Qualche settimana fa è stata approvata definitivamente la legge che consente alle coppie omosessuali e alla coppie eterosessuali conviventi ma non sposate di veder riconosciuta legal mente la loro relazione e di acquisire, di conseguenza, alcuni diritti cosiddetti “civili”. Due rea zioni mi hanno colpito. Da un lato, l’esultanza quasi smodata dei sostenitori della legge, che si sono lasciati andare ad osannanti manifestazioni di piazza; dall’altra la contrarietà degli avversari della legge che l’hanno interpretata come un vero e proprio funerale al matrimonio e alla famiglia. Ma mi hanno colpito negativamente (MOLTO negativamente) le reazioni aggressive di tanti pseudocristiani che per esprimere la loro contrarietà hanno fatto ricorso, soprattutto nelle comunicazioni attraverso la rete, ad un linguaggio offensivo e triviale che davvero ha ben poco di evangelico. Ritengo piuttosto ingenua la reazione di chi pensa che tut to vada moralmente a rotoli per colpa di una legge. La nostra povera società era degradata ben prima dell’approvazione della legge: chi era peccatore prima non è certo diventato più peccatore dopo. Inoltre, puntando il dito contro una sola categoria di peccatori (“i fornica tori”, “gli effemminati” e “i sodomiti”), quando la Parola di Dio (vedi 1Corinzi 6:910 e Apo calisse 21:8) mette sullo stesso piano “gli idolatri, i ladri, gli avari, gli ubriachi, gli oltraggiato ri, i rapinatori, i codardi, gli increduli, gli stregoni e tutti i bugiardi”, non corriamo il rischio di compiere una inopportuna selezione fra peccati più gravi e meno gravi? Soprattutto non cor riamo il rischio di esercitare un giudizio che mette in evidenza la nostra incoerenza? Possiamo certamente autocompiacerci non considerandoci né “fornicatori” né “sodomiti”, ma chi di noi può affermare di non essere mai stato “idolatra” o “avaro” o “oltraggiatore” o “codar do” o “incredulo” o, soprattutto, “bugiardo”? Non faremmo meglio, perciò, invece che lan ciare strali e giudizi a destra e a manca, raccogliere la sfida che viene lanciata alla nostra iden tità di cristiani da una società che, da sempre a livello comportamentale ed ora anche a livel lo legislativo, propugna principi e “valori” che sono decisamente all’opposto di quelli che Dio, attraverso l’autorità della sua Parola e la guida del suo Spirito, ci invita a vivere?
La nostra contrapposizione alle leggi degli uomini che contraddicono i valori in cui crediamo non va vissuta attraverso la piazza o i referendum o isterici commenti nella rete, va vissuta attraverso la nostra vita: è lì che deve emergere la nostra identità di discepoli di Cristo ed è da lì che deve scaturire la nostra testimonianza di fede. Di fede nel valore del matrimonio (della sua eterosessualità e della sua indissolubilità), di fede nel valore della famiglia, di fede nel valore della vita. Alcune sfide purtroppo le abbiamo in parte già perse. Non è forse vero che, dopo la legalizzazione del divorzio e dell’aborto, c’è stato e c’è anche fra noi che ci dicia mo discepoli di Cristo chi ha divorziato ed abortito perché “tanto la legge lo consente”, dimenticando in questo modo che la volontà alla quale dobbiamo conformarci non è certo quella degli uomini ma quella di Dio? Il mio unico timore è che in futuro quel “tanto la legge lo consente” ci porti a guardare con occhio più benevolo le unioni omosessuali o le conviven ze eterosessuali, venendo meno all’onore che Dio ci invita a dare al matrimonio. Noi siamo chiamati a “non conformarci” a questo mondo opponendo la nostra
testimonianza. Sapremo raccogliere e vivere questa sfida?