Cosa si intende per “conoscenza”?
Desidero condividere qualche riflessione sulla importanza di conoscere Cristo. Paolo ai Filippesi (Fl 3:8) scrive:
“Ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto”.
La conoscenza di Dio è proprio l’essenza della vita eterna (Gv 17:3).
Cosa intende Paolo per “conoscere”?
La parola “conoscere” secondo il Vocabolario Treccani vuol dire “avere notizia o cognizione precisa di una cosa”, “sapere quale sia l’aspetto o la natura di una cosa o persona” ma anche “avere pratica di qualcosa”, “averne fatto esperienza”.
La parola greca presente nel testo originale ha alla base il concetto di esperienza sensibile, di familiarità/dimestichezza con l’oggetto conosciuto. Sia nell’Antico Testamento che nella cultura greca, la conoscenza non è rivolta a un oggetto dal quale ci si mantiene distante ma si rinnova in un continuo rapporto di familiarità.
La parola greca si potrebbe dunque tradurre con “conoscere personalmente”, “conoscere per esperienza”, “essere in amicizia”(in una sua tragedia Eschilo usa proprio il termine gnostos per indicare un amici intimo), “avere una intima relazione”.
Che non si tratti di una mera conoscenza intellettuale, che non sia un semplice “avere nozioni su” lo chiariscono alcuni esempi di utilizzo di tale verbo nella Scrittura:
• “Non c’è mai più stato in Israele un profeta simile a Mosè, con il quale il SIGNORE abbia trattato faccia a faccia” (De 34:10).
Nella LXX, il verbo usato è proprio lo stesso usato da Paola ed indica il rapporto intimo, privilegiato che YHWH ha avuto con Mosè.
• In 2Corinzi 5:21ci viene detto che Gesù non ha conosciuto peccato.
È evidente che non stia dicendo che Gesù non sa cosa sia il peccato, ma che lui e il peccato non hanno mai avuto a che fare.
• In Gv 7:49 ci viene detto che il popolino non conosce la legge.
Questo non vuol dire che non la sapeva, ma piuttosto che non la praticava.
• Infine lo stesso verbo è usato in Matteo 1:25 e in Luca 1:34 o in molti passi della LXX (Ge 4:1; Ge 19:8) per indicare l’intimità della relazione sessuale.
Anche in italiano in realtà conoscere ha un significato più profondo di “avere informazioni su”.
Un esempio: molti possono sapere chi è Caio; la maggior parte sanno anche che lavora nell’azienda “Tal dei Tali”, ama la musica o lo sport, è di Napoli, ha una moglie che si chiama Caia, due figli che si chiamano Tizio e Sempronio… Se qualcuno non ha queste informazioni, può facilmente procurarsele.
Ma conoscere Caio è un’altra cosa! Vuol dire conoscerne il carattere, sapere come reagirebbe a diverse circostanze…
E ci sono diversi livelli di conoscenza di una persona. Un collega, un amico, un parente, un fratello in fede, la moglie conosceranno Caio in modo diverso, in maniera crescente.
Paolo per conoscenza di Cristo non intende dunque il sapere chi è Cristo, cosa ha fatto per noi…
Non intende sapere tante cose su Cristo, sapere intorno a Cristo, l’aver studiato le Scritture. Tutte queste cose sono necessarie per la conoscenza di Dio ma non sono sufficienti! Pensiamo agli scribi che conoscevano le Scritture tanto bene al punto da insegnarle, ma in realtà erano ben lontani dal conoscere Dio tanto che hanno rifiutato suo Figlio (gli Ebrei percepivano nell’insegnamento degli scribi questa mancanza di conoscenza di Dio, Mt 7:29).
Paolo stesso prima di cadere sulla via per Damasco, conosceva benissimo le Scritture, sapeva tante cose su Dio ma non conosceva Dio.
Poi ha avuto una esperienza personale col Signore, lo ha conosciuto personalmente ed è questa conoscenza che Paolo ci esorta a ricercare; Paolo vuole che approfondiamo questa conoscenza perché rispetto a questa conoscenza “ogni cosa è un danno”, “ogni cosa è spazzatura”.
