziali; e questi personaggi indifferenti passano ogni giorno fra la gente chiusi nel loro manto di egoismo, estranei in mezzo ad estranei!
Solo Gesù “vede”!
Gesù reagisce in modo totalmente diverso.
C’è qualcosa non solo di nuovo, ma di sostanzialmente diverso nel suo atteggiamento riguardo alla folla che era accorsa da ogni città verso di lui: egli la vide e ne ebbe compassione!
Prima di tutto Gesù “vede” la moltitudine e la considera attentamente.
Mentre i più valutano la folla “anonima” e non danno alcun valore ai suoi singoli componenti, Gesù, al contrario li osserva come se li conoscesse per nome perché il suo discernimento gli permetteva di individuare e comprendere ciò che agitava il cuore dei singoli ciascuno nella propria forma.
Nella moltitudine vi sono dei sofferenti; vi sono dei ribelli, uomini e donne agitati e corrosi dal male; vi sono degli stanchi; vi sono degli sfiduciati, dei disperati, degli emarginati, degli scampoli di una umanità svalutata e abbandonata.
Gesù s’accorge della loro esistenza, li osserva, ravvisa il loro valore sconosciuto a loro stessi, in una parola li“vede”.
Nessuno prima di lui aveva veduto, osservato la moltitudine come egli la vide.
La compassione è vedere
con gli occhi del cuore
Un certo umanitarismo aveva timidamente cominciato a farsi strada nel mondo antico, dominato prevalentemente dalla violenza e dalla sopraffazione dei potenti.
Alcuni filosofi e moralisti guardavano alla moltitudine, ma da lontano, con distacco, senza avvicinarsi troppo ad essa; ne riconoscevano qualche diritto, ma non partecipavano alle sue sofferenze ed erano insensibili alle sue aspirazioni. In quei tempi una parte dell’umanità era strumento nelle mani dell’altra parte: la legislazione romana ( dominante quando il cristianesimo apparve) era fondata sull’ineguaglianza e
sulla forza.
Chi a Roma “vedeva” la turba degli schiavi trascinati come bestie dalle varie provincie?
Chi vedeva i fanciulli?
Chi vedeva la donna stessa considerata quasi una eterna minorenne?
Chi vedeva i gladiatori che per divertire popolo e potenti si massacravano nei circhi?
Nemmeno le “nobildonne” che con il “pollice verso” condannavano il disgraziato di turno al macello!
Gesù vede la folla, ma non basta; della folla ha compassione.
Egli ha compassione di quegli innumerevoli componenti, egli li vede non solo visivamente ma anche con gli occhi del cuore!
Egli vede così che non tutta la causa dei loro mali e traviamenti risiede in loro stessi.
Certo egli ne ravvisa anche le responsabilità personali (il loro essere peccatori), ma sa considerare che sono, in quelle circostanze, anche vittime dell’ambiente, delle circostanze, del peccato imputabile ai detentori del potere politico ed economico che li sovrasta indebolendo ulteriormente la loro natura umana. Gesù lo sa e la sua compassione aumenta!
E in quelle vittime sussistevano sicuramente delle aspirazioni ad uno stato migliore, ad intime aspirazioni di bene, degli slanci verso la libertà, degli sforzi tenaci, ed in alcuni casi, nobili, per raggiungere una meta più alta una dignità autentica!
La compassione è soffrire con gli altri
Gesù lo capisce e la sua compassione diventa percepibile; la folla la percepiva e lo seguiva ed era attenta ai suoi insegnamenti!
Perché?
Perché la compassione di Gesù era autentica, significativa, quasi palpabile!
Ma cos’è la compassione?
Non è un semplice sentimento di simpatia, una lacrima di dolore o una elemosina più o meno ostentata.
Si legge nel Dizionario Garzanti la seguente definizione:
“…moto dell’animo che porta a soffrire dei mali altrui come se fossero propri”.
Quindi “compassione” vuol dire aver “passione o sofferenza con”; vuol dire patire, soffrire con chi patisce e soffre .
Gesù soffriva di una molteplice sofferenza con la moltitudine; e solo nel lenire l’altrui sofferenza egli trovava sollievo alla propria sofferenza.
Una tale compassione non poteva che produrre frutti benedetti, sorreggere i cuori e…ridare la vita! E la compassione di Gesù non ebbe limiti nella sua manifestazione.
La compassione nella “passione”
Fu nella sofferenza che chiamiamo la sua “passione” che quella compassione raggiunse il suo punto supremo.
L’evangelista Marco ci racconta che “Gesù vide una grande folla e ne ebbe compassione…” e questa vicenda si concluse quando egli per la stessa compassione entrò nel suo Getsemani e salì sulla croce!
La Croce…!
Noi, dopo più di venti secoli, l’abbiamo idealizzata, pensando unicamente al suo beneficio eterno per l’umanità; noi cristiani l’abbiamo, circonfusa di gloria, collocata in un cielo luminoso di grandezza e di potere assoluto.
