Il Salmo 45:
un canto nuziale di tremila anni fa
“Mi ferve in cuore una parola soave;
io dico: «L’opera mia è per il re;
la mia lingua sarà come la penna di un abile scrittore».
Tu sei bello, più bello di tutti i figli degli uomini;
le tue parole sono piene di grazia;
perciò Dio ti ha benedetto in eterno.
Cingi la spada al tuo fianco, o prode;
vèstiti della tua gloria e del tuo splendore.
Avanza maestoso sul carro,
per la causa della verità, della clemenza e della giustizia;
la tua destra compia cose tremende.
Le tue frecce sono acuminate;
i popoli cadranno sotto di te;
esse penetreranno nel cuore dei nemici del re.
Il tuo trono, o Dio, dura in eterno;
lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia.
Tu ami la giustizia e detesti l’empietà.
Perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto
d’olio di letizia; ti ha preferito ai tuoi compagni.
Le tue vesti sanno di mirra, d’aloe, di cassia;
dai palazzi d’avorio la musica degli strumenti ti rallegra.
Figlie di re sono fra le tue dame d’onore,
alla tua destra sta la regina, adorna d’oro di Ofir.
Ascolta, fanciulla, guarda e porgi l’orecchio;
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre,
e il re s’innamorerà della tua bellezza.
Egli è il tuo signore, inchinati a lui.
E la figlia di Tiro ti porterà regali,
e i più ricchi del popolo ricercheranno il tuo favore.
Tutta splendore è la figlia del re, nelle sue stanze;
la sua veste è tutta trapunta d’oro.
Ella sarà condotta al re avvolta in vesti ricamate;
seguita dalle vergini sue compagne,
che gli saranno presentate;
saranno condotte con gioia ed esultanza;
ed esse entreranno nel palazzo del re.
I tuoi figli prenderanno il posto dei tuoi padri;
li farai principi su tutto il paese.
Io renderò celebre il tuo nome per ogni età;
perciò i popoli ti loderanno in eterno” (Sl 45:1-17).
“Egli mi ha condotta nella casa del convito, l’insegna che stende su di me è amore” (CdC 2:4).
Introduzione
Il Salmo 45 è un inno nuziale o un canto d’amore, un’opera di altissima poesia scritta tremila anni fa; doveva essere cantato dal coro con una melodia denominata “i gigli”.
Esso descrive la gloria e la magnificenza dello sposo che, nel caso specifico, è un re di cui vengono esaltate le virtù ed i caratteri; gloria a cui viene associata la sposa, nel suo splendido abbigliamento nuziale.
Questo Salmo può essere definito una delle “perle” più preziose nella “collana” dei Salmi.
Gli studiosi delle Sacre Scritture sono concordi nel definirlo un Salmo messianico, ossia una scrittura profetica che può essere riferita al trionfo del Messia (il Cristo) quando, alla fine dei tempi, saranno celebrate quelle che in Apocalisse sono chiamate le “nozze dell’Agnello”, ossia l’unione di Cristo con la sua sposa, la Chiesa.
Il quel giorno il trionfo di Cristo sarà completo: tutti “i nemici” saranno stati sottomessi ed “ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Fl 2:11).
Chi ha scritto questo salmo? Sappiamo che la sacra Scrittura è stata redatta da uomini di Dio sotto la guida e l’ispirazione dello Spirito Santo (cfr. 2P 1:21). Ma in questo Salmo lo Spirito Santo pare prendere la parola in prima persona, come nel primo capitolo della lettera agli Ebrei, dove Dio il Padre si rivolge al Figlio, chiamandolo a propria volta Dio.
Una cosa è certa: l’autore ha moltissime cose da dire e vorrebbe dirle col cuore, ma anche nella forma migliore, veramente degna di un re: perciò vorrebbe avere l’abilità di un vero poeta e di un abile e veloce scrittore.
Toccherà quindi una elevata varietà di temi, ma noi ne coglieremo solo alcuni dei più salienti.
