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Il motivo per cui parlarne

L’idea di scrivere questo articolo mi è sorta pensando ai vari incontri che Echoes International (EI) avrebbe organizzato nel corso del 2022 per ricordare i 150 anni della nascita della rivista missionaria (vedi “Echoes compie 150 anni di servizio”, IL CRISTIANO n. 1/gennaio 2022, pp. 38-42) che, nel corso del tempo, ha cambiato diversi nomi: prima The Missionary Echo (TME) poi Echoes of Service, oggi EI.

Il movimento missionario delle Assemblee dei Fratelli è sorto molto prima, ma il 1872 è una data importante perché segna l’inizio della “raccolta di notizie” e della loro susseguente diffusione per mezzo di un periodico. Vero è che c’era già stato un tentativo del genere con The Missionary Reporter, il cui primo numero è uscito nel 1853 e l’ultimo nel 1861, infatti l’obiettivo del fondatore, Van Sommer, era quello di dare informazioni ai credenti sul lavoro dei missionari.

In questi anni, tra il 1857 al 1863 e poi anche dal 1866 al 1883, il conte Piero Guicciardini aveva inviato dei resoconti dell’opera missionaria in Italia, tenendo i contatti con i fratelli inglesi tramite William Yapp e poi con altri. Quelli venivano pubblicati come lettere ma, in un certo senso, precorrevano la nascita del periodico TME.

Nel suo primo numero, nell’editoriale vengono presentate le ragioni della nascita del periodico in questi termini: “Il nostro obiettivo è la comunione nel vangelo e far conoscere il Signore in altri Paesi” e si chiude sottolineando l’importanza di presentare i diversi missionari che scrivevano le notizie affinché ogni lettore potesse pregare con maggior intelligenza.

Ogni editoriale era basato su un testo della Scrittura e introduceva le notizie provenienti da diverse parti del mondo, più o meno nello stesso ordine. Le notizie ci riguardano perché, nei numeri del 1872, appaiono sei articoli a firma di Teodorico Pietrocola-Rossetti o Piero Guicciardini. Il direttore del periodico, nel suo cappello introduttivo al primo lungo articolo del Rossetti, sull’agape a Stradella, introduce il lavoro pionieristico in Italia e quello del Rossetti in particolare. 

Quest’anno è anche l’anno in cui ricorre il centenario del Gruppo di Servizio Missionario delle Assemblee statunitensi Christian Missions in Many Lands (d’ora in poi CMML). Sia EI sia CMML sono le due opere missionarie che, attualmente, supportano (uso questo verbo, qui e in seguito, nel senso di consigliare, aiutare, inviare doni da chi li sostiene…) il maggior numero di missionari nel mondo intero, anche se Missionary Services Canada, Serving Together (Australia), Global Connections (Nuova Zelanda) e Wiedenest (Germania) hanno un bel numero di missionari. Soprattutto nel passato, ne hanno inviati la Svizzera e, anche se non in numero elevato, la Francia e l’Olanda. In tempi più recenti, missionari delle Assemblee sono stati raccomandati dall’India (molti), da Singapore, dal Brasile, dall’Argentina, dalla Romania, dall’Angola, dal Congo e dallo Zambia. Le Assemblee nel mondo pubblicano diversi periodici dedicati interamente all’opera missionaria, oltre a quanto viene «postato» su internet. Nelle prime pagine ci sono articoli di taglio biblico incentrati sulla missione o su un Paese o un’opera specifica, a seguire ci sono brevi resoconti regolari dei missionari.

I primi missionari

L’opera missionaria delle Assemblee è nata con l’inglese Anthony Norris Groves. Definito giustamente da Ken Newton come “un missiologo (ovvero studioso della missione) e missionario trascurato”, troppo spesso Groves è stato sottovalutato negli scritti concernenti il movimento dei Fratelli e il suo contributo è stato evidenziato solo dalla fine degli anni ’60. La sua influenza è stata enorme in tutto il mondo anche per il numero di missionari partiti dalle Assemblee verso l’estero.