Se scorriamo velocemente i versetti di Filippesi 3:3-7 vediamo che tra queste cose c’è tutto quello di cui egli si sarebbe potuto vantare, le cose cui dava valore prima della sua conversione: il suo essere ebreo purosangue, il suo zelo per Dio (zelo privo di conoscenza), la sua ortodossia farisaica, la sua irreprensibilità legale, tutte queste sono da considerarsi spazzatura rispetto all’avere un rapporto personale con Gesù.
Notiamo che Paolo non dice che l’interesse per il mondo, la ricerca del piacere, il potere, l’orgoglio, l’ambizione, l’egoismo, il successo personale… sono spazzatura!
Paolo vuole invece sottolineare che tutto quello che siamo e facciamo, anche se di per sé non sbagliato, tutte le cose anche apparentemente buone sono spazzatura, sterco (l’originale, skubala, si trova solo in questo passo e significa “escremento, sterco” e, per metafora, “cosa di nessun valore e importanza”) rispetto all’eccellenza della conoscenza di Gesù!
Un servizio senza conoscenza?!?
Ho l’impressione che a volte conoscere sempre di più Cristo, sperimentare una sempre più intima comunione con lui, fare esperienze con lui non sia la priorità della nostra vita spirituale.
Non solo Cristo non è al primo posto della nostra vita, ma addirittura non è neanche al primo posto della nostra vita spirituale; perché tale posto può essere occupato da tante altre cose, tutte cose in sè buone, giuste e anzi desiderabili, che devono essere senz’altro ricercate ma mai anteposte o preferite a Gesù.
A volte mettiamo al primo posto nella nostra vita spirituale il servizio per Signore, lo zelo per Dio, il nostro ministero (cura pastorale, predicazione, evangelizzazione, scuola domenicale, musica, servizio in un agape…).
Siamo talmente presi dal nostro servizio che possiamo arrivare a trascurare Gesù, a mettere da parte la relazione con lui per concentrarci su quello che egli ci ha detto di fare.
Siamo troppo occupati da quello che facciamo per lui e non abbiamo tempo di stare con lui e magari ci rassicuriamo dicendo che è l’effetto collaterale del nostro impegno, che il Signore è grande capisce e comprende quest’atteggiamento.
Vi confesso che a volte a me è successo: ero tutto concentrato per esempio a preparare uno studio, passavo le ore appunto a leggere, a studiare la Parola, a pensare a come presentare il messaggio, e nel far questo perdevo di vista lui.
Credo sia un pericolo per tutti noi: a volte rischiamo di fare cose per Gesù invece di farle con Gesù. E questo atteggiamento, che ricorda lo zelo senza conoscenza di Romani 10:2, comporta almeno tre tipi di problemi:
• Cerchiamo di portare avanti il nostro ministero con le nostre forze, invece che affidarci alle sue (rischiamo di fare come Salomone: dammi la saggezza che poi ci penso io; “da’ dunque al tuo servo un cuore intelligente perché io possa amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere il bene dal male”, 1Re 3:9)
Ma se operiamo senza essere in intima comunione con lui, il nostro agire non può essergli gradito. In Matteo 7:23 ai“operatori d’iniquità”, che pure avevano scacciato demoni e profetizzato ma che non facevano la volontà di Dio, Gesù dice: “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me.” Ma il Signore più che essere interessato a come noi operiamo è interessato a operare in noi.
• Il nostro ministero probabilmente sarà anche inefficace; pensiamo all’evangelizzazione: solo se siamo in intima comunione con Gesù possiamo portare Gesù agli altri. È – credo – esperienza comune a tutti noi che è inutile provare a convincere un incredulo con ragionamenti umani perché l’unico che convince di peccato e di giustizia è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo agisce in noi solo se lo lasciamo agire, se dimoriamo in Cristo. Paolo predicò ai Corinzi “non in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza” (1Co 2:4). Solo uno che ha fatto una esperienza con Dio può testimoniare efficacemente di Dio.