La persona di Cristo
Il primo tema che l’autore prende in esame è la persona del re che egli afferma, essere “il più bello di tutti gli uomini”. Il tono con cui gli si rivolge direttamente rivela un entusiasmo irrefrenabile: “Tu sei il più bello di tutti i figli degli uomini!”
Nel giorno di Cristo sarà lui il centro dell’attenzione generale perché egli, il Cristo glorioso, sarà il più bello di tutti coloro che saranno presenti. Ma occorre precisare che la sua bellezza non deriverà dal fatto di essere figlio di Dio, ma dall’essere figlio dell’uomo.
Questo vorrà dire forse che le sue sembianze saranno umane, ossia antropomorfe? Sarà così anche per noi? Non lo sappiamo con sicurezza, ma che senso avrebbe se egli avesse forma umana, mentre i credenti che saranno intorno a lui avessero dei corpi “spirituali”, ma senza alcun nesso con le sembianze avute nella vita fisica? Ad ogni modo il Cristo, nel giorno del trionfo, sarà un “figlio d’uomo” glorioso, più bello di ogni altro uomo.
A questo punto non possiamo non ricordare quel passo di Isaia, dove il profeta lo vede come non avente nessuna bellezza da attirare gli sguardi, ma anzi, così disfatto nei lineamenti “da non essere più considerato un uomo”
(Is 53:2; 52:14).
Penso al libro di Primo Levi dal titolo “Se questo è un uomo”, nel quale l’autore descrive le sofferenze di esseri umani causata dalla malvagità di altri uomini, fino al punto di far perdere loro ogni sembianza ed ogni umana dignità.
Ma Isaia vedeva il Cristo ai giorni della sua incarnazione, in quei momenti in cui il nostro peccato e tutte le nostre iniquità avrebbero pesato su di lui, fino al punto di alterarne le sembianze.
Ma ora questo tempo è passato; tutto ciò si è compiuto una volta per sempre e non si ripeterà mai più (cfr. Eb 9:12,28). Ora siamo ai giorni della “gioia che gli era posta dinanzi” (Eb 12:2) ed in vista della quale egli ha accettato il martirio sulla croce ed il cui titolo di maggior gloria sarà quello di essere stato un uomo senza peccato.
Ma vi è un elemento che merita di essere rilevato, perché gli ha valso l’approvazione e la benedizione dell’Eterno: “Le tue parole sono piene di grazia” (v. 2).
A questo proposito l’evangelista Luca narra che Gesù si recò a Nazaret in giorno di sabato ed entrò secondo il suo solito nella sinagoga (cfr. Lu 4:16); alzatosi per leggere, gli fu dato il rotolo del profeta Isaia ed egli lo aperse là dove è scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me perché egli mi ha unto per evangelizzare i poveri, per annunziare liberazione ai prigionieri, ai ciechi il ricupero della vista, a rimettere in libertà gli oppressi ed a proclamare l’anno accettevole del Signore” (Is 61:1-2).
Qui Gesù si fermò, riavvolse il rotolo e lo rese all’inserviente.
In Isaia il testo continua, dicendo: “…e il giorno della vendetta del nostro Dio”.
Quel giorno verrà, ma in quel momento il Signore Gesù era lì per annunziare “il giorno della grazia” del Signore. Infatti, sedendosi, egli disse: “Oggi questa Scrittura si è adempiuta” (Lu 4:21).
Gli occhi di tutti erano fissi su di lui e tutti si meravigliavano “per le parole di grazia che uscivano dalle sue labbra” (Lu 4:22).
Il suo parlare era tale che perfino i nemici ne erano conquistati, come quelle guardie che erano andate per arrestarlo, ma tornarono a mani vuote perché, dissero, “Nessuno parlò mai come quest’uomo!” (Gv 7:46).
“Le tue parole sono piene di grazia, perciò Dio ti ha benedetto in eterno” (Sl 45:2).
Credo che a questo punto dobbiamo fermarci a riflettere per un momento.
A volte noi possiamo avere delle idee che ci paiono buone e vorremmo non solo comunicarle ad altri, ma anche che gli altri le recepissero come tali, ma spesso cosa avviene? Le parole passano per così dire sopra le teste, non vengono ricevute e talora sono respinte.
