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Introduzione: la rivelazione è progressiva

 

Come Paolo stesso ci informa (vv. 3-4), in questo brano espone in modo più completo la riconciliazione che Dio sta realizzando in Cristo (cfr. 2:11-22).

A un certo punto di questa esposizione, l’apostolo afferma che il mistero che “ora… per mezzo dello Spirito è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di [Cristo] nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere… come ora” (v. 5).

Nelle altre epoche c’era stata una rivelazione parziale di questo piano di riconciliazione ma molti aspetti del progetto erano rimasti nascosti, ovvero un “mistero”.

 

Infatti fin dalla chiamata di Abramo si sapeva che il piano di Dio comprendeva la promessa di benedire tutte la famiglie della terra per mezzo della sua discendenza (Ge 12:1-3).

Poi Isaia, parlando del futuro ruolo del Servo di Dio, rivelò qualcosa in più al riguardo. Infatti Dio disse al suo Servo: “voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra” (Is 49:6).

Si sapeva pure che persone da tutte le nazioni sarebbero diventate adoratori del vero Dio, anche perché non esiste nessun Dio al di fuori di YHWH (Sl 22:27-28).

 

Ma, prima che si adempisse la profezia di Geremia inerente a un nuovo patto (Gr 31:31-34; Lu 22:20), Dio non aveva rivelato nulla su ciò che sarebbe stata la forma della nuova umanità in Cristo.

L’apostolo Pietro parla di un’altra cosa che era rimasta enigmatica per i profeti e che fu compresa soltanto nei tempi del nuovo patto, cioè il rapporto fra gli aspetti di sofferenza e gloria nell’opera del Messia (1P 1:10-12).

 

Questi esempi della natura progressiva della rivelazione ci insegnano che la Bibbia va letta come la storia della salvezza.

Questa storia è stata accompagnata da rivelazioni che permettono di comprendere il significato degli atti di Dio che avvengono in diversi contesti storici. Il profeta Amos afferma: “Poiché il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Am 3:7).

Quindi è nella natura delle cose che la rivelazione speciale sia progressiva.

Questo fatto permette all’umanità non soltanto di ricordare gli interventi sovrannaturali di Dio (Sl 111:4) ma anche di vivere alla luce di questi interventi.

 

Ne consegue che, quando leggiamo la Bibbia, dovremmo interpretare ogni sua parte tenendo presente tutto ciò che la rivelazione fa sapere su un determinato argomento, per poter seguire il pensiero di Dio fino al suo punto culminante, come quello che troviamo nei capitoli 2 e 3 di Efesini relativo alla natura e agli scopi della Chiesa.

 

 

La dispensazione della grazia di Dio

 

“Per questo motivo, io Paolo, il prigioniero di Cristo Gesù, per voi Gentili, se avete sentito della dispensazione della grazia di Dio datami per voi, che, per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, come ho scritto sopra brevemente, riguardo al quale leggendolo potete capire la mia comprensione del mistero di Cristo, il quale nelle altre generazioni non fu fatto conoscere ai figli degli uomini come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: l’essere i Gentili coeredi e membri dello stesso corpo e partecipi della stessa promessa in Cristo Gesù, per mezzo del vangelo del quale sono diventato servitore, secondo il dono della grazia di Dio che mi fu conferito secondo l’operazione della sua potenza” (3:1-7).

 

Le parole con cui il brano inizia: “per questo motivo” fanno capire che la prigionia di Paolo era dovuta al suo apostolato. Infatti la sua chiamata richiedeva che Paolo prendesse sul serio il fatto che i Gentili credenti avevano gli stessi privilegi in Cristo che avevano i Giudei credenti, al punto di formare insieme “la dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (2:22).

La fedeltà di Paolo alla sua chiamata lo rendeva odioso agli occhi dei suoi compatrioti che lo consideravano un traditore della fede dei suoi padri (si veda At 21:27-36; 26:12-21). Di conseguenza era stato arrestato e tenuto prigioniero per lunghi anni, sebbene le accuse a suo carico fossero del tutto false (At 26:30-32).

 

La frase iniziale viene interrotta, fino al v. 13, da una lunga parentesi in cui l’apostolo approfondisce “il mistero” secondo cui, nei disegni eterni di Dio, era prevista la benedizione dei Gentili che credevano in Cristo insieme con i Giudei. L’apostolo sa che i suoi lettori hanno sentito parlare di ciò che egli chiama: “la dispensazione della grazia di Dio” ma, forse in vista di una maggiore circolazione della lettera, sente il bisogno di esporla in modo più esaustivo.

Incontriamo al v. 2, per la seconda volta nel testo greco di Efesini (si veda 1:10), il termine oikonomia.

Questo termine significa letteralmente “amministrazione di una casa” (Lu 16:2-4) ma i greci l’usavano anche per significare “amministrazione” in generale e per indicare “il governo di uno Stato”.