• E se, pur non camminando con lui, per grazia di Dio, il nostro ministero fosse efficace, il rischio è quello di inorgoglirsi, di sentirsi spirituali, di ritenersi pedine fondamentali per l’edificazione della Chiesa, dimenticandoci che siamo solo servi inutili e che Gesù ha detto a Pietro che egli stesso, Gesù, avrebbe edificato la sua chiesa; non saremo quindi noi ad edificarla.
Fare cose per Gesù o farle con Gesù?
Cosa mettiamo al primo posto?
Lo zelo per Dio o la conoscenza di Dio?
Il fare cose per Gesù o il farle con Gesù?
A volte mettiamo al primo posto nella nostra vita spirituale la comunione con i fratelli. Amiamo stare in loro compagnia, partecipiamo a tutte le riunioni e a tutte le agapi, ci facciamo in quattro per aiutarli se hanno un problema, li ascoltiamo se hanno bisogno di sfogarsi, li confortiamo se piangono, andiamo a trovarli in ospedale se sono malati, prestiamo loro dei soldi se sono in difficoltà economiche…
Ma se perdiamo di vista Gesù, se distogliamo lo sguardo da lui, diventiamo un club, i cui membri si vogliono bene, si aiutano, si incoraggiano come una qualunque società di mutuo soccorso. Ma anche i testimoni di Geova si chiamano fratelli l’uno con l’altro e anche tra loro vi è amicizia e solidarietà.
Ricordiamo che la vera comunione con i fratelli è possibile solo se siamo in comunione con Gesù: se un pianoforte è accordato con un diapason, sarà accordato con tutti gli altri pianoforti (dieci o cento o mille, il numero non importa) accordati con lo stesso diapason.
Se proviamo ad accordare il nostro pianoforte direttamente su quello del fratello, corriamo il rischio di disaccordare invece che accordare il nostro pianoforte. La comunione con i fratelli è un dono meraviglioso ed è fondamentale per la nostra edificazione e per vivere appieno le benedizioni che il Signore ci ha riservato, ma prima di cercare la comunione fraterna, dobbiamo vivere quella con Gesù.
Comunione con la Chiesa o comunione con il suo Capo?
Cosa mettiamo al primo posto?
La comunione con il corpo o la comunione con il Capo della Chiesa?
A volte possiamo mettere al primo posto della nostra vita spirituale il servizio sociale, il prendersi cura dei più deboli, il“soccorrere le vedove e gli orfani”. Ci sono alcuni fratelli che hanno una particolare sensibilità a questo riguardo, ci sono denominazioni o chiese locali molto orientate verso l’aspetto sociale.
Ma se non viviamo con Gesù, il nostro operare verrà incontro solo ai loro bisogni materiali e non a quelli spirituali perché come posso pensare di poter dare loro del cibo spirituale se io stesso non siedo alla tavola del Signore a sfamarmi continuamente di lui?
Madre Teresa ha fatto grandi cose in India per i “fuori casta” ma nel suo diario si lamentava di non sperimentare la presenza di Dio. Che cibo spirituale poteva dare ai suoi assistiti?
Se non camminiamo con Gesù, se non dimoriamo in lui, il nostro diventa un servizio sociale come quello di Emergency o Medici senza Frontiere o Greenpeace: i nostri “ideali” possono essere più elevati (l’amore di Cristo invece che la filantropia o l’ecologia o il pacifismo) ma i risultati sono gli stessi: possiamo fare qualcosina per migliorare le condizioni fisiche delle persone, ma non possiamo dare loro ciò di cui hanno veramente bisogno.
Ai figli di Dio viene richiesto più che aiutare i bisognosi, ai figli di Dio viene chiesto di amare il prossimo come egli ha amato noi; e se non conosciamo Cristo questo è impossibile.
Se non frequentiamo Cristo, possiamo al più amare i nostri fratelli o quelli che ci hanno fatto del bene, possiamo al più tollerare i nostri nemici ma amarli è impossibile. Amare il nostro prossimo è possibile solo se noi dimoriamo in Cristo e se egli dimora in noi.