Perché avviene così? Perché le nostre parole non sono “piene di grazia”, non hanno quella grazia che fa accettare talora anche le cose scomode. Le parole del Signore Gesù erano invece “piene di grazia”. Chiediamo al Signore che ci aiuti ad avere sempre delle parole piene della sua grazia ed allora la benedizione divina ci assisterà in tutte le nostre imprese.
La Parola di Cristo
Il secondo tema che l’autore del Salmo prende in esame è la Parola di Cristo, rappresentata dalla spada.
“Cingi la spada al tuo fianco, o prode” (v. 3). Non è difficile individuare nella spada che cinge il fianco del prode la Parola di Dio, definita dall’apostolo Paolo la spada dello Spirito (Ef 6:17).
Perché la Parola di Dio è definita “la spada dello Spirito”? Perché lo Spirito Santo agisce quando è all’opera la Parola di Dio.
L’identificazione di Cristo con la Parola (Gv 1:1-2) fa sì che Dio operi solo in un contesto in cui la sua divina Parola sia onorata ed accettata.
“Egli vi guiderà in tutta la verità” (Gv 16:13) aveva detto Gesù, parlando ai discepoli dello Spirito Santo che avrebbe loro mandato. Ed infatti la verità è il primo dei tre caratteri peculiari della Parola divina che sono indicati al v. 4 del Salmo 45: la verità, la clemenza e la giustizia.
• La verità è dunque uno dei caratteri peculiari della Parola di Dio.
“Santificali nella tua verità: la tua Parola è verità” (Gv 17:17) aveva detto Gesù nel suo colloquio con il Padre, parlando dei discepoli.
“Che cos’è la verità?” Tutte le filosofie di questo mondo si pongono l’obiettivo di scoprire la verità: la verità sul mondo e sulle sue origini, la verità sull’uomo e sul suo destino e via di questo passo. Ma non raggiungeranno mai nessuna verità, finché si ostineranno ad escludere Dio dal quadro delle loro ricerche.
La Bibbia è la verità perché è in grado di dare delle risposte convincenti ai grandi interrogativi della vita: “Io, chi sono? Da dove vengo, dove vado? Che senso ha la mia vita sulla terra? Da dove viene il mondo e qual è il suo destino?”.
Se qualcuno si dibatte nella ricerca di risposte a questi interrogativi, sappia che la Bibbia non solo è in grado di soddisfarlo, ma è anche in grado di dare un significato alla sua esistenza terrena.
Detto questo, possiamo aggiungere che Gesù Cristo ha anche detto: “Io sono la verità” (Gv 14:6). Trovare la verità significa, quindi, trovare Cristo, fare la sua conoscenza, accettare il suo messaggio di salvezza, il solo in grado di riempire e soddisfare la nostra vita.
“Chi beve dell’acqua che Io gli darò – disse Gesù alla Samaritana al pozzo di Giacobbe – non avrà mai più sete” (Gv 4:14).
Cristo Gesù, la suprema verità, è in grado di riempire e soddisfare pienamente la sete di verità e di conoscenza insita nell’animo umano.
• Il secondo carattere della Parola di Dio è la clemenza.
Con il termine “clemenza” si intendono la misericordia, il perdono e la grazia di cui è pieno il messaggio divino presentato dalla Bibbia. La misericordia è il cuore dell’Evangelo: togliete dall’Evangelo la misericordia e lo avrete svuotato della sua parte più pregnante e più significativa.
Lo Spirito di Dio rivolge all’uomo un appello:
“O uomo… che altro richiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?” (Mi 6:8)
Amare la misericordia non significa amare una virtù in astratto, ma soprattutto metterla in pratica in casi concreti.
“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro…” esortava infatti il Signore Gesù (Lu 6:36).
La grazia, la misericordia e il perdono sono il centro dell’Evangelo: se Dio non ci avesse fatto grazia, se non avesse avuto misericordia di noi e non ci avesse perdonati, che ne sarebbe stato di noi? Saremmo ancora perduti, eternamente lontani da Dio.
Usare clemenza e misericordia significa anche non essere intransigenti e intolleranti in casi concreti nei rapporti interpersonali.
