Al ritorno dei settanta discepoli che aveva inviato “davanti a sé in ogni città e luogo dov’egli stesso stava per andare”, Gesù visse un momento di particolare gioia (“esultò”!) provocata non tanto dai risultati di quella missione, quanto dal constatare ancora una volta qual era il modo scelto dal Padre per porsi in relazione con gli uomini. Egli visse questo momento di esultanza “mosso dallo Spirito Santo”, quindi in una piena sintonia trinitaria, e rivolse al Padre le ben note parole:
“Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapientie agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!” (Lu 10:21).
Il contesto del racconto evangelico ci permette di comprendere che “queste cose”, nascoste ai sapienti e rivelate ai piccoli, erano le verità contenute nel messaggio affidato da Gesù ai settanta: “Il regno di Dio si è avvicinato a voi” (Lu 10:8, 11), parole che rievocano il primo messaggio di Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo” (Mr 1:15). Gli uomini erano esortati a prendere atto che, nel progetto divino per la storia del suo popolo e di tutti gli uomini, era giunto (“compiuto”) il tempo della più straordinaria rivelazione, quella ricordata da Paolo ai Galati: “…quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio…” (Ga 4:4).
Ecco quali sono “queste cose”: il Padre ha mandato suo Figlio nel mondo e lo ha mandato per trasformare gli uomini da peccatori, schiavi e perduti, in giustificati, riscattati e redenti, nel cuore dei quali diventa presente la realtà del regno di Dio. È evidente e comprensibile allora l’esultanza di Gesù: egli vede davanti a sé l’umanità salvata dal peccato, il regno di Dio che sostituisce nei cuori il regno di Satana e sa di essere lui lo strumento di questo passaggio. “Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia…” (Eb 12:2).
Ma come mai Dio “queste cose” le ha nascoste ad alcuni e le ha invece rivelate ad altri?
La differenza non è provocata dalla volontà di Dio, come una lettura superficiale delle parole di Gesù potrebbe far supporre. Anzi Dio desidera che tutti gli uomini (i “sapienti” e gli “intelligenti” così come i “piccoli”) “siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1Ti 2:4). La differenza è piuttosto provocata dal modo con cui l’uomo si pone davanti a Dio: chi si pone davanti a lui da “sapiente” e da “intelligente”, fidando cioè sulle capacità del proprio intelletto e della propria ragione, non riceverà la rivelazione di “queste cose”, che saranno invece comprese ed accolte da chi si pone davanti a lui come un piccolo bambino: con la mente ed il cuore pronti ad ascoltare e a ricevere e, di conseguenza, ad essere da lui rinnovati e plasmati.
Così è piaciuto al Padre e così è stato pienamente condiviso dal Figlio (che lo loda) e dallo Spirito Santo (che spinge il Figlio alla lode)! A Dio, nella sua misericordia di “Padre” e nella sua sovranità di “Signore del cielo e della terra”, “è piaciuto” di rivelarsi a coloro che riconoscono di essere “piccoli”, cioè a chi riconosce che soltanto una rivelazione divina può portarlo a scoprire verità alle quali la sapienza e l’intelligenza umana non potrebbero mai dargli accesso (“Il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza”, 1Co 1:21). Soltanto presentandosi davanti a Dio con l’umiltà dei “piccoli” sarà possibile diventare davvero “sapienti” ed “intelligenti”! Nel progetto di Dio è l’umiltà che porta alla gloria, è il riconoscersi piccoli che porta ad essere grandi, è il riconoscersi deboli che porta ad essere forti, è il riconoscere “pazza la sapienza di questo mondo” che porta ad essere sapienti. Ricordiamo che il suo Figlio Gesù egli “lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome”, perché “umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce” (Fl 2:9, 10).