A volte mettiamo al primo posto nella nostra vita spirituale il cercare di camminare secondo le sue vie, l’assomigliare sempre più a lui; vogliamo tenere una condotta di vita coerente con la nostra fede: leggiamo la Bibbia e cerchiamo di mettere in pratica quanto dice. Ma se non siamo in comunione con lui è tutto inutile perché non ce la possiamo fare. L’unico modo per vivere una vita coerente con gli insegnamenti biblici è lasciare che egli viva in noi.
La risorsa per camminare in modo a lui gradito è dentro di noi, se non attingiamo a questa risorsa, cadiamo nel legalismo, nella religiosità, nell’imporci regole. I figli di Dio hanno ampia libertà in Cristo riguardo il loro comportamento, purchè esso ovviamente sia conforme alla Scrittura e non sia di inciampo o di scandalo o di danno ai fratelli (vedi 1Corinzi capitoli 8 e 10).
Oltre questo, noi siamo chiamati a comportarci secondo la nostra coscienza: coscienza che deve essere nutrita, istruita, edificata dallo Spirito Santo attraverso un rapporto personale con Dio. Non dobbiamo fare l’errore di imporci delle regole al di là di quello che è scritto e magari imporre le stesse regole anche ai nostri fratelli solo perché a noi la nostra coscienza ci dice che è giusto fare così; dobbiamo piuttosto pregare e aspettare che anche la coscienza dei nostri fratelli riceva luce su un particolare comportamento. Sto parlando ovviamente di cose su cui la Scrittura non è esplicita (quanto tempo/denaro donare alla chiesa, come vestirsi, come pregare…).
L’unico modo per camminare in maniera a lui gradita è lasciarlo vivere al nostro posto; il nostro dovere nei confronti dei nostro fratelli è proprio quello di esortarci incoraggiarci l’un l’altro a farlo, piuttosto che porci e porre agli altri delle regole e dei paletti.
Più valore ai doni o più valore al Donatore?
Cosa mettiamo al primo posto?
L’operare o il lasciare operare in noi il Signore?
A volte mettiamo al primo posto nella nostra vita spirituale il cercare e l’utilizzare i suoi doni, i suoi carismi, le sue benedizioni. A volte, e lo vediamo anche come preghiamo, siamo più innamorati dei doni che del donatore.
Ma i doni sono elargiti per edificare la sua Chiesa e per spingerci a ricercarlo sempre di più. Sono un mezzo, non un fine, che dobbiamo usare per arrivare al vero fine: la conoscenza di Cristo.
Cosa mettiamo al primo posto?
I doni o il Donatore?
Studiamo Cristo o conosciamo Cristo?
A volte mettiamo al primo posto la conoscenza su Cristo, il sapere più cose su di lui, la sana dottrina, il cercare di capire meglio i misteri della sua persona, del suo piano di redenzione, degli ultimi tempi… Per questo leggiamo tanti libri, studiamo commentari, ci sforziamo di leggere i testi greci e ebraici.1
Tutto lecito e buono e doveroso, è giusto studiare e approfondire la Parola, anche utilizzando strumenti che altri fratelli ci hanno messo a disposizione, è giusto e dobbiamo farlo ma ci sono dei rischi dietro a questo.
Il primo è di avere una fede intellettuale: posso conoscere benissimo il Gesù storico, posso saper descrivere i suoi attributi, le sue qualità, il mistero dell’incarnazione, le relazioni con le altre persone divine ma se non conosco il Gesù vivente, se non vivo con lui, se non mi siedo ogni giorno alla sua tavola per sfamarmi con lui, che giova tutto il mio sapere?
Rischia di essere quella “conoscenza che gonfia” di cui Parla Paolo (1Co 8:1), che può portare a aride speculazioni, a filosofeggiare, allo gnosticismo, al disprezzo dei fratelli che sono dottrinalmente meno preparati di noi.