Troppe volte alcuni credenti, arroccandosi su posizioni preconcette e ritenendosi gli unici depositari della verità, dimenticano che altri fratelli sono altrettanto convinti di essere nel giusto. La ricerca di un accordo può essere lunga e difficile, ma quanto fruttuosa per la comunione fraterna, quando ognuno è disposto a fare un passo indietro per facilitarne il raggiungimento.
Occorre però essere misericordiosi e clementi l’uno verso l’altro, avere riguardo alle posizioni altrui non solo alle proprie (cfr. Fl 2:4) e allora la benedizione del Signore faciliterà il raggiungimento dell’obiettivo.
Più spesso sono la carnalità e la durezza a farla da padroni e il risultato è una sconfitta per tutti quanti e una vittoria dell’avversario.
Con buona pace di quanti si qualificano difensori della comunione fraterna, ma impediscono nei fatti che la clemenza, la misericordia e la grazia prevalgano sulla carnalità.
• Il terzo carattere della Parola di Dio è la giustizia.
La Sacra Scrittura dice che un giorno Dio ha guardato sulla terra e non ha veduto un solo uomo giusto, neppure uno (cfr. Sl 14:3, Ro 3:10).
Allora Dio ha deciso di donare gratuitamente all’uomo la sua giustizia, come l’apostolo Paolo spiega con chiarezza, dicendo:
“Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio… mediante la fede in Gesù Cristo per tutti coloro che credono…ma sono giustificati (= resi giusti) gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù”(Ro 3:21, 22, 24).
Gesù ha pagato con il suo sacrificio il prezzo della nostra giustificazione, ossia il conferimento della giustizia divina a coloro che credono.
Quando egli ha esclamato: “È compiuto!”
(Gv 19:30), il nostro debito veniva interamente saldato. E Dio è giusto da non richiedere da noi una seconda volta il pagamento per i nostri peccati.
Questo è il messaggio dell’Evangelo, della buona notizia che tutti dovrebbero sapere.
I bassorilievi assiri e babilonesi ci hanno tramandato le immagini di guerrieri, di solito i regnanti, lanciati in battaglia sul carro guidato da un inserviente, che scoccano frecce con il proprio arco o roteano la spada, facendo il vuoto intorno a sé nella mischia della battaglia.
Queste immagini vengono riprese dal poeta per annunziare le imprese vincenti del protagonista principale del Salmo.
L’eternità di Cristo
Il terzo tema celebrato dal poeta è l’eternità di Cristo: “Il tuo trono, o Dio, dura in eterno…”
(v. 6). Il Cristo nella sua gloria è l’immagine di Dio (2Co 4:4, Cl 1:15); in lui vi è la pienezza della divinità (Cl 2:9), per cui il suo trono non può che essere stabile per tutta l’eternità.
Questo testo viene ripreso nella lettera agli Ebrei, dove Dio Padre parla in prima persona del Figlio, dicendo: “Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo e lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia. Tu hai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni. E ancora: «Tu, Signore, nel principio hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito e come un mantello li avvolgerai e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno mai fine»” (Eb 1:8-12).
Il Cristo è riconosciuto in tutti i suoi attributi come l’eterno Dio, come il Creatore le cui mani hanno formato i cieli e la terra e che ha l’autorità di cambiarli secondo il proprio volere, ma è anche colui che permane in eterno.
Il carattere dell’eternità in questo salmo fa riferimento al regno di Cristo, quando il nostro Signore tornerà per regnare per sempre insieme ai suoi santi. Ancora una volta la giustizia viene evocata come carattere fondamentale del regno di Cristo e come il motivo che ha consacrato il suo artefice all’opera della redenzione, per debellare l’empietà sotto tutti gli aspetti, in cielo, sulla terra e sotto la terra.
Le vesti di Cristo
Il quarto carattere celebrato dal poeta sono le vesti di Cristo.
Le vesti regali hanno una particolarità: da esse emana un profumo che si diffonde nel palazzo insieme alla musica ed è un profumo di mirra, di aloe e di cassia.
