Peccato e peccati
In questi ultimi tempi ho sentito l’esigenza di tornare a riflettere su ciò che significa essere “cristiani” e mi è parso utile iniziare questa meditazione con le parole che Gesù pronuncia quando i discepoli di Giovanni lo richiamano alla necessità, non solo formale, del digiuno: risposta: “Oggi c’è lo sposo quindi si festeggia, quando lo sposo sarà tolto si digiunerà” (Matteo 9:16-17).
Ma va oltre; il digiuno può ridursi a pura formalità: vi è di più: la novità dell’Evangelo che non si può applicare“formalmente” ad un habitat cultural-religioso legittimo ma vecchio.
Il vecchio, come un abito usato e liso non reggerebbe; d’altro canto non si può mettere vino nuovo, pieno di vitalità, in otri vecchi che non sono in grado di reggere la forza dirompente della fermentazione, si perderebbe il vino e gli otri stessi: Gesù indica la necessità dell’utilizzo di otri nuovi.
Evidentemente le metafore vogliono indicare uomini e donne nuovi!
Sta forse dicendo che i discepoli di Giovanni, i Farisei e tutto il popolo di Israele con la legge mosaica hanno fatto il loro tempo?
Evidentemente si; ma non è attraverso l’eliminazione di questa fede e di questa cultura che ciò potrà avvenire ma attraverso il rinnovamento dell’uomo anche “religioso”: cambia il contenuto, “l’evangelo”, ma deve cambiare anche il contenitore: l’uomo, totalmente, nella mente nel cuore e nelle azioni del corpo.
A Nicodemo disse : “Bisogna che nasciate di nuovo” (Gv 3:7).
Come può avvenire questo? E perché deve avvenire?
Nell’Evangelo di Giovanni 1:29 troviamo le parole pronunciate dal Battezzatore Giovanni che dice: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!” Se ne deduce che, secondo l’evangelo, il peccato è la reale condizione di tutta l’umanità; le scelte individuali, volontarie o meno, ne sono la conseguenza; Paolo afferma infatti: “…tutti hanno peccato e sono privi della grazia di Dio” (Ro.3:23).
Peccato e peccati: condizione e realizzazione! Ma cos’è peccato e cosa sono i peccati?
Il peccato è una situazione di impotenza, di schiavitù, della mancanza di una capacità autentica di libera scelta.
I peccati sono le esplicazioni variegate del peccato: in 1Giovanni 3:4 leggiamo “Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge…”.
La legge, scrive Paolo, è “santa” (Ro 7:12); è “spirituale” (v. 14); è “buona” (v. 16).
“Io mi diletto nella legge di Dio”, ma ammette: “la legge signoreggia l’uomo” (Ro 7:1). Nonostante tutte le sue ottime qualità divine, la legge mette solo in risalto la schiavitù dell’uomo al peccato. Infatti Paolo, proprio ravvisando le perfette enunciazioni della legge, confessa dicendo: “ma vedo un’altra legge nelle mie membra che combatte contro la legge della mia mente..” (Ro 7:25).
Paolo fa una distinzione fra la “mente” e le “membra”; infatti quando parla ai Corinti circa l’usanza pagana della prostituzione sacra, dichiara: “…Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo”. E aggiunge: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio ? Quindi non appartenete a voi stessi. Perché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo….” (1 Co 6:18-20).
La Scrittura parla chiaro!
“Non sapete..?”: bella domanda e soprattutto legittima. Una domanda che si fa agli smemorati o agli illusi: i cristiani di Corinti del tempo soffrivano di queste patologie.
Paolo li incalza, a proposito delle liti, dicendo: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?”(1Co 6:9). Come dire: evidentemente non lo sapevate e vi chiamate in causa magari per quattro soldi; ma ora lo sapete, quindi attenzione a ciò che fate; ed aggiunge. “Non vi illudete (come dire: non cercate vie di fuga) né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”.
Ed aggiunge che non tutti ma “alcuni di voi eravate tali, ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e dello Spirito del nostro Dio” (vv. 10, 11).
Sarà capitato anche a voi di sentire qualche “buon cristiano o cristiana” affermare: “Ma io sono fatto così, non posso fare diversamente, perché lo spirito è pronto ma la carne è debole. È, questo, un detto popolare che lascia trapelare quello che un bravo teologo riformato (Heinz-Dietrich Wendland nella sua “Etica del Nuovo Testamento”, edito da Paideia 1975) definisce come il contrasto fra “l’etica della norma e l’etica della situazione” che non può essere in nessun modo riportato a Paolo.