Può portare anche a vivere un cristianesimo di seconda mano, un cristianesimo di riciclo, un cristianesimo per “sentito dire” invece di una esperienza personale con Cristo; a volte andiamo ad abbeverarci alla fonte di uomini di Dio che hanno ricevuto molta luce e quasi pendiamo dalle loro labbra per lo spessore delle cose che il Signore ha rivelato loro.
Ma perché vogliamo andare a una fonte secondaria, a una cisterna, quando possiamo abbeverarci direttamente alla fonte primaria?
Perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci riveli quanto è grande Gesù Cristo invece di sperimentarlo noi stessi?
La conoscenza di Cristo deve essere una conoscenza per esperienza, una conoscenza per frequentazione, simile a quella che c’è tra marito e moglie (normale conseguenza dell’essere la Chiesa la sposa di Cristo): io so come è fatta mia moglie, di cosa ha bisogno, cosa le fa piacere e cosa no; e lo so non perché qualcuno me lo ha raccontato, ma perché ci vivo assieme e imparo giorno dopo giorno a conoscerla meglio. So quando è triste o so quando è contenta senza bisogno di parlarci. Non ho mica bisogno di andare da mio suocero o da mia cognata a chiederle come è mia moglie, cosa le fa piacere. Qualche volta in realtà telefono a mia cognata e le chiedo un suggerimento per un regalo ma sono eccezioni e man mano che passano gli anni questo succede sempre più raramente; se telefonassi continuamente a mia cognata per chiederle di aiutarmi a capire come sta mia moglie, se è davvero un po’ triste o se mi sbaglio, che razza di matrimonio sarebbe?
Sarebbe un matrimonio disastroso quello nel quale i coniugi non si conoscono.
Il nostro dovere allora, come membri della Sposa di Cristo, è crescere nella conoscenza dello Sposo; lo possiamo fare anche confrontandoci con i fratelli, leggendo libri o ascoltando esperienze di altri e naturalmente leggendo quotidianamente la Parola, ma il canale principale per conoscere Cristo è Cristo stesso: dobbiamo andare direttamente da lui, passare più tempo possibile in sua compagnia.
In realtà noi siamo sempre in sua compagnia perché lui è dentro di noi, ma a volte ignoriamo la sua presenza, non godiamo la sua compagnia. Se io amo mia moglie, vorrò stare più tempo possibile in sua compagnia, non mi accontenterò di passare il tempo in compagnia di chi è stato in compagnia di mia moglie.
Allo stesso modo, se io amo Gesù, desidererò trascorre il maggior tempo possibile in sua compagnia. Paolo appena ricevuta la rivelazione sulla via di Damasco non si è consultato con nessuno (Ga 1:16-17) proprio perché voleva una “rivelazione di prima mano”. È vero, era Paolo, era un momento storico unico, non esisteva il Nuovo Testamento.
Oggi abbiamo altri strumenti, ma è bene riflettere su questa scelta di Paolo di andare a cercare il Signore nel deserto invece di correre a farselo raccontare da Pietro e gli altri apostoli. Poi, solo in un secondo momento, è andato a consultarsi con gli apostoli e anche questo è un bell’insegnamento per noi: dobbiamo sempre verificare le presunte rivelazioni che il Signore ci ha dato alla luce della Scrittura e del parere dei fratelli/anziani
Cosa mettiamo al primo posto?
Lo studiare Cristo o il conoscere Cristo?
La conoscenza di Cristo o l’esperienza con Cristo?
Il seguire lui direttamente o il farci indicare la via da un altro?
Diamo più valore alla Bibbia o all’Autore della Bibbia?
A volte mettiamo al primo posto nella nostra vita spirituale la Bibbia.
Sappiamo che dono prezioso e inesauribile sia la Scrittura, è la Parola di Dio: ci parla di Gesù, è fondamentale per farci conoscere meglio Gesù ma non è Gesù.
La Bibbia è la lettera d’amore di Dio all’uomo ma non è l’Amante; non dobbiamo sostituire la lettera d’amore a Colui che ama. Dobbiamo ricordarci bene che nel nuovo patto ognuno di noi è chiamato ad essere “una lettera di Cristo scritta con lo Spirito del Dio vivente” (2Co 3:3).
