In quest’articolo affronteremo il tema della presenza di uomini e di animali all’interno di tutta una serie di occasioni in cui il Signore mostra cura ed amore e, in un prossimo articolo, giudizio e punizione.
Osserveremo le strette relazioni che la Scrittura assegna a uomini ed animali, sia nel bene che nel male, ma vedremo anche l’attenzione che l’Eterno continua a riservare all’intera sua creazione sia quando mostra la sua misericordia sia quando manifesta la sua ira.
ANIMALI E UOMINI
NEGLI ATTI DI AMORE DI DIO
Disposizioni autoritative
Prima del diluvio il Signore aveva promesso a Noè che coppie di animali sarebbero andate da Lui “perché tu li conservi in vita” (Ge 6:20; 7:23). La promessa riguardava il fatto che tutti gli animali, in coppia, si sarebbero spontaneamente e ordinatamente recati dal patriarca e che, pertanto, Noè non avrebbe dovuto faticare a cercarli e a forzarli per farli entrare nell’arca. Toccava, però, a Noè di reperire per loro del cibo e di provvedere alla loro sopravvivenza, perché questo era il comandamento di Dio.
Il Signore promise di fare del bene non solo a Noè e alla sua famiglia ma pure a tutti gli animali da lui creati: lo dimostrò ulteriormente quando comandò a Noè di far uscire tutti gli animali dall’arca affinché…“…possano disseminarsi sulla terra, siano fecondi e si moltiplichino su di essa…” (Ge 8:17)
Ciò è quanto realmente avvenne (v. 19) ed è interessante notare, di conseguenza, come Dio mostri grande attenzione e cura per il futuro sia degli uomini che degli animali.
Una vera e propria norma della Torà sull’amore di Dio per uomini e animali è, poi, quella specificamente contenuta in Esodo 23:10-11, dove troviamo scritto:
“Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno la lascerai riposare, incolta; i poveri del tuo popolo ne godranno, e le bestie della campagna mangeranno quel che rimarrà. Lo stesso farai della tua vigna e dei tuoi ulivi”.
Oltre alle disposizioni inerenti il giorno di riposo per uomini ed animali, il Signore prescrisse anche delle norme concernenti un anno di riposo per la terra, e di conseguenza anche per i contadini: la terra doveva essere lasciata incolta e fatta riposare ogni settimo anno, e ciò avrebbe consentito, fra l’altro, ai poveri e agli animali di usufruire liberamente dei suoi frutti.
Il brano parallelo di Levitico 25:2-7 è ancora più ricco di particolari, visto che chiarisce la forte motivazione spirituale di tale divieto (v. 4: era un anno da consacrare al Signore) ed il fatto che la terra doveva riposare completamente, senza tentativi di aggirare questo divieto (v. 5) ed avendo fede che essa avrebbe prodotto comunque dei frutti, i quali sarebbero serviti per nutrimento a uomini ed animali (v. 6-7) e dei quali nulla doveva andare perso o sprecato.
Nel testo di Esodo 23:10-11 troviamo, invece, maggiormente sottolineate le motivazioni civili della norma in questione: i poveri avrebbero “goduto” della terra incolta mentre le bestie della campagna avrebbero potuto liberamente mangiare “quel che rimarrà”.
Promesse per il futuro
Il “patto noetico”, cioè il patto che Dio strinse con Noè dopo il diluvio, contiene delle meravigliose promesse per l’umanità ma anche per “…tutti gli esseri viventi che sono con voi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra con voi; da tutti quelli che sono usciti dall’arca, a tutti gli animali della terra…” (Ge 9:8-17).
Questo patto era in realtà unilaterale, nel senso che il Signore non aveva chiesto il consenso di Noè per stipularlo, ed inoltre non poteva essere modificato o annullato dall’uomo: la sua principale promessa, peraltro, si estendeva a tutte le creature viventi e diceva così (v. 11): “Nessun essere vivente sarà più sterminato dalle acque del diluvio e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra!”.