Convertitosi nel 1816, dopo aver esercitato per qualche tempo la professione di dentista e aver raggiunto una certa fama e ricchezza, grazie a una notevole clientela, lasciò il lavoro per dedicarsi in seguito al lavoro missionario. Ben dieci anni prima che David Livingstone (conosciuto in Italia solo come esploratore e medico) facesse il suo primo viaggio in Africa, Groves divenne il primo missionario dei Fratelli partendo per Bagdad nel 1829. Vi partì con la convinzione che Dio lo avesse mandato lì. Non era stato inviato da un comitato grazie al quale gli sarebbero stati garantiti un supporto spirituale e un salario regolare; vi andò affidandosi per fede totalmente alla provvidenza del suo Signore. Ben a ragione è stato chiamato “il padre delle missioni della fede”. In questo ha esercitato un’influenza enorme nell’ambito delle Assemblee fin dai loro inizi e, fra i primi, nei confronti del suo futuro cognato, Georg Müller, ma anche al di fuori dell’ambito dei Fratelli e nel campo missionario: basti citare Hudson Taylor, fondatore della China Inland Mission e George Verwer, fondatore di Operazione Mobilitazione.

Groves fu un grande, anche se umile, pensatore, ed è probabilmente quello che più di ogni altro ha evidenziato le caratteristiche salienti del Movimento che, da allora, lo distinguono da altri Movimenti evangelici: la centralità di Cristo, della Parola, della chiesa locale, la vita di fede, l’importanza del rompere il pane nella semplicità, il sacerdozio di tutti i credenti unito a una chiara distinzione tra questo e i doni e i diversi ministeri suscitati dal Signore e l’attesa del ritorno del Signore.

Come vero missiologo, Groves affermò tre importanti princìpi, oggi presenti in qualsiasi testo di missiologia, ma che costituivano delle grandi novità per quel tempo:

  1. L’importanza della conoscenza della “cultura”, ovvero dei costumi, degli usi e delle abitudini del popolo presso cui il missionario avrebbe operato.
  2. L’importanza dell’identificazione con le persone del posto: ad esempio, il missionario avrebbe dovuto conoscere bene la lingua locale e mangiare gli stessi cibi locali.
  3. L’importanza del rispetto della loro «cultura» , senza dover imporre la propria, come se il missionario fosse lì in qualità di colonizzatore.

Rimasto vedovo, Groves rientrò in Inghilterra, si risposò e partì nuovamente come missionario, questa volta in India, dove fondò le Assemblee nel 1833. Discepolò in modo particolare il fratello indiano John Aroolappen, il quale continuò il suo lavoro con altri fratelli indiani. Da quel timido inizio oggi abbiamo la realtà di migliaia di Assemblee!

Dopo Groves sono stati davvero tanti i missionari raccomandati dalle Assemblee per recarsi nei cinque continenti. Il Signore si è servito della loro consacrazione e dedizione a lui per far nascere l’opera nel mondo.

Cito brevemente un secondo importante personaggio, iniziatore dell’opera missionaria in Africa: lo scozzese Frederick Stanley Arnot, la cui famiglia abitò per un periodo vicino a quella di Livingstone. Il Signore si servì di Arnot che viaggiò in molte parti dell’Africa e, nel 1884 iniziò l’opera in diverse nazioni che oggi hanno migliaia di Assemblee, tra cui l’Angola, la Repubblica Democratica del Congo e lo Zambia.

Il loro ruolo

Si può ben dire che le Assemblee, a eccezione di quelle europee, sono nate quasi tutte dall’opera di missionari inglesi, come John H. Ewen che iniziò l’opera in Argentina, per fare un esempio importante visto il numero attuale di Assemblee che vi sono in quella nazione. Fanno eccezione Singapore e alcuni Paesi dell’America del sud dove l’opera è nata grazie a uomini d’affari inglesi o l’Australia e la Nuova Zelanda dove l’opera è nata da immigrati britannici. Però, anche in simili contesti, nella fase successiva c’è sempre stato l’intervento di missionari.

Nell’Europa orientale, soprattutto in Russia, è degno di nota segnalare l’opera missionaria degli inglesi Broadbent, Lord Radstock e dei tedeschi Baedeker e Warns, allora direttore della Scuola biblica di Berlino, che in seguito si sarebbe trasferita a Wiedenest. È molto interessante ricordare, però, l’opera dello scozzese William G. Sloan il quale, raccomandato all’opera missionaria dall’assemblea di Roman Road, a Motherwell (vicino a Glasgow), lavorò instancabilmente per tredici anni nelle isole Far Oër senza vedere un solo convertito! Poco prima che il Signore lo chiamasse si convertì una persona. Oggi ci sono circa 7.000 credenti, in una trentina di Assemblee, su una popolazione totale di 50.000 abitanti.