Ma allora, quando la eressero sul Calvario nel luogo denominato Teschio, dobbiamo ricordarci che era il più ignominioso dei patiboli.
E su quel patibolo egli, il Signore, stese le braccia inchiodate dagli uomini nel gesto ultimo e supremo diaccoglienza, nell’insuperato ed insuperabile culmine della compassione.
Questo gesto immortalato in innumerevoli dipinti artistici testimonia ancora oggi che egli accoglie tutta la moltitudine di coloro che si prostrano col cuore; un cuore ripieno di viva fede e speranza, certi della sua accoglienza e della sua misericordia.
Il mistero della redenzione è tutto compreso nel mistero della compassione di Gesù.
Avere compassione con la parola
Ma l’evangelista Marco ci racconta che al sentimento profondo che origina la compassione, Gesù dà seguito in modo stupefacente e sorprendente: “…si mise ad insegnare loro molte cose.”
Evidentemente Gesù ravvisa molte necessità esistenziali pratiche. ma anche morali comuni alle persone che lo seguono e di par suo vi pone subito rimedio.
Il suo insegnamento è estemporaneo non organizzato secondo i criteri dei “maestri” del tempo e non avviene nei luoghi deputati a questo come le sinagoghe o altri, ma si lega con immediatezza alla contemporaneità deibisogni che egli ravvisa.
I bisogni sono molti e diversificati ma sono comuni a tutti: uomini, donne, anziani e giovani poveri e anche meno poveri accomunati dal desiderio di essere in qualche modo appagati dalle parole di un uomo che, evidentemente, è più di un rabbi, di un maestro, perché parla ed agisce a seconda delle necessità, e fa questo con autorevolezza inconsueta che genera attenzione e credibilità.
Gesù è un uomo che incarna il suo messaggio, questo lo hanno capito tutti, Egli è un testimone di ciò che dice perché fa quello che dice, parla e agisce con una autorità finora sconosciuta (Mt 7:29; Mr 1:22).
Gesù lo sa e agisce in conseguenza; non si cura delle forme “rituali” “liturgiche” “organizzative”, non ha bisogno di tutto questo anzi, lo relativizza con la sua azione perché egli è testimone della Parola che proferisce, una Parola che egli annuncia in ogni momento, con lo Spirito del Pastore che ama ed ha pietà per il gregge che sente come “suo” potenzialmente ed ammaestra perché questo avvenga!
Comportamento e insegnamento
L’apostolo Paolo riprenderà questo insegnamento comportamentale di Gesù vivendolo di persona e trasmettendolo ad un suo discepolo carissimo,Timoteo, con questa cogente e appassionata esortazione:
“Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti e per la sua apparizione e per il suo regno: Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo (altri traducono : in ogni occasione favorevole o sfavorevole), riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo..” (2Ti 4:1, 2).
Poiché Gesù è la Parola di Dio fatta carne (Gv 1:14) ma anche Il Pane della vita (Gv 6:35, 51), è sommamente utile ricordare che egli, rispondendo all’avversario, che ancora oggi imperversa nel mondo seminando panico ed ingiustizia, disse:
“Sta scritto: «Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma d’ogni parola che proviene dalla bocca di Dio»” (Mt 4:4; De 8:3).
Chiamati ad avere compassione
Rimane un interrogativo al quale ognuno di noi che si professa cristiano dovrebbe rispondere: vale a dire chiederci se in noi, che del nome di Cristo ci chiamiamo e ci gloriamo, vi sia riconoscenza per una tale e tanta compassione; e se quella riconoscenza si manifesti in altra compassione, la compassione nostra, la compassione di tutti i fedeli che è chiamata a perpetuare nel mondo la compassione di Gesù che univa la Parola all’azione concreta .
Ognuno deve farlo per sé stesso!
Io non posso fare altro che proporlo nella consapevolezza che il “cristianesimo” odierno per malintesi storici, teologici e “pastorali” vive nella costante tentazione di disgiungere l’azione dalla Parola e la Parola dall’azione in una visione “unilaterale” e deviante cui fa riferimento il severo richiamo rivolto da Gesù alla chiesa di Laodicea, ma attraverso di essa ad ogni chiesa e ad ogni singolo credente che si trovino a vivere la stessa condizione di orgoglio, di presunzione e soprattutto di incoerenza fra la parola testimoniata e la Parola vissuta (Ap 3: 17-20).
Terminando,desidero lasciare davanti a noi la visione della suprema pietà nelle due braccia aperte sul Calvario ed una esortazione alla sequela, come discepoli, ad essere testimoni della Parola di Dio con chiunque ed in ogni occasione.
E siano benedetti dal Signore tutti i pensieri e sentimenti che la visione avrà suscitato e susciterà in tutti noi.