Il nostro brano ricorda che Dio stabilì anche un segno visibile, che avrebbe ricordato la vigenza e gli effetti del patto in questione:
“Dio disse: «Ecco il segno del patto che io faccio tra me e voi e tutti gli esseri viventi che sono con voi, per tutte le generazioni future: io pongo il mio arco nella nuvola e servirà di segno del patto fra me e la terra… e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni essere vivente. L’arco dunque sarà nelle nuvole e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente, di qualunque specie che è sulla terra»” (vv. 12-17).
Si tratta di un patto perpetuo, che ancora oggi è valido e produce i suoi effetti: chi di noi non ha visto un arcobaleno dopo un temporale? Ed è interessante notare quante volte Dio insista nel sottolineare che questo patto fu stipulato fra lui ed ogni essere vivente, uomo o animale che sia, quasi che si compiaccia nello stabilire un patto d’amore così prezioso ed universale . Dai tempi di Noè fino ad oggi non c’è mai stato un altro diluvio, grazie al Signore, e di questa decisione d’amore beneficiano, ancora oggi, tutte le creature di Dio, compresi gli animali di qualsiasi tipo.
Anche nell’ambito delle “piaghe d’Egitto” troviamo casi di promesse d’amore fatte dal Signore, stavolta al popolo d’Israele e collegate a giudizi nei confronti di altri uomini empi.
In particolare, prima di mandare la quinta piaga, l’Eterno promise che avrebbe colpito con la mortalità il“bestiame che è nei campi” (Es 9:3) perché era di proprietà degli Egiziani, ma che avrebbe risparmiato gli animali che invece appartenevano ai figli d’Israele (v. 4). E così avvenne (v. 6).
Inoltre, prima della settima piaga, quella della grandine, il Signore preavvertì gli Ebrei con queste parole (v. 19):
“Fa’ mettere al riparo il tuo bestiame e tutto quello che hai nei campi. La grandine cadrà su tutta la gente, su tutti gli animali, che si troveranno nei campi e che non saranno stati raccolti in casa, ed essi moriranno”.
Un altro gesto d’amore e di distinzione: Dio amava gli Ebrei e avrebbe salvato i loro animali, ma richiedeva loro una fede operante: avrebbero dovuto mettere al riparo il proprio bestiame. La stessa fede operante, inoltre, salvò uomini e animali appartenenti ad alcuni “servitori del Faraone” (v. 20) che temettero l’Eterno e gli ubbidirono.
Oltre a ciò, nel famoso episodio delle acque di Massa e di Meriba, tra le altre cose il Signore disse a Mosè:
“Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aaronne convocate la comunità e parlate a quella roccia, in loro presenza, ed essa darà la sua acqua; tu farai sgorgare per loro acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al suo bestiame” (Nu 20:8).
Siamo nel deserto, e il popolo d’Israele sta mormorando per la mancanza di acqua (v. 1-5). Il Signore concede loro di provvedere miracolosamente a questo bisogno, ma non dimentica il bestiame, includendolo esplicitamente fra i beneficiari del miracolo. Anche se Mosè successivamente disubbidì, percotendo la roccia invece di parlare ad essa (v. 9-10), il Signore non venne meno alla parola data e, miracolosamente, dalla roccia“uscì acqua in abbondanza; e la comunità e il suo bestiame bevvero” (v. 11).
Il Signore, nella sua grande misericordia, provvide acqua da bere in tale abbondanza da soddisfare la sete di centinaia di migliaia di uomini e donne, ma anche di migliaia e migliaia di animali!
Nel libro del Deuteronomio, poi, troviamo diversi discorsi di Mosè rivolti al popolo, poco prima dell’ingresso nella Terra Promessa. Nel suo secondo discorso vi è anche un testo sulle benedizioni divine condizionate all’ubbidienza umana (De 7:12-16), nel quale il Signore promette a Israele di moltiplicarlo e di benedire “il frutto del tuo seno e il frutto della tua terra: il tuo frumento, il tuo mosto e il tuo olio, i parti delle tue vacche e delle tue pecore, nel paese che giurò ai tuoi padri di darti…” (De 7:13).