La situazione o la condizione personale o di gruppo non produce la “norma”.
Ne consegue che né un concilio ecumenico né un sinodo, né una congregazione, né una chiesa locale o gruppo di pensiero e tantomeno un singolo individuo possono derogare dalla normativa divina alla quale l’apostolo Paolo fa riferimento.
In questi ultimi tempi stiamo assistendo, attraverso i mezzi di informazione, ad un degrado progressivo della morale nella società, un proliferare dei peccati indicati da Paolo ai Corinti nella loro estrema gravità; pena conseguente la esclusione dal Regno di Dio a venire; non solo, ma anche qui ed ora, si attua quanto previsto dall’apostolo: “…per questo Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri dei loro cuori…” (Ro 1: 22-31).
Dobbiamo, purtroppo, prendere atto anche della delibera del Sinodo Valdese 2011 riguardante “l’unione” di coppie “omosessuali”, che consente ai pastori libertà di benedizione (non di matrimonio perché ancora vietato per legge) questo in conseguenza a “scoperte scientifiche” che dichiarano la “naturalità” delle pulsioni sessuali connaturate alla formazione dell’individuo prescindendo dal sesso.
Non si tratta del problema relativo alle “pari opportunità” consentite ad individui per problemi di mutuo soccorso previsti per legge (che, a dire il vero, corrisponde ad una “benedizione” formale statale e legale un po’ ipocrita) bensì di unioni basate sulla sessualità unica dei contraenti.
La Scrittura in questo caso è stata lasciata evidentemente “sola” nella “solitudine”, non nella “esclusività” delle sue enunciazioni; la “scienza umana” ha evidentemente preso il sopravvento nelle coscienze “pastorali sinodali”.
Si ha la netta sensazione che tale delibera scaturisca da un retroterra culturale, come frutto avvelenato, dell’accettazione del Metodo storico critico che ha svuotato, con la sua presunta autorità ermeneutica, la Rivelazione della Parola, il Sola Scriptura dei riformatori; lasciando così ampi spazi ad argomentazioni sociologico-scientifiche d’avanguardia e di controversia sociale e religiosa.
Ci troviamo di fronte ad una esegesi del peccato contro il proprio corpo (1Corinzi 6:18, 19) non ritenuto più tale nella sua peccaminosità (violazione della Legge divina)
Dio ancora oggi può trasformare le vite!
Qualcuno definisce questo fatto come “progresso sociale”, avendo in mente solo il problema, purtroppo vero e deprecabile, dell’omofobia che è l’altra faccia della medaglia costituita dall’omofilia, non più intesa come amore e dono di sé stessi per l’umanità, bensì trascesa e degenerata nella “fornicazione omosessuale”.
Non avendo voluto tenere nel debito conto la parola apostolica di Paolo, i sinodali hanno dimenticato che l’apostolo non si limita ad indicare la natura peccaminosa di “fornicatori e sodomiti” come colpa irreversibile ma afferma anche con autorevolezza che la “metanoia” (conversione) riassesta ciò che il peccato aveva prodotto come disarmonia “sessuale” negli individui che ne erano stati portatori:
“…siete lavati (ripuliti), santificati (separati dal peccato), giustificati (da ingiusti fatti giusti) nel nome del Signore Gesù mediante lo Spirito del nostro Dio…”.
Paolo è coerente come eccelso esegeta di Gesù che dichiarò ai Farisei che lo interrogavano: “…non avete letto che il Creatore dal principio, li creò maschio e femmina e che disse: «Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con sua moglie e i due saranno una sola cosa? Così non sono più due ma una sola carne; quello che Dio ha unito l’uomo non lo separi…” (Mt 19: 4-6).
Con queste parole Gesù non afferma soltanto l’indissolubilità del matrimonio così relativizzata e manipolata nella società e anche in ambienti religiosi; ma conferma che l’umanità, secondo il piano divino, è composta dal maschio e dalla femmina uniti come tali non solo per la continuazione generativa della specie ma anche e soprattutto come segno divino della “unicità” dell’umanità.
Ogni altra argomentazione non regge il confronto in termini di autorità spirituale e morale!
Pertanto se la conversione con annesso e conseguente cambiamento di vita di questi soggetti omosessuali è avvenuta allora, al tempo di Paolo, chiediamoci: perché non dovrebbe poter avvenire anche oggi?