Solo per menzionare due esempi più vicini nel tempo a noi, cito Geoffrey T. Bull, il primo missionario fatto prigioniero dai Maoisti nel ’49 mentre stava iniziando un prezioso lavoro nel Tibet. Incarcerato ingiustamente come spia, venne messo in una cella subendo il lavaggio del cervello per settimane. Dopo aver subìto un’infinità di interrogatori e pensando all’orribile fine che di lì a poco avrebbe potuto fare, immaginò nella sua mente che cosa avrebbe fatto se fosse stato portato via per essere ucciso. Si chiese: “Dovrò predicare? Pregare? O cantare?” Scrisse in seguito: “Decisi che avrei cantato e, dopo aver percorso mentalmente le parole di tanti inni e canti cristiani presi la determinazione che le ultime parole che avrei detto prima di morire sarebbero state queste: «E a faccia, a faccia, Lo vedrò…».”

Venne liberato (la sua prigionia sollevò un caso internazionale e migliaia di credenti pregarono per la sua liberazione) ma, se non lo fosse stato, queste sarebbero state le parole che avrebbe cantato davanti al plotone d’esecuzione. Questo evento influenzò molti.

Un altro esempio è quello dei missionari uccisi dagli Auca (in seguito si scoprì che si chiamavano Waorani) l’8 gennaio del 1956. Tre di loro erano stati raccomandati dalle Assemblee statunitensi: Jim Elliot, Pete Fleming, Ed McCully. Quell’evento incoraggiò tanti: solo dagli Stati Uniti ben 150 coppie risposero alla chiamata al servizio missionario.

Esattamente cinquant’anni dopo, sulle sponde del fiume Curaray i giovani delle ventuno Assemblee di quella zona, di lingua spagnola e quechua, nate dopo la morte di questi missionari, hanno organizzato una «celebrazione»! C’erano anche due ultraottantenni: il fratello di Pete Fleming, Ken, che il Signore ha benedetto grandemente nell’opera di fondazione di dieci Assemblee presso gli Zulù e uno degli uccisori di suo fratello, convertitosi poco dopo quel martirio. Prima di spezzare il pane, i due si sono abbracciati in uno scenario estremamente commovente!

La priorità assoluta, ma anche…

L’opera missionaria delle Assemblee ha avuto come priorità assoluta l’annuncio del vangelo, la fondazione di chiese locali e il loro consolidamento. Tuttavia non va dimenticato anche l’impegno sociale, come la fondazione di ospedali in Zambia, in Pakistan, in India, dove ce ne sono ben sette. Il Medical Missionary News si preoccupa di dare informazioni e suscitare fondi per sostenere l’opera nel campo medico fornendo di medicine, e di tutto quello che serve, ospedali e cliniche tramite containers e mandando doni in denaro e personale specializzato. Sono state fondate scuole di ogni ordine e grado (ad esempio nel Ciad e in Argentina) oltre a tantissimi orfanotrofi. Solo in India ce ne sono attualmente ventisei, alcuni sono “case-famiglie”. Il Brass Tacks invia nei campi di missione personale qualificato (di solito pensionati) per lavori edili, di impiantistica e falegnameria.

Inoltre l’opera missionaria delle Assemblee si è manifestata in modo concreto, con cospicui aiuti umanitari, in occasione di catastrofi naturali come inondazioni, terremoti (nella Papua Nuova Guinea e in alcuni stati dell’America Centrale) o di eventi bellici che hanno seminato distruzione (nel Burundi e in Ruanda) o politici (in Romania, in Albania). L’attualità è sotto i nostri occhi!