Oltre a questo, nel caso in cui Israele avesse ubbidito ai suoi comandamenti, il Signore avrebbe fatto ancora di più, e gli promette:
“Tu sarai benedetto più di tutti i popoli e non ci sarà in mezzo a te né uomo né donna sterile, né animale sterile fra il tuo bestiame” (v. 14).
Dio avrebbe benedetto tutti i parti, tanto degli uomini quanto degli animali, in un momento storico in cui la quantità di figli e di capi di bestiame era segno tangibile di prosperità e di potenza.
Oltre a ciò il Signore promette anche che avrebbe scacciato “a poco a poco queste nazioni davanti a te. Tu non potrai distruggerle d’un colpo solo, perché le bestie della campagna si moltiplicherebbero a tuo danno” (v. 22).
Nel suo amore, l’Eterno predice anche di combattere per Israele e di scacciare tutte le nazioni nemiche, aggiungendo che l’avrebbe fatto “a poco a poco” per evitare che le “bestie della campagna” potessero moltiplicarsi a danno del suo popolo e, naturalmente, anche del loro bestiame.
Altri due brani dello stesso libro del Deuteronomio riprendono il tema appena citato, delle benedizioni divine condizionate all’ubbidienza umana: si tratta del terzo e del quarto discorso di Mosè al popolo, poco prima della sua morte, nei quali il patriarca ricorda ancora le benedizioni promesse da Dio in caso di ubbidienza alle sue leggi. In particolare, leggiamo:
“Benedetto sarà il frutto del tuo seno, il frutto della tua terra e il frutto del tuo bestiame; benedetti i parti delle tue vacche e delle tue pecore…Il Signore, il tuo Dio, ti colmerà di beni: moltiplicherà il frutto del tuo seno, il frutto del tuo bestiame e il frutto della tua terra, nel paese che il Signore giurò ai tuoi padri di darti” (De 28:4, 11).
Naturalmente, il brano va letto alla luce della stretta relazione esistente, specie a quei tempi, fra prosperità economica e benessere del bestiame di proprietà
Più avanti ancora troviamo scritto:
“Il Signore, il tuo Dio, ti colmerà di beni; moltiplicherà tutta l’opera delle tue mani, il frutto del tuo seno, il frutto del tuo bestiame e il frutto della tua terra; poiché il Signore si compiacerà di nuovo nel farti del bene, come si compiacque nel farlo ai tuoi padri” (De 30:9).
Ai tempi del regno diviso, poi, una specifica e meravigliosa promessa di benedizione divina si staglia su molte altre e la menzioniamo qui a titolo esemplificativo. L’empio re d’Israele Ieoram, dopo essere riuscito a coinvolgere il re di Giuda Giosafat a far guerra contro i Moabiti (2Re 3:1-9), chiese al profeta Eliseo di invocare il Nome del Signore per sapere come quella guerra sarebbe finita (vv. 10-13). E l’Eterno fece sapere che proprio in quel deserto, dove quei soldati e quel bestiame stavano morendo di sete (v. 9), egli avrebbe fatto qualcosa di straordinario:
“Infatti così dice il Signore: «Voi non vedrete vento, non vedrete pioggia, e tuttavia questa valle si riempirà d’acqua; e berrete voi, il vostro bestiame e le vostre bestie da soma…” (2Re 3:17).
Il giorno successivo Dio –riempì quella valle di acqua, senza che essa fosse stata preannunciata da nuvole di pioggia o da vento: tutto ciò per dissetare uomini e animali stremati dalla fatica e dalla sete.