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono gli stessi ed immutabili; al contrario sono mutevoli e contraddittori i ragionamenti umani, anche quelli rivestiti di argomentazioni socio-culturali che seguono un pensiero debole in termini di fede e di religiosità in generale.
Non si può, semplicisticamente, ridurre il problema a tema scientifico, è necessario riconoscere che si tratta soprattutto di un problema di fede: fede nella potenza di “rinnovamento” ad opera dello Spirito di Dio.
Confido che il popolo valdese sappia arginare e contrastare la tentazione delle sirene dell’omologazione socio-culturale, senza indulgere agli eccessivi timori relativi alla “marginalità” che fanno eccessivamente soffrire alcuni pastori e pastore suggerendo loro di riflettere, come “figli di luce” che “…il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità esaminando che cosa sia gradito al Signore…” (Ef 5: 9-11) e non esaminando “cosa sia gradito”… agli uomini!!
Proseguendo nell’analisi delle proposizioni di Paolo, ci si rende conto che con le sue concretizzazioni Egli risale non soltanto allo Spirito ma anche ad alcune “norme” come quelle del “Decalogo” e al “Comandamento dell’amore” cioè in breve, a quella volontà di Dio che indica alle chiese di ricercare.
In Paolo non esiste alternativa fra il comandamento e lo Spirito. Lo Spirito è identico alla volontà di Dio e la manifesta. Uno spirito senza il comandamento porterebbe diritto all’anarchia morale, come dimostra l’esempio degli gnostici, i quali credevano che “tutto fosse permesso”. Il comandamento senza lo Spirito porterebbe invece alla ricaduta nell’etica giudaica; senza lo Spirito resterebbe soltanto lo sforzo morale di compiere le opere della Legge…Non ha senso quindi parlare d’un contrasto fra il comandamento e lo Spirito. È vero proprio il contrario: il camminare nello Spirito ci fa compiere la “giustizia della legge” (Ro. 8:4 ).
Ciò che l’uomo non è capace di fare sotto la legge viene compiuto dallo Spirito, il che comporta la nuova obbedienza, l’azione dell’amore, l’osservanza dei comandamenti.
Affidarsi all’opera dello Spirito Santo
Lo Spirito dona quella vita nuova che la legge è totalmente incapace di creare. Alla contrapposizione tra legge e grazia si aggiunge la contrapposizione tra legge e Spirito.
L’etica in Paolo non è un etica del puro dovere, ma è un’etica che congiunge il dovere e il poterebasandosi sul presupposto della vita nuova: Non si dice “Tu lo puoi fare quindi lo devi fare” ma si dice: “Lo puoi fare perché hai ricevuta la vita nuova”.
Questo potere non è fondato sulla natura morale dell’uomo, ma è un potere escatologico e spirituale.
Paolo affermò:
“Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura ; le cose vecchie sono passate; ecco sono diventate nuove” (2Co. 5:17).
“Otri vecchi ed otri nuovi”: il pensiero di Paolo ha le radici nel discorso della montagna e nella predicazione etica di Gesù.
Ciò comporta anche una volontà nuova, una volontà ad ubbidire alla Parola di Gesù ed alle esortazioni apostoliche. Pietro così si espresse: “…eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo…” (1P 1:2).
Purtroppo ai giorni nostri sta avvenendo ciò che Paolo rilevava al suo tempo vale a dire: “…verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito d’udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole…” per questo motivo esorta Timoteo dicendo “…predica la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, convinci rimprovera esorta…” (2Ti 4:2, 3).
Oggi sono questi i tempi: amore per il denaro, fornicazione come strumento privilegiato di rapporto uomo donna, omosessualità, egoismo e quant’altro determinano la nostra società non più “cristiana”.
La comunità ecclesiale deve reagire affidandosi all’opera dello Spirito Santo.
Voglio terminare con una indicazione di Dietrich Boneheffer: “Lì dove predominano la Scrittura, la preghiera e l’affermazione della fede, arriverà sempre anche la tentazione. Essa è segno che il nostro ascolto, la preghiera e la fede sono in autentico rapporto con la realtà.
Non si potrà trovare alcun rifugio dalla tentazione se non rivolgendosi di nuovo alla lettura e alla meditazione. Così il cerchio si chiude” (da “Una pastorale evangelica”, Claudiana 1990 pag.92).
Raccogliamo anche l’esortazione di questo martire ed affidiamo la nostra vita unicamente alla Parola del Signore.