La Bibbia è lettera morta se non viviamo personalmente e giornalmente Gesù. Quando parliamo con non credenti, ci capita di spiegare che la nostra non è una religione e spieghiamo quali sono le differenze tra la religione e il Vangelo o la religione e l’essere cristiani.
Tra le tante differenze che possiamo elencare, una delle più importanti è questa: ogni religione ha avuto un fondatore (pensiamo a Maometto, a Confucio, a Joseph Smith), che ha predicato, ha raccolto attorno a sé dei seguaci, ha lasciato un insieme di insegnamenti che lui stesso o i suoi discepoli hanno raccolto formando un libro sacro, poi questo fondatore è morto e i suoi seguaci cercano di metterne in pratica gli insegnamenti sotto la guida di maestri o capi spirituali umani, che danno le direttive e si assicurano della ortodossia dottrinale, del comportamento e della salute spirituale dei seguaci.
La differenza fondamentale riguarda proprio il fondatore perchè nel nostro caso il fondatore è Dio, è vivente ed è ancora a capo della sua Chiesa.
Egli non ha detto ai suoi discepoli:
“Bene, il mio compito è finito, ho fatto quello che dovevo fare, ho detto quello che dovevo dire, l’Antico Testamento già lo avete ora scrivete il Nuovo Testamento, assicuratevi che chi vi seguirà lo studi bene e ne segua gli insegnamenti. Ci vediamo al mio ritorno”.
Ma ha detto loro e dice oggi anche a noi che rimarrà con noi “tutti i giorni fino alla fine dell’età presente” (Mt 28:20).
Noi non abbiamo bisogno di un vicario perché il vicario presuppone che Gesù sia assente, cosa che non è vera, però a volte sembra che un vicario ce lo vogliamo costruire a tutti i costi; per i cattolici è il papa, per noi potrebbe a volte essere la Bibbia.
Ma Gesù ci ha detto: “Venite a me”, non “Andate al libro”. La Bibbia in alcuni passi è oscura proprio perché il Signore vuole che andiamo da lui a chiedergli rivelazioni.
Chiediamoci:
cosa mettiamo al primo posto?
La lettera d’amore (la Bibbia) o la Persona che ci ama (Gesù)?
Gesù o un suo vicario?
La relazione personale con Cristo è il fondamento della vita cristiana!
Studiare Cristo, studiare la Parola, servire il Signore, cercare di camminare secondo le sue vie… tutte cose in sé buone, giuste e anzi desiderabili, che devono essere senz’altro ricercate ma tutte queste non sono niente, anzi sono addirittura un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù perché nessuna di queste cose può veramente farci crescere spiritualmente.
Solo un rapporto personale col Signore, intimo, coltivato quotidianamente, può farci crescere spiritualmente e renderci capaci di evangelizzare, di servirlo, di amare il prossimo, di capire la Parola, di spiegarla agli altri con efficacia e soprattutto di farlo a gloria sua.
Il cristianesimo è una Persona, non una religione, né una dottrina, né una morale, né un insieme di precetti, né una società di mutuo soccorso.
Essere cristiani vuol dire avere una relazione con questa Persona.
Noi questo lo sappiamo benissimo; sappiamo benissimo che Gesù è un Dio vivente; lo professiamo, ce lo diciamo l’un l’altro, lo cantiamo (pensiamo a quel bel canto “Ei vive…”) ma le domande che dobbiamo porci sono:
Viviamo questa verità?
Trascorriamo ogni momento della nostra vita con questo Dio vivente?
Bramiamo di sederci ogni giorno alla sua tavola per poterci sfamare di lui, il Pane della Vita?
Sappiamo benissimo che Lui è in noi, ma godiamo della sua presenza?
Lo lasciamo veramente vivere in noi?
1Giovanni 5:12 ci ricorda che “chi ha il Figlio ha la vita” non “chi ha la Bibbia o la sana dottrina o la conoscenza intellettuale o il servizio per il Signore e per la sua chiesa o la comunione coi fratelli o l’operare per lui… ha la vita”.