Queste sostanze profumatissime, ma molto amare, erano importanti per due motivi: esse facevano parte di quel gruppo di sostanze dal profumo acre e penetrante che venivano impiegate nell’olio di consacrazione, con il quale venivano unti i re, i profeti ed i sacerdoti.
Questo ci ricorda che in Cristo erano presenti le tre qualifiche e la sua unzione era eminentemente spirituale e di origine divina.
In secondo luogo le sostanze di cui sopra, unite a molte altre, facevano parte degli aromi con i quali venivano imbalsamati i corpi dei defunti. Quando Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo andarono a rilevare il corpo di Gesù traendolo giù dalla croce, lo avvolsero in un lenzuolo in cui avevano posto mirra ed aloe (cfr. Gv 19:38-42).
Tutto questo porta il nostro pensiero alle sofferenze di Cristo che fu “consacrato per sofferenze” (cfr. Eb 2:10). Il ricordo delle sofferenze del nostro Salvatore non si perderà nel tempo, ma resterà come un profumo che si protrarrà nell’eternità.
Qui termina l’elogio dello sposo. Ora il salmista si rivolge alla sposa indirizzandole un appello.
La sposa di Cristo
Al versetto 10 lo Spirito rivolge un appello alla sposa ed è un appello composto da tre inviti, il primo dei quali è:
ASCOLTA! La sacra Scrittura è piena di inviti ad ascoltare: uno dei primi inviti della Legge al popolo di Israele fu: “Ascolta, Israele: il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore” (De 6:4). Il Signore Gesù stesso era solito invitare gli astanti ad ascoltare bene, quando parlava, dicendo: “Chi ha orecchi per udire, oda” (Mt 13:9, 43; 11:14, Mr 4:9, 23). In Apocalisse numerose volte viene ripetuto l’invito alle sette chiese dell’Asia Minore: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (Ap 2:7, 11, 29; 3:6, 13, 22).
Questo invito è tanto più importante oggi, che nessuno è più disposto ad ascoltare. Dobbiamo riscoprire l’importanza di ascoltare. Saremmo noi divenuti “duri d’orecchi” come i destinatari della lettera agli Ebrei? (cfr. Eb 5:11 vers. Riv.). “Così non sia!”direbbe l’apostolo Paolo.
Il secondo invito che lo Spirito rivolge alla sposa è: DIMENTICA!
Certuni si trascinano dietro un bagaglio di ricordi penosi che appesantisce il loro cammino.
L’apostolo Paolo diceva: “Dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Fl 3:13-14).
Ecco il segreto per non intristirsi nei ricordi passati, ma guardando avanti verso nuove esperienze, per non fermarsi nella corsa cristiana, maturando e crescendo nella vita spirituale.
La tragedia d’Israele nel deserto ed il motivo del fallimento di questo popolo fu quello di non riuscire a dimenticare gli agli e le cipolle che aveva lasciato nel paese di Egitto. Questo, infatti, era un motivo di continue lamentele verso Mosè:
“Ecco – essi dicevano – in Egitto avevamo le pentole piene di carne, i poponi, gli agli e le cipolle e tu ci hai portati a morire in questo deserto!”
(Es 16). Questo atteggiamento aveva provocato l’ira di Dio sul popolo, perché avevano dimenticato che in Egitto erano schiavi.
Siamo noi dei credenti che si lamentano sempre, qualsiasi cosa ci capiti?
Domandiamoci piuttosto: perché le lamentele provocano l’ira di Dio? Risposta possibile: perché le lamentele contengono un implicito rimprovero al suo operato. Guardiamoci, quindi, dalle lamentele e facciamo nostro l’atteg-
giamento dell’apostolo Paolo, il quale affermava: “Ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo” (Fl 4:11).
Il terzo invito rivolto alla sposa è: INCHINATI!
Altre versioni traducono: “Prostrati… Adora”.
Abbiamo letto nel Cantico dei Cantici che la sposa dice dello Sposo: “Egli mi ha condotta nella casa del convito, l’insegna che stende su di me è amore” (CdC 2:4).
Nella parola “amore” è il segreto di tutto il piano divino perché l’uomo potesse entrare in contatto e stabilire un rapporto con il suo Creatore.