Qualche decennio più tardi, quando gli abitanti del regno d’Israele stavano per essere deportati in Assiria, il Signore in vari modi volle mostrare l’ineluttabilità dell’imminente giudizio ma anche la continuità del suo amore per il popolo:
“Quel giorno io farò per loro un patto con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; spezzerò e allontanerò dal paese l’arco, la spada, la guerra, e li farò riposare al sicuro…” (Os 2:18).
In questo capitolo troviamo delle bellissime promesse di Dio per il ristabilimento di Israele nella Terra Promessa: egli si rende garante dell’armonia spirituale e sociale che ci sarà in “quel giorno”, promettendo di stabilire anche un “patto” con le bestie feroci e con tutti gli uccelli rapaci, affinché essi non disturbino più il popolo scelto da Dio.
Questo patto sarà “per loro”, cioè per il bene degli Israeliti, e vedrà coinvolti sia le “bestie dei campi”, cioè i pericolosi animali selvatici di tutti i tipi, sia gli “uccelli del cielo”, da intendersi soprattutto come i grandi uccelli predatori, sia ancora i “rettili del suolo”, soprattutto quei piccoli animali che si muovono in velocità e che sono fonte di insidie e di fastidi per l’uomo.
Si tratta delle stesse categorie citate in Genesi 9:2, dove invece si parla del timore e dello spavento che il Creatore avrebbe instillato in tutti gli animali nei riguardi dell’uomo: ma se quest’ultimo non avesse ubbidito a Dio, neppure gli animali avrebbero avuto timore di lui e, per esempio, avrebbero devastato le sue vigne (cfr Os 2:12) e provocato altri danni (cfr Ez 14:15). L’Eterno è il Signore degli animali, ed essi sono al suo comando in ogni senso, sia nel bene che nel male (cfr. Ez 34:25).
Anche il profeta Isaia (quasi contemporaneo di Osea) fu usato con potenza dall’Eterno per predire il ritorno d’Israele nella sua terra. In uno dei brani più commoventi sulle sue promesse di benedizioni future troviamo scritto:
“Le bestie dei campi, gli sciacalli e gli struzzi, mi glorificheranno, perché avrò dato l’acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dar da bere al mio popolo, al mio eletto…” (Is 43:20).
Il Signore aveva preannunciato (vv. 18-19) che avrebbe fatto qualcosa di completamente nuovo, che avrebbe superato le meraviglie da lui compiute nel passato, in Egitto (vv. 16-17; cfr 42:9). Se nell’Esodo l’Eterno aveva aperto una strada nel mare (v. 16), in futuro egli l’avrebbe aperta nella terra desolata (v. 19); se in passato le acque erano state divise per far passare il popolo, nel futuro esse sarebbero sgorgate in pieno deserto e sarebbero state una benedizione per uomini e animali.
Lo stesso tema, delle promesse divine di restaurazione del popolo d’Israele dopo la cattività, viene ripreso più volte anche dal profeta Geremia, circa 150 anni dopo Isaia. In particolare, segnaliamo il testo in cui leggiamo:
“«Ecco, i giorni vengono», dice il Signore, «in cui io seminerò la casa d’Israele e la casa di Giuda di semenza d’uomini e di semenza d’animali…»” (Gr 31:27).
Dio ha appena predetto il ritorno della tribù di Giuda nel paese di Canaan (vv. 23-24), collegando a tale ritorno benedizioni sia spirituali (v. 25) che materiali (v. 27). Nel “campo” delle due case separate di Israele e di Giuda, il Signore avrebbe piantato qualcosa di radicalmente nuovo (v. 28) e, per far questo, doveva prima “seminare”abitanti, specificando espressamente che egli non si riferiva solo agli uomini ma anche agli animali. In altre parole, l’Eterno promise con solennità che il suo popolo sarebbe diventato numeroso e che avrebbe prosperato: la terra d’Israele si sarebbe ripopolata di uomini e di animali.