Qui il termine si riferisce a un periodo del governo divino che si distingue, per alcuni aspetti, dal modo di rapportarsi di Dio con l’uomo “nelle altre epoche” (vv.5-6).

 

L’attuale “dispensazione”, ovvero “modo dell’amministrazione divina”, è contraddistinta dalla posizione paritaria dei Gentili e Giudei che credono in Cristo. Entrambe le volte che il termine oikonomia ricorre in questo brano (vv. 2,9) Paolo lo usa sia per descrivere il suo ruolo come destinatario della relativa rivelazione della “dispensazione della grazia di Dio” (cfr. 1 Co 9:17; Cl 1:25), sia per caratterizzare il periodo stesso.

 

La teologia sistematica che va sotto il nome di “dispensazionalismo” prende il nome dal modo in cui la parola oikonomia (“dispensazione”) viene usata in Efesini.

Partendo da quella che Paolo definisce “la dispensazione della grazia di Dio” è lecito chiedersi in quante dispensazioni ovvero amministrazioni/periodi si articoli il governo divino, anche perché dai vv. 5-7 apprendiamo che “nelle altre epoche” le cose stavano diversamente. Il nostro brano costringe chi riconosce la canonicità di Efesini a riconoscerne almeno due, essendo quella nuova “la dispensazione della grazia di Dio” (v. 2).

 

Se poi si tiene presente il periodo storico antecedente alla rivelazione della legge sul monte Sinai, quando il peccato veniva imputato in modo diverso (Ro 5:12-14), e se si tiene conto del periodo in cui Cristo “deve regnare” quando Satana sarà legato (1 Co 15:25-26; Ap 20:1-6), bisogna distinguerne almeno quattro.

Agostino contava sette dispensazioni ma, a differenza della Bibbia Scofield, secondo cui la settima dispensazione corrisponde al regno millenario di Cristo, Agostino considerava la settima dispensazione il regno eterno di Cristo.

 

Anche se tutto ciò che Dio fa per il bene dell’umanità è frutto della sua grazia, e non per merito umano, la Parola di Dio distingue fra il principio del governo divino prima della venuta di Cristo e il principio del suo governo che attiene al tempo del nuovo patto profetizzato da Geremia e istituito da Cristo (Gr 31:31-34; Lu 22:20). Tant’è che Paolo definisce quest’ultimo periodo “la dispensazione della grazia di Dio”.

 

L’apostolo Giovanni rende il concetto di una grazia “speciale” nel prologo del suo Vangelo, prima citando Giovanni il battista, il quale aveva affermato in relazione alla storia passata: “Infatti, dalla sua pienezza [della Parola] noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”, per poi aggiungere: “Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1:16-17).

 

Commentando Efesini 3:2, Hoehner scrive: “Questa grazia «speciale» è la rivelazione del mistero riguardante la Chiesa, che è composta da credenti Giudei e credenti Gentili uniti in un unico corpo. Quindi più che definirla una dispensazione di grazia, sarebbe meglio designarla la dispensazione o amministrazione della Chiesa… Paolo è stato colui al quale Dio ha affidato il compito di dispensare questo mistero e questo era in connessione con il suo ruolo specifico come l’a-
postolo delle Genti.”

Infatti nel v. 10 viene confermato che “la dispensazione della grazia di Dio” corrisponde all’epoca in cui Gesù sta edificando la sua Chiesa.

 

 

Un’illuminazione per tutti

 

“A me che sono il minimo di tutti i santi fu data questa grazia di evangelizzare i Gentili annunciando loro le insondabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti riguardo alla dispensazione che fin dalle più remote età rimaneva un mistero nascosto in Dio, il Creatore di tutte le cose; affinché ora sia conosciuta ai principati e alle potestà nei luoghi celesti, per mezzo della chiesa, la variegata sapienza di Dio secondo il proponimento eterno realizzato in Cristo Gesù, nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accostarci [a Dio] con piena fiducia mediante la fede in lui” (3:8-12).

 

Paolo contrasta il suo essere “il minimo fra tutti i santi” (in quanto aveva perseguitato la Chiesa prima della visione concessagli sulla Via di Damasco, At 9) con la “la grazia” conferitagli “di evangelizzare i Gentili annunciando loro le insondabili ricchezze di Cristo” (v. 8).

Come apostolo delle Genti, Paolo aveva due compiti:

• quello di annunciare il Vangelo di Dio “al Giudeo prima e poi al greco” (Ro 1:1-17) e

• quello di istruire gli stranieri nella fede e nella verità” (1 Ti 2:5-7).

 

Nel punto del suo ministero in cui si trovava quando scrisse Efesini si rese conto che Dio stava allargando il secondo aspetto; toccava a 
lui istruire tutti riguardo al mistero affidatogli (v. 9).