Quest’opera missionaria è stata accompagnata da quattro convinzioni:

  1. L’importanza data all’autorità della Scrittura, fondamento basilare della vita della chiesa locale.
  2. La convinzione che lo Spirito Santo possa agire ancora oggi come nel tempo apostolico. La riprova di questo è la nascita di Assemblee in luoghi impensati, quali la Mongolia, nell’ultimo scorcio del ‘900.
  3. L’applicazione dei principi del Nuovo Testamento circa la chiesa locale che, sulla base di Atti 13-14 è il punto di partenza e di arrivo dell’opera missionaria. Questo non ha escluso il supporto dei cosiddetti Gruppi di Servizio Missionari (una trentina nel mondo) che hanno supportato i missionari in tanti modi ma, a differenza delle varie organizzazioni missionarie, non hanno mai dato delle indicazioni ai missionari sul tipo di servizio e sugli eventuali campi di missione né hanno garantito il sostegno finanziario che è prerogativa della chiesa mandante con l’aiuto di altre. Uno degli impegni principali di questi “Gruppi” (consigli/comitati) è stato quello di informare la fratellanza dei bisogni dei missionari e dell’opera raccogliendo i doni per poi trasmetterli ai missionari.
  4. Le chiese, una volta fondate, devono dipendere direttamente dal Signore, anche se questo non ha escluso il costante aiuto spirituale, come visite per istruire i credenti, e aiuti economici. 

Dagli inizi a oggi le Assemblee hanno raccomandato all’opera migliaia di missionari. Solo qualche dato: dalla Nuova Zelanda ne sono partiti 1.018; 1.000 dagli USA e dal Canada; più di 5.000 dalla Gran Bretagna. Dal 1952, senza contare quanti sono partiti dal 1905, di cui però non ci sono dei dati precisi, raccomandati da Wiedenest sono partiti 750 missionari e altri 300 hanno lavorato a tempo determinato. Questi numeri sono parziali perché anche altre nazioni hanno inviato missionari e, inoltre, soprattutto dagli anni ’60 in poi, molti missionari hanno lavorato con organizzazioni missionarie molto valide: Wycliffe, SIM e altre ancora. Attualmente, sempre per dare solo qualche dato, i missionari raccomandati dalle Assemblee nordamericane sono 765 e lavorano in più di 80 Paesi. Sono 209 i missionari neozelandesi che lavorano prevalentemente in Asia, Africa e America del Sud. Un bel numero se si pensa che in Nuova Zelanda ci sono 180 Assemblee; questo aiuta a rendersi immediatamente conto del loro interesse missionario. Wiedenest supporta 140 missionari e 30 sono impegnati in un lavoro “a tempo determinato”. EI supporta 198 missionari che lavorano in 51 Paesi.

L’Italia, dopo la chiamata al Signore dei pionieri, ha beneficiato dell’opera di missionari britannici (e anche di altri Paesi), il primo dei quali, John S. Anderson, è stato usato dal Signore per iniziare proprio la pubblicazione de IL CRISTIANO. Negli ultimi decenni le Assemblee italiane hanno sentito la responsabilità di iniziare l’opera soprattutto in Albania e di costituire un “Gruppo” di supporto: l’OMEFI.

Conclusione

Nelle varie “Storie della Chiesa” il movimento dei Fratelli trova poco spazio. Ad esempio il grande storico evangelico Kenneth S. Latourette, nella sua monumentale opera, lo ha trascurato dedicandogli meno di una pagina e mezza. Tuttavia, non foss’altro che per l’importanza a livello missionario nel mondo, come ha scritto Tim Grass, un evangelico non delle Assemblee, “la Chiesa in senso lato ha da imparare dal Movimento”. Infatti le Assemblee, tutt’altro che uno sparuto gruppuscolo, grazie all’opera missionaria, sono presenti in 155 nazioni in molte delle quali l’opera è in crescita.

L’impegno, la dedizione e la “fatica”, non sono stati vani nel Signore (1Corinzi 15:58). Infatti oggi nel mondo ci sono circa 40.000 assemblee con 17.000 persone che lavorano in ministeri vari a “pieno tempo”. Per un Movimento che non ha una confessione di fede e nemmeno una struttura organizzativa, l’opera missionaria ha avuto un’influenza enorme nel mondo. Questo non ci deve inorgoglire ma piuttosto stimolare alla preghiera affinché il vangelo raggiunga ancora tante parti del mondo oltre ai tanti immigrati che il Signore sta mandandoci “sotto casa”.