Se Geremia ha profetizzato nell’ultimissimo periodo del regno di Giuda e ha visto anche la tragica fine di questo regno e della sua capitale Gerusalemme, il profeta Ezechiele è invece vissuto in Babilonia all’inizio del periodo di cattività, anche se era ancora vivido e molto presente il tema delle promesse di Dio sul ritorno del suo popolo nella Terra Promessa:
“…moltiplicherò su di voi uomini e bestie; essi si moltiplicheranno e cresceranno e farò in modo che sarete abitati com’eravate prima; vi farò del bene più che nei vostri primi tempi, e voi conoscerete che io sono il Signore” (Ez 36:11).
Esempi confermativi
In uno dei suoi bellissimi Salmi, il re Davide, dopo aver confrontato le caratteristiche dell’empio (Sl 36:1-4) con quelle di Dio stesso (vv. 5-9), chiede aiuto al Signore e proclama la sua fede nella vittoria finale sugli empi (vv. 10-12):
“La tua giustizia s’innalza come le montagne più alte, i tuoi giudizi sono profondi come il grande oceano. O Signore, tu soccorri uomini e bestie….”
Fra le tante, il salmista lo loda anche per la sua cura e per la sua provvidenza, che si estende sia agli uomini che agli animali. Il Signore protegge le sue creature dal male e interviene in loro favore, anche se gli animali non possono coscientemente lodarlo o ringraziarlo.
Davide cerca di esprimere poeticamente la sua contemplazione dell’infinita e stabile misericordia di Dio, la quale si manifesta anche nella sua provvidenza verso tutti gli esseri viventi, trascendendo ogni pensiero umano: la sua benevolenza è “preziosa” (v. 7) e va oltre ogni immaginazione o valutazione.
Molti altri Salmi celebrano le qualità meravigliose di Dio, anche in relazione alle creature viventi:
“Egli fa germogliare l’erba per il bestiame, le piante per il servizio dell’uomo; fa uscire dalla terra il nutrimento…” (Sl 104:14).
I prodotti della terra sono preziosi, perché servono di nutrimento agli animali e anche agli uomini: Dio, Creatore dei cieli e della terra, provvede in abbondanza e secondo i bisogni di ciascuno! Egli, tra l’altro, cura la nascita e la crescita i molti tipi di erba, che servono anche per il nutrimento degli animali.
In un altro Salmo leggiamo che Dio “dà il cibo al bestiame, e ai piccini dei corvi, quando gridano” (Sl 147:9).
Il salmista loda il Signore perché fornisce il cibo a qualsiasi capo di bestiame, preoccupandosi addirittura dei piccoli dei corvi. Nel suo immenso amore, il Creatore si prende cura degli animali selvatici, ai quali nessuno presta attenzione, ma anche del bestiame di grossa taglia.
Dio prepara anche le nuvole del cielo in modo che vi sia pioggia, per far scaturire erbe per il nutrimento degli animali (v. 8). Egli sostiene tutto il creato con misericordia, dimostrando di essere sensibile perfino alle grida ed alle incessanti implorazioni di piccoli uccelli (cfr Lu 12:24).
Un ultimo brano da considerare lo troviamo nel libro del profeta Giona: il Signore manifesta la sua compassione per le sue creature, siano esse persone umane o animali:
“…e Io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?” (Gn 4:11).
Dio dà al profeta una grande lezione sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei pagani e degli increduli. Giona aveva avuto misericordia soltanto di una pianta, di un ricino, e gli era dispiaciuto che essa si fosse seccata. A maggior ragione, non doveva Dio avere pietà dei numerosi abitanti di una grande città come Ninive ed anche dei tanti animali che vi si trovavano?
Egli è il Creatore ma è anche il Redentore, e mostra compassione verso le sue creature a rischio di morte eterna. Naturalmente, anche nel caso di Giona, c’era una grande differenza fra gli uomini e gli animali, sia perché i primi erano molto più numerosi sia perché i secondi erano incapaci di gridare a Dio e di pentirsi dei loro peccati: ciò che non muta, però, è la sua misericordia di Dio, così ampia e profonda da rivolgersi senza distinzione agli uni e agli altri.