Tutto deve passare in secondo piano rispetto a vivere una relazione personale col nostro Signore Gesù Cristo.
Come possiamo capire quanto conosciamo Cristo?
La risposta ce la da Giovanni nel suo Vangelo e nelle sue lettere:
“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4:8).
Non sono conoscenza scritturale o zelo per il Signore o spirito di servizio il termometro della comunione con Dio ma è l’amore che è in noi e che si riversa da noi sugli altri a dirci quanto conosciamo Dio.
Crescere nella conoscenza
Come possiamo invece crescere nella sua conoscenza?
Io non ho certo la ricetta e anche se pensassi di averla non mi sentirei di darvela, intanto perché molti di quelli che mi leggono conoscono certamente Gesù ben più di me e quindi non ho niente da insegnare e poi perché il rapporto personale con Gesù è appunto personale, si può arrivare a una intima relazione con Gesù in modi diversi.
Alcuni elementi sono però fondamentali:
• Leggere continuamente la Parola, per conoscere la sua maestà, i suoi attributi, quanto ha fatto e quanto farà per noi.
Non mi sto contraddicendo; prima ho detto che non dobbiamo mettere la Bibbia davanti a Gesù non che dobbiamo trascurare lo studio della Parola.
• Parlare di lui con i fratelli, confrontarci con loro.
Non mi sto contraddicendo: il parlare di lui non deve essere anteposto al parlare con lui ma bisogna farlo.
• Rimuovere tutte le barriere che si frappongano tra lui e noi, gli idoli che ci portiamo appresso.
• Essere consapevoli della sua presenza in noi e affidarci a lui per ogni cosa importante per noi, ogni momento della nostra giornata; assumere un atteggiamento di completa dipendenza e sottomissione. Tenere a mente e ripensare spesso a tutto quello che lui ha fatto e fa per noi ogni giorno.
Sappiamo che sono le esperienze forti quelle che legano le persone: due soldati che hanno combattuto assieme è probabile che rimangano legati tutta la vita da una profonda amicizia anche se magari dopo la guerra sono andati a vivere in continenti diversi. Allora ripensare alle esperienze che abbiamo vissuto con lui, ai progressi che abbiamo fatto grazie a lui è un modo per cementare la nostra amicizia con lui.2
• Pregare continuamente per ringraziare, per lodare, per adorare, per chiedere delle benedizioni, per intercedere ma soprattutto per stare in comunione con lui.
La preghiera è la forma di comunicazione più diretta tra un figlio di Dio e suo Padre.
PREGHIAMO che il Signore si riveli sempre più a noi, che ci renda sempre più consapevoli della sua presenza, che ci dia il desiderio di tenere gli occhi fissi su di lui, che ci faccia fare esperienze con lui, che ci faccia avere sempre più fame di lui, che possiamo sempre più dimorare in lui ed egli in noi, che possiamo sempre più vivere in comunione con lui, ogni minuto della nostra vita e non solo quando ci riuniamo per lodarlo o per servirlo.
1. Il materiale non ci manca: abbiamo la Bibbia in 4-5 traduzioni in italiano, abbiamo a disposizione centinaia di commentari, chiavi bibliche, atlanti storici, bibbie di studio e dizionari teologici, migliaia di libri e film, programmi PC che ci aiutano per le ricerche, siti internet a non finire. Se digitate la parola “Gesù” su Google, compaiono 6.120.000 riferimenti; se digitate la parola “Cristo”, compaiono 35.200.000 riferimenti; se uno li volesse spulciare tutti, dedicando un solo minuto per ogni riferimento, con 10 ore al giorno di lettura per 220 giorni all’anno, ci vorrebbero più di 250 anni per leggerli tutti! Direi che di informazioni su Cristo ce ne sono in abbondanza, senza contare che, mediamente, un credente della mia età, cresciuto in una famiglia di credenti, avrà sentito almeno 1000 sermoni, frequentato almeno 10 anni di Scuola Domenicale, partecipato a 10-15 Campi.