Per amore il Padre ha donato il proprio Figlio diletto; per amore il Figlio si è volontariamente donato a noi, offrendosi come prezzo del nostro riscatto.
Cos’altro potremmo fare per corrispondere a tanto amore, se non piegarci e adorare?
La gloria della Sposa di Cristo
Questo il sesto tema cantato dall’autore del salmo che descrive l’abbigliamento della sposa in termini entusiastici:
“Tutta splendore è la figlia del re, nelle sue stanze; la sua veste è tutta trapunta d’oro” (v. 13).
Credo che non ci sia sposa che non gradirebbe essere descritta in questi termini. Una versione precedente traduceva così: “La figlia del re è tutta gloriosa dentro!”.
È vero che quella della Chiesa, la Sposa di Cristo, è una gloria interiore. Afferma, infatti, l’apostolo Giovanni: “Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a Lui, perché lo vedremo come egli è” (1Gv 3:2). Dice ancora l’apostolo Paolo: “Quando Cristo, la vita nostra sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria” (Cl 3:4).
La gloria della Chiesa è dunque una gloria nascosta, interiore. Ma non sarebbe meglio che si vedesse un po’ anche all’esterno, già oggi? Invece non si vede a volte proprio niente! La gloria è una cosa festosa che dovrebbe trasparire anche all’esterno. Invece, troppo spesso, abbiamo delle facce che della gloria, sia pure interiore, non traspare proprio nulla!
Eppure, questo è il destino dei credenti, questo è il destino della Chiesa. Questo era anche il desiderio di Gesù, quando diceva al Padre suo: “Padre, io voglio che dove sono Io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data” (Gv 17:24).
Vedere la gloria di Dio è sempre stata la massima aspirazione degli uomini di Dio del passato. “Fammi vedere la tua gloria” chiese Mosè a Dio (Es 33:18). Dio gli rispose che egli non avrebbe potuto vedere la sua gloria e vivere, perciò avrebbe fatto passare davanti a lui tutta la sua bontà (Es 33:19).
A volte noi immaginiamo di essere in un angolino nel giorno di Cristo a goderci lo spettacolo della gloria di Dio. Vedere la gloria di Dio! Che cosa meravigliosa! Ma le cose non stanno così: Gesù, nel suo colloquio col Padre, quando esprimeva il desiderio di avere un giorno con sé i discepoli, perché questi avessero la possibilità di vedere la sua gloria (v. 24), poco prima aveva affermato: “Io ho dato loro la gloria che tu hai data a Me” (Gv 17:22).
Quindi non si tratta solo di vedere la gloria di Dio, ma di essere partecipi di questa gloria. D’altra parte il destino della Sposa è quello di condividere la gloria dello Sposo.
Se non siamo convinti di questo, andiamo a leggere in Apocalisse capitolo 21 versetto 9, dove l’apostolo Giovanni viene invitato dall’angelo a vedere la sposa dell’Agnello:
“Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò, dicendo: «Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello». E mi trasportò in spirito su una grande e alta montagna e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, con la gloria di Dio”.
Una versione precedente suonava: “…avendo la gloria di Dio”.
La gloria della sposa non è altro che la gloria dello Sposo, che Cristo non ha voluto mantenere gelosamente solo per sé (Fl 2:6). E questo si realizzerà quando saranno celebrate le nozze dell’Agnello e lo Sposo celeste guiderà la sposa nella casa del convito, realizzando finalmente il suo divino sogno d’amore.
Conclusione
Altri temi minori vengono formulati: gli amici dello Sposo e le amiche della sposa; i figli che regneranno in luogo dei padri, lo Spirito che celebrerà le lodi di Dio nell’eternità.
Ma due cose vale la pena di ricordare:
• _il profumo delle vesti di Cristo a ricordo delle sue sofferenze ai giorni dell’incarnazione, ricordo che non si perderà nel tempo, ma resterà come motivo di gloria in eterno;
• _l’appello dello Spirito alla Sposa, alla Chiesa, a noi tutti, a te fratello, a te sorella: “Ascolta, Dimentica, Adora”.