Nei primi giorni di giugno, mentre la nazionale argentina si stava allenando in un centro sportivo di Barcellona in Spagna, è improvvisamente apparso un corteo, per la verità non tanto numeroso, che sventolava bandiere e magliette della nazionale sudamericana con il numero 10 di Lionel Messi macchiate di sangue. Da tutti riconosciuto come uno dei più grandi campioni della storia del calcio, Messi, dopo questa vicenda, è diventato, purtroppo per sua scelta, campione di ben altro. I calciatori argentini si stavano allenando per i campionati del mondo in Russia e, in modo più imminente, per una partita amichevole “di preparazione” ai mondiali. Come i Bravi dei “Promessi Sposi” dal corteo è salito il grido: “Questa partita non sa da fare”! I calciatori argentini, invece di respingere le minacce, hanno pensato bene di imitare l’assai inglorioso esempio di viltà di Don Abbondio, così la partita è stata annullata, non si è più fatta e la sera di sabato 9 giugno lo stadio di Gerusalemme è rimasto desolatamente vuoto. Sì, perché è proprio la nazionale israeliana quella che l’Argentina avrebbe dovuto affrontare.
Così i giocatori argentini, la loro federazione calcistica, il loro governo si sono resi complici di chi odia Israele auspicandone da anni la distruzione. Non dobbiamo infatti dimenticare che Hamas, il movimento politico (?) che di fatto guida con le sue direttive il governo palestinese, continua a ritenere “illegittima” la presenza di Israele nella Terra Promessa e si pone come obiettivo finale quello della “distruzione dello Stato di Israele”. Hamas si colloca fra gli stessi nemici di Israele ben descritti quasi tremila anni fa da Asaf: “Poiché, ecco, i tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa. Tramano insidie contro il tuo popolo e congiurano contro quelli che tu proteggi. Dicono: «Venite, distruggiamoli come nazione e il nome di Israele non sia più ricordato!»” (Sl 83:2-4). Impressionante: a tanta distanza di tempo si ripetono i tentativi di distruggere Israele, ma, nonostante una dolorosa scia di sofferenze e di morte che ogni tentativo si è lasciato dietro, tutti sono falliti. Israele è ancora là, come nazione, come popolo: unico nella storia ad aver conservato la propria identità etnica e politica.
In tutto questo Dio non è certo estraneo; anzi Asaf identificava come nemici ed avversari di Dio coloro che congiuravano contro Israele. E Paolo ricorda che, nonostante la disubbidienza di gran parte di loro nei confronti del Vangelo, gli Ebrei “per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri; poiché i carismi e la vocazione di Dio sono irrevocabili” (Ro 11:28-29). Scegliere di schierarsi dalla parte dei nemici di Israele equivale ad ignorare i progetti di Dio nella storia, equivale ad ignorare che dagli Israeliti “proviene, secondo la carne, il Cristo che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (Ro 9:5). Con la forza e la convinzione che ci vengono dalla Parola stessa di Dio, dobbiamo riaffermare che non è dirsi discepoli di Cristo e schierarsi allo stesso tempo dalla parte dei nemici del popolo da cui Cristo “proviene”.
Il triste esempio che ci è venuto dall’Argentina è là per ricordarci che per essere antisemiti non occorre esprimere apertamente, con parole e con azioni, il proprio odio per Israele e per gli Ebrei. È sufficiente allinearsi, come complici, con i loro nemici, sottostare alle loro minacce e ai loro ricatti. Antisemita non è soltanto chi è palesemente ostile ad Israele, ma anche chi si fa suo complice come anche chi è, più semplicemente, indifferente. Con Paolo proviamo “una grande tristezza” (Ro 9:2) nel pensare ai tanti Ebrei che non riconoscono in Gesù di Nazaret il loro Messia, il loro Cristo, ma, a questa, si aggiunge anche la tristezza nel veder diffondersi in modo sempre più preoccupante antipatia ed ostilità nei loro confronti.