Allo stesso modo in cui sia i Giudei sia i Gentili avevano bisogno del Vangelo, così era necessario che tanto i Gentili quanto i Giudei venissero istruiti riguardo al mistero che vedeva i Gentili diventare “concittadini dei santi”. Questo non significava che i Gentili diventassero membri di Israele, bensì che diventassero membri, a pieno titolo, della nuova umanità che prende origine dal Messia d’Israele a cui partecipano sia i Giudei sia i Gentili.

 

Il punto in cui i Gentili entrano nel piano di Dio non figura come un episodio secondario del piano di Dio bensì come il suo aspetto centrale: il proponimento eterno (v. 11).

Lo strumento per la realizzazione di questo disegno eterno è il Messia promesso a Israele, la cui opera, durante il suo primo avvento, ha prodotto il Vangelo la cui proclamazione ha prodotto la Chiesa composta da tutti coloro che vi rispondono con fede (v. 12).

Fin dalle più remote età Dio aveva seguito un piano nei suoi rapporti con l’umanità. Questo “disegno eterno” era rimasto un mistero, ovvero nascosto, dalle più remote età fino all’epoca apostolica.

Questo disegno era che l’umanità intera arrivasse a godere comunione con “il Creatore di tutte le cose”, nonostante la distanza che si era creata fra l’uomo e Dio a motivo del peccato (vv. 9,11-12).

 

Come Paolo scrive altrove (2 Ti 3:14-15), il primo scopo degli Scritti sacri è proprio quello di fornire “la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù”.

Coloro che si lasciano condurre alla salvezza in questo modo costituiscono quella che il Figlio di Dio chiama “la mia ekklēsia” (Mt 16:18), ovvero l’insieme delle persone provenienti dall’ovile di Israele e dalle nazioni, che rispondono con fede alla sua chiamata (Gv 10:16).

 

La Chiesa, a sua volta, serve come strumento nelle mani di Dio per manifestare la propria variegata sapienza ai principati e alle potestà nei luoghi celesti.

Come osserva Hoehner, la parola “Chiesa” qui sta a indicare sia la totalità dei Giudei e Gentili che formano la Chiesa, sia la chiesa locale e ciò che la chiesa locale fa.

È nel nuovo modo di essere di questa comunità di persone, per esempio sforzandosi “di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace”, che essa mostra alle potenze del mondo spirituale l’infinita sapienza di Dio.

 

Sapere questo ci aiuta a essere chiesa secondo il pensiero di Dio, riconoscendo nei fatti Cristo come Capo supremo. Inoltre ci aiuta a percepire il “disegno eterno” come qualcosa di glorioso, concepito da Dio trino e sostenuto dallo Spirito Santo.

 

 

L’appello di Paolo

 

“Perciò vi chiediamo di non scoraggiarvi a motivo della tribolazione che soffro per voi la quale è per la vostra gloria” (3:13).

 

Evidentemente le notizie giunte in Asia Minore riguardo alle “tribolazioni” che Paolo soffriva, ovvero la sua prigionia a Roma, erano state motivo di scoraggiamento.

Nei versetti precedenti l’apostolo ha spiegato come le cause delle sue “tribolazioni” avessero permesso a Dio di promuovere un disegno nato nell’eternità e con delle ripercussioni cosmiche.

Ne consegue che non c’era motivo perché i suoi lettori rimanessero scoraggiati, anche perché lui non lo era.

Se lui soffriva per loro, ciò era per la loro gloria, nel senso che a motivo della sua fedeltà loro avrebbero condiviso la gloria con lui. Quindi Paolo chiude questa sezione con l’appello: “Vi chiediamo di non scoraggiarvi a motivo della tribolazione che soffro per voi”.

 

Quanto al fenomeno delle tribolazioni, Gesù non voleva che i suoi discepoli vivessero nell’illusione di poterle evitare. Infatti ai discepoli aveva detto:

“Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo” (Gv 16:33).

Da parte sua Paolo aveva scritto le seguenti parole su questo tema nella sua lettera ai Colossesi:

“Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la chiesa” (Cl 1:24).

Altrove aveva scritto che era nell’ordine delle cose che coloro che sono destinati a partecipare alla gloria di Cristo soffrissero nel tempo presente (Ro 8:17) e fa questa valutazione:

“Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo” (v. 18).

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Che cosa impariamo da Efesini 2:11–3:13 riguardo a ciò che caratterizza “la dispensazione della grazia di Dio”?

 

2. Oggi non va di moda nel mondo occidentale insistere, come hanno fatto Paolo e Barnaba, che “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (At 14:22).

Eppure ogni parte del Nuovo Testamento lo prevede. Ad esempio, Paolo scrive ai Filippesi: “Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per lui” (Fl 1:29).

C’è qualcosa che dobbiamo fare per poter considerare la sofferenza per Cristo una grazia speciale, per esempio essere più solidali con la chiesa perseguitata?